La vicenda
Nel caso oggetto della sentenza in commento aveva chiamato in causa la struttura sanitaria e i medici invocando la loro responsabilità per la non corretta esecuzione di un intervento chirurgico di asportazione totale della laringe e per la mancanza del consenso informato precedentemente ha detto intervento. In particolare, parte attrice lamentava che, in ragione della presenza di un cancro alla laringe, il primo intervento di asportazione non era riuscito e, per le sue complicanze, aveva dovuto subire altri tre interventi, all’esito dell’ultimo dei quali gli era stata tolta la laringe e aveva perso la fonesi. Quanto riguarda detto ultimo intervento, inoltre, parte attrice lamentava di non essere stato informato di tale asportazione e che, invece, egli era stato informato che il trasferimento nella sala operatoria era finalizzato soltanto ad una revisione della ferita relativa alle precedenti operazioni.
La difesa della struttura sanitaria convenuta si basava principalmente sul fatto che l’intervento chirurgico fosse stato eseguito in via d’urgenza e che il consenso informato fosse stato reso oralmente.
La domanda di parte attrice veniva rigettata in primo grado dal tribunale di Foggia e successivamente, a seguito dell’appello promosso dagli eredi del paziente, la Corte d’appello di Bari accoglieva la domanda di parte attrice , accettando la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici convenuti per violazione degli obblighi su di loro i commenti relativi al consenso informato.
I convenuti hanno, quindi, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado della corte d’appello di Bari, sulla base di due distinti motivi:
- in primo luogo, in quanto la corte d’appello avrebbe fondato la propria decisione sulla circostanza semplicemente dichiarata da parte attrice che il paziente, se fosse stato messo a conoscenza dei rischi e delle conseguenze dell’operazione chirurgica, non avrebbe reso il consenso all’intervento e da ciò avrebbe tratto la conseguenza che tale asserita mancanza di consenso informato e idonea a determinare una responsabilità della struttura sanitaria e dei medici al pari delle rate esecuzione dell’intervento chirurgico. Secondo il ricorrente, quindi, la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere effettivamente realizzatasi tale circostanza semplicemente in base alla dichiarazione formulata da parte attrice in primo grado, non avendo invece parte attrice reiterato tale affermazione anche in sede di appello. Costanza, quest’ultima, che, secondo i ricorrenti, determinerebbe un abbandono della questione.
- Per quanto riguarda il secondo motivo, i ricorrenti hanno sostenuto l’erroneità della sentenza di seconde cure nella misura in cui questa ha sostenuto che la mancanza del consenso informato deve essere equiparata alle rate esecuzione della prestazione chirurgica dal punto di vista del risarcimento e conseguentemente ha determinato sussistente un danno biologico a carico del paziente, pari al 65%, nonostante l’intervento fosse stato correttamente eseguito.
La decisione
La corte di cassazione ha accolto il ricorso formulato dai sanitari e dalla struttura, fissando la sentenza d’appello, e, entrando nel merito della vicenda, ha anche rigettato le domande proposte dal paziente e poi proseguite dai suoi eredi.
In primo luogo, gli ermellini hanno preso atto che la corte d’appello avesse ritenuta dimostrata la mancanza di un idoneo consenso informato relativamente alle complicanze emerse da due degli interventi subiti dal paziente. In particolare, il paziente era stato sempre aggiornato circa il proprio stato di salute, ma non gli era stata fornita una informazione adeguata sulle complicanze, i rischi e le conseguenze degli interventi chirurgici. Inoltre, nel giudizio di merito non era emersa alcuna prova della sussistenza di una situazione di urgenza ed invece era emerso che l’intervento di asportazione totale laringe era sicuramente prevedibile in base alla situazione concreta del paziente.
Secondo la corte di cassazione, però, la mancanza del consenso informato può comportare un risarcimento del danno soltanto quando siano derivate delle conseguenze pregiudizievoli dalla violazione del fondamentale diritto all’autodeterminazione del paziente, indipendentemente da una lesione della salute del paziente. Si tratta, in altri termini, di tutelare la libertà decisionale della persona e del suo diritto a prendere decisioni inerenti la propria salute soltanto dopo aver avuto una adeguata informazione circa le prevedibili conseguenze dell’intervento, della possibilità che le sue condizioni di salute si aggravino dopo il medesimo nonché delle sofferenze che subirà durante il percorso riabilitativo successivo all’intervento stesso.
Secondo gli ermellini, nel caso in cui – come quello di specie – l’intervento sia correttamente eseguito e non abbia causato alcun danno alla salute del paziente, ma questo ultimo lo avrebbe rifiutato nel caso in cui fosse stato adeguatamente informato nei termini di cui sopra, la lesione del diritto all’autodeterminazione comporterà il risarcimento del danno soltanto nel caso in cui il paziente abbia subito delle conseguenze dell’intervento che egli non si aspettava di dover subire e che quindi non si era predisposto ad affrontare dopo l’operazione. Ebbene, la Corte di Cassazione ritiene che, nel caso di specie, parte attrice non avesse formulato una tale richiesta danni in primo grado, ma aveva soltanto chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale per l’invalidità temporanea assoluta, relativa e permanente nonché per il danno morale e per la violazione della capacità lavorativa specifica, derivanti tutti dalla responsabilità medica dell’attività professionale eseguita dai sanitari e per la violazione del consenso informato. Pertanto, l’accertamento che il giudice di merito avrebbe dovuto compiere riguardava la possibilità che il paziente fosse stato messo in grado di prepararsi ad affrontare le conseguenze dell’intervento nella fase postoperatoria in maniera consapevole. In tal caso, secondo i giudici supremi, spetta al paziente, il quale lamenta che l’intervento è stato compiuto senza il suo consenso informato e il quale richiede il risarcimento del danno a causa delle conseguenze prevedibili di un intervento necessario e eseguito correttamente, provare e se fosse stato adeguatamente informato circa le conseguenze egli avrebbe rifiutato intervento stesso: in altri termini toccava all’attore dimostrare, anche attraverso presunzioni, che nel caso di specie non avrebbe autorizzato l’operazione che gli ha salvato la vita.
In considerazione del fatto che parte attrice non ha ottemperato all’onere probatorio suddetto, la Corte di Cassazione ha quindi ritenuto di cassare la decisione impugnata e, non ritenendo necessari ulteriori accertamenti, ha anche deciso nel merito la questione rigettando le domande di parte attrice.
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