Sommario:
- Incipit; 2. La comunione legale; 2.1 La comunione immediata; 2.2 La nozione di “acquisti”. L’ambito di applicazione dell’art. 177 cod. civ.; 2.3; 2.3 (in approfondimento) L’acquisto per usucapione in costanza di matrimonio; 2.4 (in approfondimento) L’edificazione di costruzione su proprietà fondiaria personale ex art. 179 cod. civ.; 3. I beni personali. Meccanismi di esclusione dall’imputazione alla comunione legale; 3.1 (in approfondimento) Natura della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 179 cpv cod. civ. ed efficacia della partecipazione del coniuge non acquirente; 3.2 (in approfondimento) Il rifiuto del coacquisto; 4. Conclusioni
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Incipit
Il regime patrimoniale della famiglia, intesa nell’ampia accezione di formazione sociale, può definirsi strumento teleologicamente orientato a garantire l’operatività dei principi di uguaglianza sostanziale ex art. 3 cost.; di tutela della dignità della personalità dei singoli all’interno della formazione sociale ex art. 2 cost., di parità morale e giuridica dei coniugi, anche verso i figli ex artt. 29 e 30 cost.
I rapporti patrimoniali tra coniugi – o tra le parti di un unione civile (L. 10 maggio 2016 n. 76) – si compongono di un nucleo inderogabile (ex art. 160 cod. civ.) ed eterogeneo al cui interno si realizza il bilanciamento, in funzione parificatrice, dell’interesse dei singoli – anche i figli – all’interno della formazione sociale particolare.
Anzitutto di preminente rilievo è l’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 cod. civ., che si pone quale principio informatore dei rapporti familiari, sancendo l’eguaglianza giuridica e l’obbligo di contribuzione – esteso anche ai figli ex art. 315 cod. civ. – in misura proporzionale alla capacità professionale, da intendersi quale corollario dei principi di cui agli artt. 2, 3, 4, 29 e 30 cost.
In secondo luogo i rapporti coniugali si connotano per l’attribuzione paritaria e disgiunta, ad ambedue i coniugi – o parti dell’unione civile – di un potere di iniziativa economica, da esercitare nell’interesse preminente della famiglia stessa, a cui farebbe da pendant la solidarietà passiva dei coniugi – o parti dell’unione civile – per i debiti contratti nell’esercizio dell’attuazione dell’indirizzo della vita familiare ex art. 144 cod. civ.
Parte della dottrina, per converso, ha negato l’esistenza di una solidarietà passiva dei coniugi affermando che, verso l’esterno, ciascuno di essi agisca come soggetto giuridico e solo allo stesso sarebbero imputabili le obbligazioni eventualmente assunte (FINOCCHIARO).
Tale posizione, invero, appare criticabile e incapace di oltrepassare le obiezioni sollevate dai sostenitori della tesi della solidarietà passiva.
In particolare è stato evidenziato come l’art. 144 cod. civ. porrebbe in risalto l’interesse comune ai coniugi, con riferimento alle obbligazioni assunte da ciascuno di essi nell’interesse della famiglia, di modo che – in assenza di norme impeditive o volontà manifestata dalle parti in senso contrario – il rapporti obbligatori assunti nell’interesse della famiglia devono intendersi permeati da un principio di solidarietà passiva.
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La comunione legale
La novella del diritto di famiglia del 1975, informata al contemperamento dei contrapposti principi di eguaglianza giuridica, morale e materiale dei coniugi e del rispetto del diritto alla libertà di iniziativa economica, nella più ampia accezione connessa alla dignità umana, ribalta la previgente disciplina dettata in materia di regime patrimoniale della famiglia, elevando a regime legale la “comunione dei beni” che, nel previgente assetto normativo, costituiva un ipotesi di regime convenzionale (cfr art. 215 ante riforma), per altro raramente utilizzato nella prassi.
