Una categoria controversa
Sebbene siano stati finalmente rivalutati con la legge n. 168 del 20 novembre 2017, gli «usi civici», tuttora, sono una categoria giuridica molto controversa, che ha suscito negli anni passati lunghi e accesi dibatti nel tentare di definirli e nell’identificare le singole peculiarità. Non è possibile riassumere in un unico genere realtà sociali, economiche e giuridiche tanto diverse e, quando si è cercato di farlo, si sono prodotte classificazioni molto fragili. «Con il sintagma usi civici si intende, in vero, un insieme di fenomeni anche assai diversi tra di loro, espressione che il legislatore italiano ha usato come sineddoche, figura retorica che individua il tutto attraverso una parte»[1]. La legge n. 1766 del 1927, utilizzando indistintamente l’espressione «usi civici» per indicare i diritti promiscui su terre private e le vere e proprie proprietà collettive, ha finito per accentuare la confusione semantica tra due entità differenti[2]. «Gli usi civici sono infatti solo un profilo del più ampio genere degli assetti fondiari collettivi, ma l’espressione è ormai entrata nel linguaggio e nell’uso comune […]»[3]. Questo equivoco tuttora permane, anche se la dottrina più recente ha ripreso la giusta distinzione tra uso civico (o demani civici) e domini collettivi.
Usi civici
Con «usi civici in senso stretto», si indicano tutte le forme di promiscuo godimento di terre private o di pubblica proprietà (pascolatico, seminatico, legnatico, fungatico…)[4]. Questa definizione canonica ha incontrato nel tempo diverse altre teorizzazioni. Sono stati definiti anche «diritti reali privati perpetui» di godimento ascrivibili ad una collettività[5]. Non spettano al singolo, ma all’intera comunità: gli individui, però, in quanto membri di un determinato gruppo sociale, ovvero «uti cives», li possono esercitare[6]. A questa definizione potrebbe aggiungersene un’altra, collaterale e complementare. Secondo Giuseppe Di Genio, gli usi civici sono riconosciuti all’intera collettività e non sono ascrivibili a nessuna autorità pubblica esistente[7]. In generale, «gli usi civici in senso stretto sono, normalmente, quei diritti originariamente concessi o comunque riconosciuti, mediante atto formale o per facta concludentia, da un feudatario sulle terre infeudate e che consistono nell’esercizio di facoltà di godimento ben definito e ristretto […]»[8]. Questi diritti dipendono quasi esclusivamente da una «benevolentiae causa» o si tratta di forme di compenso alternative dovute ad un lavoro di colonizzazione, nella maggior parte dei casi promosso dal feudatario[9]. Sono modalità di esercizio legate al mondo agraria e pastorale, alle attività primarie che consentivano alla popolazione rurale di sopravvivere. «In altri termini, gli usi civici in senso stretto vengono goduti in comune dalla collettività al fine di soddisfare i bisogni essenziali della vita»[10].
Proprietà collettive
Oltre agli «usi civici in senso stretto», esiste una seconda categoria di fruizione promiscua di un bene ambientale, ovvero le proprietà collettive (“Vicinie”, in Friuli-Venezia Giulia, “Partecipante”, in Emilia-Romagna, “Magnifiche Comunità”, in Veneto, “Regole”, nell’arco alpino, “Università Agrarie”, nel Lazio…). Questa classe sottintende una serie di forme alternative di gestione del suolo, dov’è la collettività ad amministrare direttamente le terre comuni[11], nonostante vi siano enti esponenziali, le «amministrazione separate», atte a tali compiti[12]. Come gli usi civici, anche questi antichi istituti giuridici presentano una vistosa e straordinaria varietà strutturale, dovendosi adattare a differenti contesti territoriali, sociali e economiche. La dottrina canonica è solita classificarli in due macro-categorie, le cosiddette proprietà collettive aperte o chiuse. Le prime sono «accessibili da tutti coloro che sono residenti in un determinato Comune o in una determinata frazione […]»; le seconde, invece, includono altre tipologie di «proprietà collettiva montana, riservate ai discendenti delle famiglie originarie del luogo […] Si tratta di tradizioni molto antiche, che si conservano in ambienti particolari, spesso isolati a causa del territorio impervio come nelle valli montane alpine». Sono realtà molto antiche, come la “Regola ampezzane”, site nelle valli di Cortina d’Ampezzo, in Veneto, che si svilupparono in territori impervi e isolati. Ricordiamo anche le “Regole di Spinale e di Manez” e la Magnifica Comunità di Fiemme, in Trentino-Alto Adige, e quella di Cadore, in Veneto[13]. Le peculiarità di queste istituzioni costituiscono la risposta umana alle precarie condizioni ambientali delle regioni alpine e appenniniche.
