La massima
In caso di infezione conseguente ad emotrasfusioni o ad utilizzo di emoderivati, opera la “compensatio lucri cum damno” fra l’indennizzo ex l. n. 210/1992 ed il risarcimento del danno anche laddove non sussista apparente coincidenza tra il danneggiante ed il soggetto che eroga la provvidenza (nella specie, rispettivamente, ASL e Regione), qualora possa comunque escludersi che si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile, restando in tal caso irrilevante che la l. n. 210/1992 non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa in favore di chi abbia erogato l’indennizzo.
Il caso
La Signora G.B. in data 15.08.1990 si sottopone ad un intervento chirurgico presso l’Ospedale di Perugia, clinica di ostetrica e ginecologia, durante il quale si rende necessario somministrarle due trasfusioni di sangue, da cui la stessa ha contratto epatopatia HVC.
G.B. ottiene l’indennizzo ex l.210/1990 previsto per le vittime di emotrasfusioni infette dalla ASL e nel 2007 decide di agire in giudizio contro la disciolta ULSS n. 3, la Regione Umbria e il Ministero della Salute per ottenere il ristoro del danno fisico di natura iatrogena, del danno morale e di quello esistenziale.
Il Tribunale di Perugia con sentenza del 02.12.2013 accoglieva le richieste di G.B. condannando i convenuti al pagamento di quanto richiesto. Questi ultimi ricorrevano alla Corte di Appello di Perugia che con sentenza del 12.02.2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda di G.B. che ricorreva quindi in Cassazione.
In diritto
I convenuti respingono la domanda di risarcimento avanzata da G.B. eccependo la prescrizione quinquennale del diritto, l’assenza di nesso causale e la mancanza di colpa rispetto alle procedure esistenti all’epoca e, soprattutto, la compensatio lucri cum damno motivazione attorno a cui ruoterà poi la decisione della Corte. Secondo i convenuti infatti, le pretese avanzate da G.B. andrebbero a compensarsi con l’indennizzo che riconosce la L.210/92 per le vittime di emotrasfusioni infette e che G.B. ha già percepito .
La compensatio lucri cum damno è un principio di diritto non codificato, bensì elaborato dalla dottrina e riconosciuto in giurisprudenza secondo cui la quantificazione del risarcimento del danno deve essere operata tenendo in considerazione gli eventuali vantaggi che il danneggiato possa aver conseguito direttamente dal fatto illecito che ha causato il danno (ad es. altri risarcimenti che il danneggiato ha percepito dal responsabile a vario titolo in conseguenza dello stesso fatto) (ex multis Cass. Sez. II 7612/99) Tali vantaggi devono essere conseguenza immediata e diretta dell’illecito, altrimenti la compensazione non può operare (Cass. Civ.Sez III 12248/2013) In buona sostanza, si tratta di un principio teso ad evitare che la vittima possa godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. N. 20111/2014, Cass. N. 991/2014). La compensatio infatti opera in tutti i casi in cui vi è una coincidenza tra il soggetto autore dell’illecito e quello chiamato ad erogare il beneficio ( Cass. S.U. n. 12564/2018).
Ed è proprio in base a questo che G.B. contesta le difese dei convenuti: non vi sarebbe infatti, secondo l’attrice, coincidenza fra i soggetti tenuti a corrispondere l’indennizzo (aziende sanitarie) e quelli tenuti al risarcimento dei danni (Ministero della Salute). Inoltre la L. 210/92 non prevede un meccanismo che consenta a chi eroga l’indennizzo di rivalersi sul danneggiante, non vi è quindi la possibilità che il medesimo soggetto si trovi a corrispondere indennizzo e risarcimento, neppure indirettamente per effetto della rivalsa.
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La decisione
Diviene quindi essenziale, ai fini della decisione, analizzare i rapporti tra aziende sanitarie, Regioni e Ministero della Salute, soggetti tutti che a vario titolo operano in ambito sanitario, ed è proprio in questo senso che procedono gli ermellini, concludendo che non vi è coincidenza fra i soggetti tenuti a corrispondere l’indennizzo e quelli tenuti al risarcimento dei danni solamente da un punto di vista puramente formale: l’erogazione dell’indennizzo ex L. 210/92 originariamente gravante sul Ministero della Salute, è stato successivamente demandato alle Regioni per effetto dell’art. 114 D.Lgs 112/98. La legittimazione passiva del Ministero è pertanto solamente formale.
Le Regioni, a loro volta, operano nell’ambito delle funzioni di tutela pubblica della salute, proprie del Servizio Sanitario Nazionale, di cui le ASL sono articolazioni locali, alimentate in massima parte con finanziamenti che dallo Stato vengono trasferiti alle Regioni. Sebbene i soggetti che operano in ambito sanitario siano molteplici (Regioni e Asl), le finalità sono uniche, così come la provenienza delle risorse economiche. Così motivando, la Suprema Corte individua quindi, sul piano sostanziale, un’unica parte pubblica, pur variamente articolata, che è chiamata a rapportarsi con le vittime di emotrasfusioni infette, provvedendo quindi sia all’erogazione dell’indennizzo che all’eventuale risarcimento del danno, a nulla rilevando quindi che la L. 210/92 non preveda un meccanismo di rivalsa.
La Suprema Corte respinge quindi le richieste di G.B., confermando la sentenza della Corte d’Appello di Perugia.
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