Ciò premesso, a mente dell’art. 159 cod. civ. (e dell’art. 1, co. 13 l. 20 maggio 2016, n. 70 per le unioni civili) “in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’art. 162” il regime patrimoniale della famiglia è la “comunione legale”.
Trattasi di un modello di comunione differente da quella ordinaria, regolata secondo lo schema romanistico della proprietà plurima integrale[1], informata sul modello germanico della comproprietà solidale, o a mani riunite, caratterizzata per la cotitolarità solidale sull’intero bene – ergo una comproprietà senza quote funzionalmente orientata al preminente interesse della famiglia (cfr. Corte Cost., sent. 17 marzo 1988, n. 311; Cass. Civ., sent. 7 marzo 2006, n. 4890).
Il codice individua due differenti criteri di imputazione dei beni alla comunione. Si parla di comunione immediata con riferimento al criterio d’imputazione automatico degli “acquisti” effettuati da ciascuno dei coniugi manente comunione, al cui regime sono sottratti solo i beni cd. personali indicati nel catalogo chiuso dell’art. 179, co. 1 cod. civ., e comunione residuale – o de residuo[2] – con rifermento a quei beni che in costanza di comunione rimangono nell’esclusiva disponibilità del coniuge, ricadendo, per converso, in comunione nel momento in cui si realizza una causa di scioglimento della stessa.
2.1 La comunione immediata
La disciplina della comunione immediata è contenuta all’art. 177, co. 1, lett a) e d), in virtù del quale costituiscono oggetto della comunione “gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi a beni personali” e “le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”.
Si tratta, come si anticipava, di un meccanismo di imputazione automatica dell’oggetto dell’acquisto alla comunione, che si realizza ope legis per il solo fatto della collocazione temporale del momento acquisitivo in costanza di comunione legale, incontrando l’unico limite impeditivo nelle caratteristiche dell’oggetto dell’acquisto, onde, con l’osservanza delle dovute forme, escludere che eventuali acquisti di beni personali, nel senso di cui all’art. 179, co 1 cod. civ., possano ricadere in comunione.
Si pongono due nodi interpretativi di preminente rilievo. Anzitutto se la nozione di acquisto accolta dal legislatore del codice Rocco abbia in oggetto ogni genere di acquisto – anche a titolo originario – ovvero se, per converso, dal raffronto con il previgente art. 217 cod. civ. possa desumersi l’opposta voluntas legislatoris di limitazione dell’ambito applicativo ai soli acquisti a titolo derivativo.
In secondo luogo se la comunione legale abbia in oggetto solamente diritti reali, o di godimento su cose altrui, ovvero anche i diritti di credito.
Ambedue le questioni sono state oggetto di un fervido dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che provvederò ad esaminare.
2.2 La nozione di “acquisti”. L’ambito di applicazione dell’art. 177 cod. civ.
La tesi più risalente, avallata da autorevole dottrina (RUSSO), circoscriveva l’ambito di applicazione dell’art. 177 cod. civ. ai soli acquisti a titolo derivativo per tre differenti ordini di ragione.
Anzitutto, sul piano testuale, si sottolineava come il verbo impiegato dal legislatore nel dettato di cui all’art. 177, co. 1 lett. a) – “compiuti” – mal si concilia con regole di acquisto automatiche condizionate al verificarsi di fatti giuridici in senso stretto.
Tale impostazione ha trovato eco in giurisprudenza ove è stato affermato che l’operatività del criterio di imputazione automatica dell’acquisto alla comunione legale presuppone l’espletamento di poteri negoziali da parte di uno dei coniugi e non anche “il mero giovarsi di effetti acquisitivi collegati dalla legge al verificarsi di alcuni fatti, ancorché questi siano stati promossi favoriti o promossi dal coniuge che se n’è avvantaggiato”.[3]
In secondo luogo tale teorica faceva leva sull’argomento storico-comparatistico della voluntas legislatoris, il quale, in breve, poneva l’accento sul raffronto tra il novello art. 177, co. 1 lett. a) cod. civ. ed il previgente art. 217 ove formavano oggetto della comunione convenzionale dei beni “tutti gli acquisti fatti durante la comunione da entrambi i coniugi a qualunque titolo” – ergo la scelta di non riprodurre il sintagma “a qualunque titolo” celerebbe la volontà del legislatore della riforma di limitare l’operatività della comunione immediata ai soli acquisti a titolo derivativo.
