La soluzione prevalente in dottrina e giurisprudenza, infatti, stante il tenore letterale dell’articolo 528 cod. civ., è nel senso di ritenere che l’accettazione o il possesso anche parziale di alcuni dei cespiti ereditari determinerebbe la carenza dei requisiti richiesti dalla norma. Al riguardo, anche di recente la S.C. ha osservato che, nel concorso di più chiamati all’eredità, alcuni soltanto accettanti l’eredità stessa, non è legittimamente configurabile, con riguardo agli altri chiamati non accettanti, la fattispecie dell’eredità giacente pro quota (che giustifichi la nomina di un curatore ex artt. 528 – 532 cod. civ.), atteso che la funzione dell’istituto è quello della conservazione ed amministrazione del patrimonio ereditario nel suo complesso, e non in una sola sua parte, in attesa della definitiva devoluzione a chi ne abbia titolo. La Cassazione ha osservato che, sebbene il dato normativo non sia risolutore, depone nel senso indicato la considerazione dello stesso alla luce del sussidiario criterio interpretativo dell’intenzione del legislatore.
L’amministrazione del patrimonio ereditario
Ed è, in tale contesto d’interpretazione letterale e logica della legge, che assume un particolare significato la funzione che il legislatore attribuisce all’istituto dell’eredità giacente, e che, peraltro, ne evidenzia la diversità dai contigui istituti dell’amministrazione del patrimonio ereditario, di cui agli artt. 641 – 643 cod. civ., ancorché assimilati nella disciplina (art. 644 cod. civ.). Si legge in motivazione:”L’eredità giacente, che nella più lata e romanistica accezione individua la situazione in cui l’eredità viene a trovarsi nel tempo di vacatio tra delatio e aditio, è segnatamente considerata e disciplinata dal legislatore non già in sè, quale condizione giuridica del patrimonio ereditario nell’intervallo tra delazione ed accettazione, bensì quale situazione meritevole di tutela le volte in cui ricorrano determinati presupposti, e, per l’appunto, allorquando manchi il chiamato accettante l’eredità o il chiamato nel possesso di beni ereditari, che possano essi stessi avere cura effettiva del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva devoluzione: il primo, in quanto con l’accettazione ha acquistato l’eredità, assumendo la qualità di erede (art. 459 cod. civ.), ed il secondo perché dotato di poteri di amministrazione del patrimonio ereditario e di rappresentanza della eredità (artt. 485 e 486 cod. civ.). Il dato positivo dei citati artt. 528-532 cod. civ. esprime, infatti, ove ricorrano gli anzidetti presupposti, che si dia luogo ad un particolare sistema di amministrazione per ufficio pubblico (del curatore) dell’eredità, così realizzando una funzione tipicamente transitoria e strumentale di gestione del patrimonio ereditario altrimenti privo di tutela, che, in quanto tale, non può che investire per l’intero quel patrimonio, non già una sua parte.
Tale funzione, quindi, raccordata che si sia con i previsti presupposti della giacenza dell’eredità, quali la mancanza di accettazione dell’eredità da parte del chiamato ovvero la mancanza del possesso di beni ereditari in capo al chiamato, contribuisce a chiarire quel che la lettera della legge in sè non evidenzia specificamente con riguardo alla discussa applicabilità dell’istituto per l’ipotesi di giacenza dell’eredità pro quota. Ed invero, se funzione dell’eredità giacente è – come è – quella innanzi descritta di conservazione ed amministrazione del patrimonio ereditario nel suo (e non in una parte) in attesa di sua devoluzione definitiva a chi ne abbia titolo, e se tale istituto non opera – come previsto – quando il chiamato abbia accettato l’eredità ovvero abbia il possesso di beni ereditari, sia cioè esso stesso legittimato alla gestione del patrimonio ereditario, non può che conseguire la preclusione ordinamentale di un’eredità giacente pro quota, al limitato fine di amministrazione parziale del patrimonio ereditario, per la parte eventualmente spettante (posto che potrebbe non essere accettata) al mero e concorrente chiamato all’eredità. Il risultato di negazione dell’eredità giacente pro quota, cui si è perviene per quanto innanzi illustrato, è, del resto, tutt’affatto coerente con lo stato di erede, che, indipendentemente dalla quota d’eredità attribuitagli, succede pur sempre nell’universum ius del de cuius, e che, soprattutto, avendo diritto di amministrare la sua quota indivisa dell’eredità, non può non coinvolgere nell’esercizio di tale diritto anche la quota degli altri coeredi o di eventuale spettanza di chi sia solo chiamato non accettante, per il quale ultimo – peraltro – neppure si pone un problema di comunione ereditaria, insorgendo essa comunione soltanto tra i coeredi e non tra i meri chiamati (v. sent. n. 5443 del 6 giugno 1994).
