SOMMARIO: 1. Massima – 2. Il caso – 3. Le questioni giuridiche e la soluzione – 4. Osservazioni
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Massima
L’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non assurge a requisito di forma prescritto “ad substantiam”, non essendo previsto come tale dalla disciplina specifica di cui agli articoli 38 e 117 T.U.B. e non rientrando nell’ambito delle “condizioni” contrattuali di carattere economico. Ne consegue che la sua omissione non impedisce l’applicabilità del limite di finanziabilità, che è requisito di sostanza del contratto.
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Il caso
Il provvedimento in commento trae origine dalla impugnazione, ad opera della Curatela di un Fallimento, di un decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Il Tribunale ha rilevato, in specie, che la (mera) mancata “enunciazione” in contratto del relativo valore dell’immobile dato in garanzia, non risulta ex professo prescritta né dalle disposizioni del TUB né dalla citata delibera CICR né dalle norme in tema di iscrizione ipotecaria.
Decisivo rilievo ha assunto la circostanza, per la quale, ogni eventuale effetto invalidante non potrebbe comunque investire la pattuizione negoziale oltre il limite della “eccedenza“, che la banca, conoscendo il vizio, non avrebbe preteso la garanzia “fondiaria” nemmeno sulla restante quota del finanziamento “coperta” dalla garanzia (la c.d. nullità parziale).
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Le questioni giuridiche e la soluzione
La Suprema Corte nell’argomentare la motivazione ha compiuto un diretto riferimento alla pronuncia che è stata emessa dal Tribunale campano.
La motivazione svolta si palesa in verità alquanto tortuosa e frammentata, richiamando più questioni, di diversa natura e, tra loro, non sempre ben allineati. La stessa, peraltro, non si manifesta, a ben vedere, erratica e non comprensibile.
La struttura sostanziale del decreto impugnato, dunque, risulta costituita da due piloni: a livello di problema proposto dalla fattispecie in giudizio, l’essere contestato non già che il finanziamento concesso superasse la soglia consentita dal valore del bene in garanzia, bensì (e solo) il fatto che tale valore non risultasse “scritto” nel testo contrattuale; a livello di soluzione, la rilevazione che la detta mancanza non comporta la nullità del mutuo fondiario.
Tale soluzione – va altresì puntualizzato – è nel decreto supportata dalla stringa argomentativa, per cui l’indicazione testuale del valore del bene non appare “prescritta né dalle disposizioni del TUB, né dalla delibera CICR, né dalle norme in tema di iscrizione ipotecaria”.
Consegue alle osservazioni appena compiute che la proposizione e l’esame del primo motivo, del terzo motivo, del quarto motivo e del quinto motivo di ricorso risultano subordinati all’esito positivo, di accoglimento cioè, del secondo motivo di ricorso.
In effetti, quest’ultimo motivo investe propriamente il tema della eventuale necessità di un’indicazione del valore dell’immobile in garanzia nel contratto di mutuo fondiario, come requisito formale prescritto ad substantiam. Gli altri motivi invece riguardano tutti (seppure secondo diverse declinazioni) le conseguenze disciplinari ritraibili dalla dichiarata nullità di un contratto di mutuo fondiario.
La ipotizzata indicazione formale non risulta prescritta dalla normativa specificamente relativa alla regolamentazione del mutuo fondiario di cui agli articoli 38 TUB e seguenti. Né risulta pretesa dalla normativa di trasparenza dei contratti bancari, di cui sempre al testo unico: l’indicazione del valore dell’immobile di sicuro non rientrando nell’ambito delle “condizioni” contrattuali di carattere economico, che sono prese in considerazione dall’articolo 117 TUB. Non si vede, d’altra parte, ragione per ritenere che senza un’indicazione contrattuale del valore del bene ipotecato non possa trovare applicazione il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38 TUB, come per contro dichiara il ricorrente. Che quest’ultimo è requisito di sostanza, non già di forma.
In realtà, la tesi proposta dal ricorrente sembrerebbe suggerire (o presupporre, se si preferisce) l’idea che l’indicazione del valore dell’immobile nello scritto contrattuale risulti possedere un valore costitutivo. Ciò che di sicuro non è. Non necessaria ai fini della validità del contratto, l’indicazione contrattuale del valore del bene non è sufficiente a “garantire” l’effettivo rispetto del limite di finanziabilità posto dalla legge a livello di fattispecie concreta. Come si è appena sopra rilevato, l’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non è questione di dichiarazioni negoziali, più o meno espresse. È questione, per contro, di oggettivo riscontro fattuale.
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Osservazioni
L’individuazione degli effetti conseguenti alla erogazione del mutuo fondiario concesso in violazione del limite di finanziabilità dell’80% costituisce un problema controverso e, in molte vertenze, trattato dalla giurisprudenza, che trova in particolare nell’ambito delle procedure fallimentari dei mutuatari poi falliti la maggior attenzione. In tale sede, al fine di incrementare l’attivo fallimentare da distribuire agli ulteriori creditori del fallito, i curatori hanno di frequente eccepito (e talvolta ottenuto) il superamento del limite e la dichiarazione di nullità del mutuo fondiario e dell’ipoteca a questo connessa per la violazione della soglia prudenziale fissata dalla normativa di settore.
Con la sentenza annotata, la S.C. è tornata nuovamente (e in via incidentale) a pronunciarsi sulla sorte del mutuo fondiario concesso oltre il limite legale.