La tesi maggioritaria, per converso, sostenuta da autorevolissima dottrina (BIANCA), ritiene che, in assenza di ostacoli testuali ad un interpretazione estensiva della nozione di acquisto, idonea a ricomprendere anche gli acquisti a titolo derivativo, l’operatività del principio di imputazione automatica dell’acquisto alla comunione sarebbe precluso solo in presenza di modalità di acquisto fondate sul fenomeno della cd. attrazione reale, come l’accessione, imperniate su un meccanismo automatico inconciliabile con la formulazione testuale dell’art. 177, co. 1, lett. a) cod. civ..
Per converso sarebbero soggetti alla regola dell’imputazione automatica alla comunione legale quegli acquisti a titolo originario conseguenti a fenomeni di cd. attrazione personale, quali l’usucapione, connotati per una condotta attiva del soggetto che beneficia della concretizzazione del fatto acquisitivo.
La giurisprudenza di Legittimità pare, per ultimo, aver accolto tale impostazione escludendo che da un lato possano costituire oggetto di comunione immediata i beni acquistati in costanza di matrimonio per accessione, ed ammettendo, per converso, l’operatività della norma in esame in presenza di acquisti per usucapionem.
Quanto, poi, all’oggetto della comunione e, segnatamente, se ricadano in comunione legale solo gli acquisti aventi in oggetto diritti reali, ovvero anche diritti di credito, si segnalano tre differenti impostazioni.
La tesi più risalente escludeva, sulla scorta di un argomento storico-comparatistico, che i diritti di credito potessero costituire oggetto di comunione atteso che, tradizionalmente, la comunione ordinaria ha in oggetto esclusivamente diritti reali.
In tal senso la giurisprudenza ha escluso l’operatività del meccanismo automatico di cui all’art. 177, co. 1 lett. a) cod. civ. in presenza di obblighi di facere derivanti da preliminari di compravendita, come anche con riferimento alle somme depositate presso il conto corrente intestato esclusivamente ad uno dei coniugi.
La tesi opposta, favorevole alla ricaduta in comunione dei diritti di credito, opera una distinzione tra diritti di credito strumentali all’acquisto di diritti reali, che non ricaderebbero in comunione immediata trattandosi di valori transitori che non implicano uno stabile accrescimento della capacità patrimoniale, e diritti di credito cd. a carattere finale, ovvero investimenti stabili, che cadrebbero in comunione immediata.
In accoglimento di tale tesi la più recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto un valido criterio di discernimento tra diritti di credito imputabili ex art. 177, co. 1 lett a) cod. civ. alla comunione legale, e diritti di credito non imputabili, quello della stabilità dell’incremento patrimoniale (cfr. Cass. Civ., sent. 9 ottobre 2007, n. 21098), di modo da escludere l’operatività dell’acquisto solidale ope legis di somme oggetto di ritrasferimento.
In tal senso la Suprema Corte ha ritenuto che le i titoli azionari acquistati con proventi di uno solo dei due coniugi, sostanziandosi in uno stabile accrescimento patrimoniale, ricadono in comunione legale salvo non ricorra una delle cause di esclusione di cui all’art. 179, co. 1 cod. civ. (cfr. Cass. Civ., sent. 9 ottobre 2007, n. 21809).
2.3 (in approfondimento) L’acquisto per usucapione in costanza di matrimonio
Come si anticipava, benché la tesi ad oggi maggioritaria in giurisprudenza ritiene applicabile l’art. 177 co. 1, lett. a) cod. civ. agli acquisti per usucapione in costanza di comunione legale, dubbi residuano circa l’ambito temporale del possesso ad usucapionem valido ai fini dell’imputazione dell’acquisto alla comunione legale.