Il diritto di accrescimento
Anche all’interno di tale posizione, si riconosce, peraltro, che uno spazio per l’istituto potrebbe cogliersi nel caso in cui il testatore abbia provveduto ad assegnare beni determinati come quota del patrimonio, ai sensi dell’art. 588, secondo comma, cod. civ. . Secondo altra opinione, anche al di fuori dell’ipotesi regolata da quest’ultima norma, la curatela dell’eredità giacente sarebbe applicabile quando, in favore del chiamato accettante, non sussista il diritto di accrescimento per il caso di rinuncia degli altri chiamati. Secondo, infine, una terza opinione, il curatore potrebbe essere nominato anche quando alcuni dei chiamati siano nel possesso dei beni ereditari o abbiano accettato l’eredità. In particolare, secondo tali autori, l’immissione in possesso di uno dei chiamati può lasciare irrisolto il problema della conservazione del patrimonio, in caso di inerzia del possessore laddove, se quest’ultimo decida di amministrare il patrimonio, non si pone alcun problema; così come, anche in caso di accettazione dell’eredità, da parte di uno dei chiamati, può porsi il problema sia dell’inerzia nel compimento di atti di conservazione sia del compimento di atti dispositivi con finalità conservative, rispetto ai quali l’erede può agire solo in relazione alla sua quota, ancorché sia titolare del diritto di accrescimento.
Il presente contributo è tratto
L’eredità giacenteLa trattazione delle questioni legate alla giacenza dell’eredità presuppone l’esame di alcune problematiche di carattere generale, che il Legislatore e gli operatori cercano di risolvere con l’applicazione delle norme in materia.La questione della situazione che si crea tra il momento dell’apertura della successione e l’accettazione non è evidentemente risolta dalla regola per la quale l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione. Invero, la finzione della retroattività, al pari della attribuzione dei beni, in assenza di eredi allo Stato (art. 586 cod. civ.), non elimina le questioni poste dalla vacanza di un titolare del patrimonio che possa compiere atti gestori, e nei confronti del quale possano essere esercitate le pretese dei terzi.Il presente volume, con un serio approccio di studio, ma senza trascurare l’aspetto pratico, vuole essere uno strumento per il Professionista che si trovi a risolvere questioni ereditarie in cui manchi, seppur temporaneamente, un titolare, con tutte le problematiche che ne derivano, nel tentativo di tutelare gli interessi del proprio assistito, sia esso erede, legatario o creditore del defunto.Giuseppe De MarzoConsigliere della Suprema Corte di Cassazione, assegnato alla I sezione civile e alla V sezione penale; componente supplente del Tribunale Superiore delle Acque; componente del Gruppo dei Referenti per i rapporti con la Corte Europea dei diritti dell’uomo; autore di numerose monografie e di pubblicazioni giuridiche, ha curato collane editoriali; collabora abitualmente con Il Foro italiano. Giuseppe De Marzo | 2019 Maggioli Editore 24.00 € 19.20 € |
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