Prima di esaminare il variegato panorama rimediale coniato dagli interpreti per regolare le conseguenze derivanti dal mutuo fondiario eccedente, è opportuno ricordare che il credito fondiario costituisce una particolare forma di finanziamento bancario a medio-lungo termine garantito da ipoteca di primo grado sull’immobile concesso in garanzia, il cui massimo ammontare, in attuazione dell’articolo 38, secondo comma del t.u.b., è stato fissato con la delibera del C.I.C.R. del 22.4.1995 nella soglia dell’80% del valore dell’immobile da ipotecare (o del costo delle opere da eseguire sullo stesso). Il credito fondiario è caratterizzato da una speciale disciplina normativa, di natura sostanziale e processuale (articoli 39, 40, 40 bis e 41 del t.u.b.), che deroga quella di diritto comune. In particolare, due sono i “privilegi” principali stabiliti a favore delle banche nelle operazioni di credito fondiario: l’esenzione dell’ipoteca fondiaria dalla revocatoria fallimentare (articolo 39, quarto comma della legge fallimentare), la quale ha comportato talvolta nella prassi un utilizzo “abusivo” del credito fondiario, e la facoltà in capo al creditore fondiario, in deroga al regime prescritto dall’articolo 51 della legge fallimentare, di iniziare o proseguire dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari (articolo 41, secondo comma, del t.u.b.).
L’emergere della questione attinente al mancato rispetto del limite prudenziale di cui all’articolo 38 secondo comma del t.u.b. ha tratto origine, in particolare, da due fattori: da un lato, dal crollo del mercato immobiliare dovuto alla recente crisi economico-finanziaria e quindi dal rilevante deprezzamento dei cespiti immobiliari; dall’altro, dalla concessione da parte delle banche di finanziamenti fondiari erogati sulla base di stime immobiliari effettuate in violazione dei criteri prudenziali stabiliti dalla disciplina di settore per la valutazione dei beni immobili, con la conseguente sopravvalutazione dei cespiti medesimi (Trib. Venezia, 26.7.2012).
In assenza di una specifica previsione normativa che individui un rimedio idoneo al superamento del limite prudenziale, sono state prospettate da giurisprudenza e dottrina diverse soluzioni, riconducibili a tre filoni interpretativi, i quali però hanno tutti in comune tra di loro una idea di fondo, ovvero che l’articolo 38, secondo comma del t.u.b. costituisca una norma imperativa.
Il primo filone interpretativo è stato inaugurato con due sentenze gemelle della Cassazione, ovvero Cass., 28.11.2013, n. 26672 e Cass., 6.12.2013, n. 27380 – a cui hanno fatto seguito numerose pronunce di legittimità (da ultimo, Cass., 6.5.2016, n. 9132 e Cass., 24.6.2016, n. 13164) e di merito (ex multis, Trib. Cagliari, 29.3.2016 e Trib. Nuoro, 17.5.2016) – secondo le quali, in caso di erogazione di un mutuo fondiario in violazione del limite di cui all’articolo 38, secondo comma del t.u.b., il mutuo resta pienamente valido, efficace e, soprattutto, fondiario, cioè connotato da tutti quei privilegi normativi connessi alla “fondiarietà“ del finanziamento, mentre le uniche (ma soltanto eventuali) conseguenze scaturenti dal superamento del limite sono circoscritte alla irrogazione di sanzioni amministrative previste dalla disciplina del settore bancario e alla configurazione di una eventuale responsabilità della banca mutuante, non meglio precisata dalla giurisprudenza di legittimità ma specificata da Trib. Milano, 30.6.2016 che l’ha ricondotta nell’alveo della fattispecie della abusiva concessione di credito.
Più precisamente, i giudici di legittimità hanno escluso, in prima battuta, la riconducibilità dell’articolo 38 secondo comma del t.u.b. nell’ambito di applicazione dell’articolo 117, ottavo comma del t.u.b. – soluzione ampiamente condivisa anche dalla giurisprudenza successiva – rilevando tra l’altro che il mutuatario ha tutto l’interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile anche a prescindere dal limite di finanziabilità. La Corte, facendo implicita la nota distinzione tra norme imperative di validità del contratto e di buona condotta delle parti esplicitata da Cass., Sez. Un., 19.12.2007, n. 26724 in materia di servizi di intermediazione finanziaria, ha poi qualificato l’articolo 38 t.u.b. alla stregua di norma imperativa di comportamento, dalla cui violazione non può derivare alcuna nullità del mutuo fondiario. In particolare, secondo la Cassazione tale disposizione, posta a tutela delle banche e indirettamente del sistema bancario, impedisce alle banche stesse di esporsi oltre un certo limite di ragionevolezza nei confronti dei terzi e non incide sul sinallagma contrattuale, poiché investe esclusivamente il comportamento della banca tenuta a rispettare la normativa di settore.
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Per approfondire
- Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Giuffrè, 2000, 634.
- Angelone, La conversione d’ufficio del contratto nullo tra (interpretazione di) buona fede e «giusto rimedio», in Rass. dir. civ., 2014, 4.
- Patti, Finanziamenti all’impresa, credito fondiario e (riconsiderazione del) privilegio processuale, in Fallimento, 2017, 3.
- Farina, Superamento del limite di finanziabilità e (nullità del) credito fondiario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, IV, 560.
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