A tal riguardo la tesi decisamente maggioritaria ritiene di focalizzare l’attenzione sul momento del perfezionamento dei requisiti dell’usucapione di modo da escludere l’operatività del principio di cui all’art. in esame qualora i termini per usucapire siano spirati prima della costituzione della comunione ovvero dopo lo scioglimento dello stesso – fatta salva la possibilità di configurare l’acquisto congiunto in caso di compossesso successivo allo scioglimento della comunione, secondo le regole generali della comunione ordinaria.
Come è evidente le ricadute pratiche di tale orientamento, in punto di prova, implicano che, ai fini dell’accertamento della comunione legale sul bene usucapito, il coniuge istante non dovrà provare il compossesso della res, bensì, semplicemente, che i termini di perfezionamento dell’acquisto ad usucapionem siano spirati manente communione.
La tesi contraria, decisamente minoritaria in giurisprudenza, muovendo dalla cd. retroattività reale dell’acquisto per usucapione, ritiene che il momento acquisitivo deve individuarsi nel momento dell’immissione nel possesso del bene, con la conseguenza che affinché tale acquisto sia imputabile alla comunione legale è necessario non solo che il possesso per usucapire sia maturato, ma anche che sia iniziato manente communione (in tal senso cfr. Cass. Civ., sent. 28 giugno 2000, n. 8792).
2.4 (in approfondimento) L’edificazione di costruzione su proprietà fondiaria personale ex art. 179 cod. civ.
Come ampiamente precisato la giurisprudenza maggioritaria ha escluso l’operatività del principio di imputazione automatica degli acquisti manente communione ex art. 177, co. 1, lett. a) in presenza acquisto a titolo originario per accessione.[4]
Tuttavia in dottrina, a tale tesi, ad oggi maggioritaria, si contrappone una tesi minoritaria secondo cui le peculiarità della comunione legale derogherebbero il principio dell’accessione di modo che, verificatasi la stabile incorporazione al suole della nuova costruzione, tale nuova res venga acquisita, ricadendo, per ciò solo, in comunione ai sensi dell’art. 177, co. 1, lett. a) cod. civ.
Una posizione intermedia, sostenuta da autorevole dottrina (FINOCCHIARO), ritiene, invece, che da un lato la costruzione su proprietà fondiaria personale diviene, per accessione, di esclusiva proprietà del coniuge proprietario, e, dall’altro, che la vigenza della comunione legale implichi la limitazione del diritto di proprietà esclusivo sulla nuova costruzione, mediante la costituzione ex lege di un diritto di abitazione, in favore dell’altro coniuge, limitatamente alla durata della comunione legale.
In giurisprudenza, come si anticipava, non sussistono dubbi sull’operatività del principio dell’accessione in presenza di edificazione su fondo di esclusiva proprietà di uno dei coniugi.
Nell’eventualità che la costruzione sia stata effettuata con risorse di proprietà dell’altro coniuge o con somme ricadenti in comunione, invece, piena operatività è data degli artt. 935 ss. cod. civ., nel senso di ritenere il coniuge non proprietario legittimato a ripetere le somme indebitamente corrisposte per l’edificazione della nuova costruzione secondo lo schema generale della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ., ovvero, nel caso di impiego di risorse in comunione, legittimato a chiedere il rimborso della metà del valore della somma impiegata ai sensi dell’art. 194 cod. civ. (cfr. Cass. Civ., sent. 4 febbraio 2005, n. 2354).
E’ da escludere, invece, che l’impiego di somme che sarebbero entrate in comunione successivamente allo scioglimento delle stessa (cd. comunione de residuo) possano far sorgere diritti in capo all’altro coniuge atteso che, per principio generale, tali somme, manente communione, fin tanto che siano rispettati i doveri coniugali, rimangono nell’esclusiva disponibilità del singolo coniuge a cui appartengono.