Altre collettività
Ulteriori forme di gestione collettiva del suolo, sono i tratturi e i Masi chiusi. I primi, diffusi soprattutto in Molise, in Abruzzo e in Puglia, sono il retaggio dell’antica civiltà contadina italiana, oggi protetti da un’apposita legislazione nazionale e regionale. Nonostante siano stati annoverati tra gli assetti fondiari collettivi, molti dubbi circa la loro reale natura ancora sussistono. Da un lato sono entità storico – giuridiche assestanti, definiti come «demani armentizi», dall’altro presentano valenze socioeconomiche similari a quelle degli «usi civici in senso stretto»[14]. Alle greggi e ai pastori, infatti, erano consentite il transito e la sosta notturna o diurna su terreni privati o di proprietà pubblica. A tutti gli effetti, quindi, si tratta di forma di servitù similari ai tradizionali usi civici. Anche i Masi chiusi, diffusi soprattutto in Trentino-Alto Adige, sono stati inseriti negli anni passati tra le classiche proprietà collettive. Si tratta di un appezzamento fondiario di proprietà di una singola famiglia di stampo patriarcale destinato all’allevamento o all’agricoltura[15]. «La dimensione del terreno appartenente al Maso chiuso è rigidamente stabilita in funzione dell’economia di una famiglia patriarcale, e questo stretto rapporto tra ambito territoriale, ambito familiare e ambito economico-sociale giustifica una disciplina eccezionale, sia in tema di diritto di proprietà sia in tema di diritti successori. Infatti il Maso chiuso circola esclusivamente attraverso la successione a uno solo degli eredi, di regola il maschio maggiorenne in grado di continuare l’attività economica, mentre le quote degli altri eredi vengono liquidate in natura»[16]. Il forte elemento identitario e territoriale ne fanno un assetto fondiario particolare e queste caratteristiche fanno dei Masi chiusi una forma di gestione collettiva del suolo «sui generis».
Distinzioni
Prendendo in prestito alcune definizioni di Fiore Fontanarosa, possiamo trovare una semplice e chiara esposizione delle differenze tra gli usi civici e le proprietà collettive. «In entrambi i demani», scrive l’autore, «la collettività è titolare di un diritto domenicale, ma (solo) nel demanio universale la collettività ha il pieno dominio […]». Per quanto riguarda invece i demani feudali, «essa [la collettività] divide tale dominio con un altro centro di potere, che è la concessione utile fatta dal sovrano al feudatario, dando così vita ad un’ipotesi di condominio»[17].
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Note
[1] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, Pisa, Pacini Editore, 2016, p. 33 – 34
[2] Fiore Fontanarosa, Usi civici e proprietà collettive. Spunti per una comparazione diacronica e sincronica, Campobasso, Editrice AGR, 2012, p. 20
[3] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, cit., p. 34
[4] Ugo Petronio, Usi civici, in “Enciclopedia del diritto”, vol. XLV, Milano, Giuffré, 1992, p. 469
[5] Fiore Fontanarosa, Usi civici e proprietà collettive. Spunti per una comparazione diacronica e sincronica, cit., p. 17
[6] Cass., 27 novembre 1953, n. 4329
[7] Giuseppe Di Genio, La molteplice rilevanza (storica, giuridica e comparata) degli usi civici, in “Il Diritto dell’Economia”, vol. 3, 2006, p. 586
[8] Fiore Fontanarosa, Usi civici e proprietà collettive. Spunti per una comparazione diacronica e sincronica, cit., p. 18
[9] Alberto Germanò, Usi civici, terre civiche, terre collettive, in “Rivista di diritto agrario”, vol. I, 1999, p. 243
[10] Fiore Fontanarosa, Usi civici e proprietà collettive. Spunti per una comparazione diacronica e sincronica, cit., p. 19
[11] Vincenzo Cerulli Irelli, Proprietà collettive, demani civici ed usi civici, in Fabrizio Marinelli e Fabrizio Politi (a cura di), “Un altro modo di possedere. Quarant’anni dopo”, Pisa, Pacini Editore, 2018, p. 67
[12] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, cit., p. 39
[13] Ivi, p. 45 – 46
[14] Ivi, p. 47 – 48
[15] Giuseppe Gabrielli, Maso chiuso, in “Digesto delle discipline privatistiche”, vol. XI, 1994, p. 205
[16] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, cit., p. 48
[17] Ivi
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