Quando l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo è inammissibile per difetto di specificità dei motivi

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(Ricorso rigettato)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 581)

Il fatto

Con ordinanza del 3 agosto 2018, il Tribunale di Salerno dichiarava inammissibile l’appello cautelare proposto dal ricorrente, ex art. 322 bis, cod. proc. pen., avverso il provvedimento che aveva rigettato la richiesta di dissequestro di alcuni locali dell’Hotel M. di A., sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento nel quale erano stati contestati i reati di cui agli artt. 323 e 479 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, commi 1 e 1 bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 55 e 1161 cod. nav.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il difensore di F. M., imputato nel procedimento e legale rappresentante della soc. Hotel M. Srl, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 321 e 323 cod. proc. pen., 44 d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, nonché difetto, erroneità ed illogicità della motivazione posto che – una volta rilevato che i reati urbanistici contestati all’imputato erano stati riqualificati, all’esito del giudizio di primo grado, nell’ipotesi di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. 380 del 2001, con contestuale dissequestro dei beni, tuttavia subordinato al passaggio in giudicato della sentenza – il ricorrente deduceva di aver appellato il rigetto dell’istanza di immediata restituzione dei beni successivamente avanzata al giudice procedente, per un verso, lamentando l’illogicità ed il carattere inutilmente punitivo della decisione visto che il reato urbanistico, di cui egli era stato riconosciuto colpevole in primo grado, non consentiva la demolizione delle opere e, quantomeno per la condotta di realizzazione di alcuni locali, era da ritenersi maturato il termine di prescrizione del reato, per altro verso, dolendosi riguardo la nullità dell’ordinanza di rigetto appellata per difetto di motivazione essendosi la stessa limitata a richiamare le precedenti ordinanze cautelari senza affrontare i temi proposti con l’istanza di dissequestro alla luce della sentenza che aveva definito il giudizio in primo grado in senso favorevole all’imputato mentre, invece, tenendo anche conto della mancanza di motivazione del provvedimento appellato, l’appellante non aveva l’onere di contestare specificamente l’assenza dei presupposti per il rigetto del dissequestro e – diversamente da quanto ritenuto dall’ordinanza impugnata – aveva comunque contestato il rilievo secondo cui la cessazione della permanenza del reato edilizio con la sentenza di primo grado non costituiva elemento di per sé idoneo a far cessare le misure cautelari osservando che le sentenze richiamate dal primo giudice non si attagliavano al caso di specie ed era, dunque, illegittima la declaratoria di inammissibilità dell’appello fondata su tale pretesa mancata contestazione fermo restando che, ad ogni modo, il sequestro non poteva essere mantenuto soltanto in base ad un preteso periculum allorquando manchi il fumus commissi delicti dei reati che comporta la demolizione dei manufatti. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Corte di Cassazione osservava prima di tutto che, anche nel procedimento cautelare, il requisito della specificità dei motivi di appello, richiesto dall’art. 581 cod. proc. pen. come sostituito dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, è soddisfatto se l’atto individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato e precisando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 5, n. 34504 del 25/05/2018, omissis, Rv. 273778) fermo restando che, in ogni caso, l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 268822).

Chiarito ciò, gli ermellini facevano presente come l’ordinanza impugnata avesse ritenuto l’appello inammissibile sul rilievo che l’appellante si era soffermato «esclusivamente su motivi inerenti alla illogicità e inutile afflittività della ordinanza reiettiva, senza esporre ragioni attinenti, più specificamente, alla eventuale insussistenza delle esigenze cautelari, ritenute permanenti e fondanti la misura cautelare. Sotto questo profilo, nessun rilievo può attribuirsi alla riconosciuta impossibilità di demolizione delle opere ovvero di rimessione in pristino dello stato dei luoghi» osservandosi, in particolare, che «la cessazione della permanenza non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio, giacché il sequestro cautelare può essere disposto non solo per evitare l’aggravamento del medesimo reato ma anche l’agevolazione di altri reati anche se della stessa specie».

A fronte di tale complesso motivazionale, i giudici di piazza Cavour rilevavano come questo punto decisionale non fosse stato oggetto di impugnazione, donde la ritenuta inammissibilità dell’appello.

Orbene, siffatta ricostruzione del contenuto del gravame cautelare operata nel provvedimento impugnato era, ad avviso della Corte, indubbiamente corretta così come la decisione era del pari incensurabile sul piano del diritto stante il fatto che se, con l’appello cautelare, il ricorrente aveva contestato la sussistenza dei presupposti per il mantenimento della misura cautelare reale sulla base di due argomentazioni, che il primo giudice non avrebbe correttamente valutato: l’impossibilità di procedere alla demolizione delle opere abusive, una volta che le stesse erano state ricondotte alla meno grave violazione di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. 380 del 2001, con conseguente inutile afflittività nel mantenimento del sequestro; il fatto che, almeno in parte, le condotte illecite ritenute in primo grado si erano prescritte già prima della sentenza di condanna emessa dal tribunale, nessuna ulteriore specifica contestazione veniva viceversa mossa circa la sopravvenuta mancanza delle esigenze cautelari a suo tempo poste a fondamento della misura che il Tribunale di Salerno, nella sentenza di primo grado, aveva ritenuto ancora sussistenti nonostante la derubricazione e che il giudice procedente richiesto dell’immediata restituzione, nell’ordinanza impugnata con l’appello cautelare, aveva in toto richiamato, sì che, sempre ad avviso del Supremo Consesso, nessuna omissione di motivazione era ravvisabile.