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I beni personali. Meccanismi di esclusione dall’imputazione alla comunione legale
L’operatività del meccanismo di imputazione dei nuovi acquisti alla comunione legale è testualmente esclusa per i beni cd. personali, ai sensi dell’art. 179 co. 1 cod. civ.; e cioè in presenza di acquisti manente communione per liberalità o mortis causa, salvo non risulta contrariamente dal titolo (art. 179, co. 1 lett. b); di acquisti effettuati in costanza di comunione avente in oggetto beni di uso strettamente personale o destinati all’esercizio della professione del coniuge (art. 179, co. 1 lett. c e lett. d) ovvero di acquisti effettuati con “il prezzo del trasferimento dei beni personali sopra elencati, purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto” (art. 179, co.1 lett. f).
Ai sensi dell’art. 179 cpv l’esclusione dell’operatività del principio di cui all’art. 177, co. 1 lett. a) cod. civ. in presenza di acquisti successivi alla costituzione della comunione legale rientranti nelle categorie di beni indicati al co.1, lett. b), d) ed f)qualora risulti dal titolo “se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
Il regime di esclusione della comunione immediata pone alcune problematiche ermeneutiche di non poco conto. Anzitutto occorre stabilire quale sia la natura della dichiarazione resa dal coniuge non acquirente ai sensi dell’art. 179, co. 1 lett. f) e quale sia il valore della partecipazione dello stesso alla formazione del titolo.
In secondo luogo occorrerà vagliare le medesime questioni con riferimento alla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 179 cpv.
Per ultimo, a conclusione del presente contributo, si affronterà la problematica dell’ammissibilità di un negozio unilaterale a contenuto impeditivo finalizzato all’esclusione dell’operatività della comunione immediata a cui soventemente in letteratura e giurisprudenza si è fatto riferimento quale “rifiuto del coacquisto”.
3.1 (in approfondimento) Natura della dichiarazione resa dal coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, co. 1, lett. f) cod. civ.
Come si anticipava, gli acquisti di diritti di proprietà o godimento su beni immobili a titolo oneroso, il cui prezzo corrisposto costituisce provento di vendita di altri beni personali ai sensi dell’art. 179, co. 1 cod. civ. non ricadono in comunione dei beni, qualora tale circostanza sia desumibile dal titolo e se il coniuge non acquirente abbia partecipato alla formazione dell’atto ai sensi del successivo capoverso.
La natura della dichiarazione in questione è stata oggetto di un fervido dibattito dottrinale e giurisprudenziale, come anche il valore della partecipazione del coniuge alla formazione dell’atto.
Una tesi minoritaria, maggiormente sensibile alle esigenze di certezza dei traffici giuridici, ritiene che la dichiarazione resa e art. 179, co. 1 lett. f) abbia natura costitutiva escludendo il formarsi della comunione sul bene, con la conseguenza che, in assenza di tale dichiarazione, il bene deve ritenersi costituito in comunione indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti di fatto per l’esclusione.
La tesi maggioritaria ritiene, per converso, che la dichiarazione in questione abbia efficacia meramente probatoria nel senso che, in assenza della stessa, sarebbe comunque possibile ottenere l’accertamento dell’esclusione del bene dalla comunione immediata tramite l’accertamento della sussistenza dei presupposti fattuale individuati dalla norma.
Tale impostazione risulta maggiormente coerente al complessivo impianto normativo atteso che, a ragionare a contrario, si attribuirebbe al coniuge acquirente la facoltà di esercitare ad nutum un potere di esclusione dalla comunione effettuando la dichiarazione in questione.
Connessa alla problematica esaminata è quella relativa all’obbligatorietà della dichiarazione in questione. Coerentemente all’impostazione adottata dalla letteratura maggioritaria un orientamento della Cassazione ha affermato il valore meramente facoltativo della dichiarazione di cui all’art. 179, co. 1 lett. f) nella misura in cui la provenienza del corrispettivo dalla cessione di altri beni personali sia assolutamente certa.
Per converso, l’impostazione della giurisprudenza prevalente, coerentemente con il dato testuale della norma, ha ritenuto che la dichiarazione resa ai sensi dell’art. 179, co.1 lett. f) non sia meramente facoltativa, costituendo elemento essenziale, unitamente alla ricorrenza dei presupposti di cui all.art. 179, co. 1 lett. b), d) ed f), di una fattispecie negoziale complessa dal cui perfezionamento deriva l’effetto impeditivo dell’esclusione dalla comunione immediata, salvo che il carattere personale del bene corrispettivo sia di lampante evidenza.
L’obbiettiva certezza della provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto rende assolutamente irrilevante, invece, ai fini del perfezionamento del negozio impeditivo, la partecipazione adesiva del coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179 cpv cod. civ.[5]
3.1 (in approfondimento) Natura della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 179 cpv cod. civ. ed efficacia della partecipazione del coniuge non acquirente
In presenza di acquisti in costanza di matrimonio, l’esclusione dell’operatività della comunione immediata soggiace, con i contemperamenti su esposti, alla partecipazione adesiva del coniuge non acquirente nella formazione del titolo negoziale.
Come anticipato nel paragrafo precedente l’obbligatorietà o facoltatività della dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente è stata oggetto di un fervido dibattito scientifico e giurisprudenziale.
Una parte della dottrina, corroborata da alcune pronunce di legittimità, valorizzando il dato testuale, riteneva essenziale la partecipazione adesiva del coniuge non acquirente al fine del perfezionamento della fattispecie impeditiva, configurando la dichiarazione resa ex art. 179 cpv cod. civ. alla stregua di un atto negoziale a contenuto negativo che avrebbe efficacia anche al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 179, co. 1 lett. b), d) ed f) cod. civ. (Cass. Civ., sent. 2 giugno 1989, n. 45).
Più recentemente la Suprema Corte, nel confermare l’obbligatorietà della dichiarazione resa dal coniuge non acquirente, ha escluso che la dichiarazione adesiva costituisca atto negoziale, trattandosi, per converso, di dichiarazione di scienza o di intenti.
Ne segue, secondo il Supremo Consesso, che qualora la dichiarazione adesiva indichi il nuovo acquisto come riconducibile alle fattispecie di cui all’art. 179, co. 1 lett. f), la stessa sarà revocabile nei soli limiti consentiti per la confessione stragiudiziale.
Per converso, qualora la dichiarazione adesiva riconduca il nuovo acquisto nell’alveo dei beni di uso strettamente personale, sarebbe da escludere il valore confessorio attesa l’incompatibilità strutturale della dichiarazione di intenti con quanto disposto all’art. 2730 cod. civ. secondo cui la confessione verte su “fatti”, ove per questi debba intendersi accadimenti naturalistici e/o giuridici già compiuti.
Alla stregua di quanto affermato fin qui la Suprema Corte ha ritenuto la dichiarazione adesiva ex art. 179 cpv cod. civ. quale elemento necessario di una fattispecie complessa, la cui efficacia meramente ricognitiva, può essere superata dalla prova contraria dell’insussistenza dei presupposti di cui alle lett. c) e d) trattandosi di mere dichiarazione di intenti, ovvero revocata in presenza di dolo od errore, alla stregua della disciplina dettata per la confessione stragiudiziale, nei casi di cuall’art. 179, co. 1 lett. f).
3.2 (in approfondimento) Il rifiuto del coacquisto
L’operatività della comunione immediata sugli acquisti compiuti anche separatamente da uno dei coniugi parrebbe configurarsi quale regola generale, derogabile, osservando le precettate formalità, in ipotesi tassativamente previste dalla legge, e cioè nelle ipotesi di cui all’art. 179, co. 1 lett. b), d) ed f).
A corroborare siffatta affermazione depone il precetto vincolistico contenuto all’art. 160 cod. civ. da cui discende l’inderogabilità dei doveri che la legge fa discendere dal matrimonio.