Tal che se ne faceva conseguire come, in assenza di specifica contestazione sulla ritenuta permanenza delle esigenze cautelari a suo tempo ravvisate e stante la natura devolutiva dell’appello cautelare, il tema sollevato dalla difesa fosse estraneo all’impugnazione proposta unicamente fondata sulle due argomentazioni più sopra richiamate e correttamente ritenute del tutto generiche ed ininfluenti rispetto alla prospettiva dell’accoglimento del proposto gravame.

Oltre a ciò, si faceva altresì presente che, quanto al fatto che una parte delle condotte illecite ritenute nella sentenza di primo grado emessa il 4 dicembre 2017 sarebbe stata prescritta già prima della stessa, questa doglianza non fosse proponibile in sede cautelare dove basta il fumus di sussistenza di un reato (non estinto) che certo non può essere negato in presenza di una sentenza di merito che lo abbia accertato in tutte le sue componenti tanto da giungere ad una pronuncia di condanna, sia pur riconducendo il fatto ad una meno grave ipotesi di reato urbanistico che tuttavia certamente legittima l’adozione della misura cautelare.

Per quanto invece riguarda l’altra argomentazione difensiva secondo la quale il mantenimento del sequestro sarebbe stato inutile una volta esclusa – alla luce dell’intervenuta derubricazione – la possibilità di disporre la demolizione dell’opera abusiva, si reputava siffatta argomentazione di per sé irrilevante soprattutto se non posta in correlazione alle ragioni che nella specie avevano determinato il sequestro preventivo tenuto anche conto del fatto che la misura cautelare non può essere adottata in funzione dell’esecuzione della demolizione ma soltanto della confisca ex art. 321, comma 2, cod. proc. (cfr. Sez. 3, n. 1262 del 25/09/2012, dep. 2013, omissis, Rv. 254145) e che, non essendo tale misura di sicurezza prevista neppure per il reato urbanistico originariamente ipotizzato, il sequestro era stato evidentemente nella specie disposto (come anche si ricava dal tenore dell’ordinanza impugnata), ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., al fine di evitare che la libera disponibilità del manufatto potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Si rilevava oltre tutto come l’assunto secondo il quale esigenze cautelari di siffatta natura non sono più configurabili una volta pronunciata la sentenza di condanna di primo grado si appalesasse come una  conclusione indubbiamente errata tenuto conto del consolidato principio di diritto secondo cui, nell’ipotesi di sequestro preventivo del bene oggetto di abuso edilizio per il quale sia stata pronunciata condanna non definitiva che non dispone la confisca, il bene va restituito all’avente diritto solo allorché siano venute meno le esigenze cautelari che hanno giustificato l’imposizione del vincolo, giacché la cessazione della permanenza del reato edilizio con la sentenza di primo grado non costituisce elemento di per sé idoneo a far ritenere cessate anche le esigenze cautelari (Sez. 3, n. 6940 del 05/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272116; Sez. 3, n. 6887 del 24/11/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269322; Sez. 3, n. 6462 del 14/12/2007, dep. 2008, omissis, Rv. 239289).

Al contrario, evidenzia sempre la Corte in questa pronuncia, al fine di ottenere la revoca del sequestro preventivo del bene, con immediata restituzione pur in pendenza del giudizio d’appello radicato avverso la sentenza di condanna resa in primo grado che – espressamente ritenendo la permanenza delle esigenze cautelari – aveva differito il dissequestro al momento del passaggio in giudicato del provvedimento, sarebbe stato onere del ricorrente quello di evidenziare le concrete e specifiche ragioni per cui tali esigenze dovevano nella specie ritenersi superate.

Tal che, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, si addiveniva a formulare il seguente principio di diritto: “l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciate e argomentate ragioni di fatto o di diritto astrattamente idonee a sorreggere l’accoglimento del gravame, ciò che, laddove si contesti la sopravvenuta inutilità della misura, implica necessariamente l’allegazione del venir meno delle originarie esigenze cautelari”.

La Corte, infine, in virtù delle considerazioni decisorie evidenziate in precedenza, rigettava il ricorso proposto con contestuale condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusioni

La sentenza è condivisibile in quanto corredata da una motivazione attraverso la quale la Corte di Cassazione ha, da un lato, correttamente valutato le risultanze processuali, dall’altro, applicato la normativa da doversi valutare nel caso di specie.

Posto ciò, va altresì evidenziato che, in virtù del principio di diritto enunciato in questa pronuncia, ossia che l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciate e argomentate ragioni di fatto o di diritto astrattamente idonee a sorreggere l’accoglimento del gravame, va da sé che potrà considerarsi ammissibile solo un appello cautelare in cui siano chiaramente esplicitati i motivi in grado, seppur in astratto, di poter sostenere la fondatezza di questo mezzo di impugnazione.

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