Tra queste, indubbiamente, una volta esplicata l’autonomia negoziale dei nubendi nella scelta di quale regime patrimoniale adottare, vi sarebbe le regole contenute nella sez. III del capo IV del Titolo VI, del libro I cod. civ.
Va tuttavia precisato che, in dottrina, è stata paventata l’ammissibilità di un negozio unilaterale a contenuto impeditivo, avente in oggetto una dichiarazione del coniuge non acquirente in sede di formazione del titolo, finalizzato ad escludere l’operatività della regola della comunione immediata indipendentemente dalla ricorrenza delle fattispecie indicate all’art. 179, co. 1 cod. civ.
A sostegno della tesi dell’ammissibilità del cd. rifiuto del coacquisto, è stato sostenuto (RUSSO) che la circostanza della preventiva scelta del regime di comunione legale non può derivare il divieto, per ognuno dei partecipanti alla comunione, di rifiutare la cotitolarità della rispettiva quota di comproprietà su un bene, atteso che, per altro, costituisce principio generale dell’ordinamento – specie in materia contrattuale – la rifiutabilità dell’accrescimento patrimoniale non voluto, dovendosi ritenere preminente la tutela dell’interesse soggettivo a non subire modificazioni patrimoniali non volute, come vuole il brocardo nemo invitus loclupetari potest (cfr. Cass. Civ., sent. 2 giugno 1989 2688).
In vero la giurisprudenza, ad onta della posizione maggioritaria il letteratura, nega l’ammissibilità del rifiuto del coacquisto sostenendo “la natura pubblicistica dell’istituto della comunione legale, derogabile dai coniugi solo con convenzione programmatica onnicomprensiva” essendo per ciò “inammissibile un rifiuto della cotitolarità del singolo bene per atto dispositivo concreto, espressione di una visione atomistica, lesiva del principio solidaristico di tutela del coniuge più debole cui è ispirato l’istituto della comunione legale, rispondente ad un interesse pubblico” (cfr. Cass. Civ., sez. I, sent. 30 dicembre 2008, n. 30416).
A corroborare tale impostazione vi sarebbe anche l’intangibilità del principio di uguaglianza delle quote desumibile dall’art. 210, co. 3 cod. civ., dal quale desumere, linearmente, la nullità di qualsiasi atto negoziale finalizzato all’esclusione dell’operatività della comunione immediata.
Ne, a parere di chi scrive, l’art. 179 cpv può costituire valido strumento normativo da cui desumere la configurabilità dell’istituto del coacquisto, atteso che l’orientamento predominante della Suprema Corte esclude che la dichiarazione adesiva in questione si condizione sufficiente ad escludere l’imputazione dell’acquisto alla comunione, essendo necessario il verificarsi, alternativamente, dei presupposti di cui all’art. 179, co. 1 lett. b), d) ed f).
Ne segue che qualora la dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente difetti dei presupposti sostanziali, lo stesso potrà agire per ottenere l’accertamento della comunione legale, salvo il limite della revocabilità della dichiarazione resa ex art. 179, co. 1 lett. f) e co. 2 cod. civ. nei limiti ammessi per la confessione stragiudiziale.
Ciò per tanto è da escludersi che, allo stato dell’arte, possa attribuirsi qualsivoglia effetto negoziale alla dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente, la quale, per converso, si configura alla stregua di un atto giuridico in senso stretto, atteso che, fuor di dubbio, l’esclusione dell’operatività della comunione immediata, in presenza della sussistenza dei presupposti oggettivi previsti dal comma 1° della disposizione in esame, si verifica indipendentemente dalla volontà del coniuge non acquirente, trattandosi di un effetto voluto direttamente dalla legge.
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Conclusioni
In conclusione deve darsi atto di come, allo stato dell’arte, l’unico meccanismo di esclusione volontaria dell’operatività della comunione immediata si riduce alla formazione di convenzioni ex art. 162 cod. civ., essendo un atto negoziale particolare finalizzato a derogare l’operatività delle regole della comunione legale, nullo per contrarietà a norme imperative.
Di contro, in presenza dei presupposti di personalità del nuovo acquisto, la partecipazione adesiva del coniuge non acquirente permetterà il perfezionarsi di un negozio complesso avente in oggetto un diritto escluso dalla comunione legale.
Tuttavia, tale esclusione, non discende sic et sempliciter dalla dichiarazione adesiva, la quale ha funzione probatoria, bensì dalla sussistenza dei presupposti sostanziali di cui all’art. 179 co. 1 cod. civ., i quali possono ben costituire oggetto di un successivo accertamento.
Nel caso si successivo accertamento della comunione legale su un bene originariamente escluso per effetto della dichiarazione adesiva resa ai sensi dell’art. 179 cpv cod. civ., la domanda di annullamento del negozio con cui il coniuge acquirente ha alienato il bene asseritamente personale può essere trascritta, ai sensi dell’art. 1445 cod. civ., di modo da risultare opponibile a terzi nel rispetto del principio di continuità delle trascrizioni.
Note
[1] Tale teoria ritiene la comunione “una concorrenza di diritti di proprietà pieni limitati vicendevolmente, nel senso che la normale estensione dei poteri di signoria sulla cosa incontra l’unico limite nell’esercizio dei medesimi poteri da parte degli altri comunisti.
La coesistenza di poteri eguali e non frazionati, allora, è rimessa alla regola generale del divieto per i comunisti di estendere i poteri di signoria sulla cosa in danno degli altri, e cioè di porre in essere interventi che alterino sostanzialmente la destinazione d’uso della cosa in comune impedendo, anche solo ad uno degli altri comproprietari, l’uso pieno della res secondo il proprio diritto” (sull’argomento cfr. “Il rapporto tra comunione e accessione. L’acquisto a titolo originario dell’edificazione su fondo comune”, dott. Salvatore Tartaro in Salvis Juribus, 2019” http://www.salvisjuribus.it/il-rapporto-tra-accessione-e-comunione-lacquisto-a-titolo-originario-della-costruzione-edificata-sul-fondo-comune/).
[2] Tali sono i redditi personali dei coniugi e delle parti dell’unione civile; i beni destinati all’esercizio dell’attività d’impresa costituita da uno dei due coniugi (o parti dell’unione civile) in costanza del regime di comunione legale e gli incrementi dell’impresa costituita da uno dei due coniugi (o parti dell’unione civile) precedentemente alla costituzione della comunione.
[3] Cfr. Cass. Civ., sent. 14 aprile 2004, n. 7060.
[4] “L’operatività automatica del principio dell’accessione deriva dalla natura giuridica di tale modalità di acquisto della proprietà che dipende dal verificarsi della stabile incorporazione dell’opera sul suolo, e cioè dal verificarsi di un fatto giuridico in senso stretto, con la precipua conseguenza che il momento acquisitivo della proprietà coincide con quello della realizzazione dell’opera, sicché la pronuncia di acquisto della proprietà per accessione ha natura meramente dichiarativa” (sull’argomento cfr. “Il rapporto tra comunione e accessione. L’acquisto a titolo originario dell’edificazione su fondo comune”, dott. Salvatore Tartaro in Salvis Juribus, 2019” ).
[5] In tal senso la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che “l’obbiettiva certezza del carattere personale del bene corrispettivo (…) esclude la necessità che il coniuge acquirente debba rendere la dichiarazione di cui all’art. 179, co.1 lett. f), prevista a tutela di terzi, onde garantirsi la personalità (per surrogazione) dell’acquisto medesimo. (…) detta obbiettiva certezza esclude, inoltre, che ai fini della personalità dell’acquisto sia necessaria la partecipazione dell’altro coniuge” (v. Cass. Civ., sent. 8 febbraio 1993, n. 1556)
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