La volontà di diseredare rappresenta il possibile contenuto del testamento, atto che offre l’occasione per esprimere le proprie valutazioni in ordine alla condotta che taluni soggetti hanno tenuto quando il testatore era ancora in vita.
La volontà destituiva può essere espressa direttamente attraverso una specifica clausola con la quale si manifesta la volontà di escludere dalla successione una determinata persona – e talvolta tale clausola può esaurire il contenuto del testamento – così come può essere implicita nell’attribuzione di tutti i beni ereditari ad altri soggetti attraverso l’istituzione di eredi universali o legati.
Poiché il nostro ordinamento disciplina compiutamente la facoltà di regolamentare la destinazione post mortem del proprio patrimonio mentre nulla dice in ordine alla possibilità di impedire la chiamata all’eredità di un successibile si è posto il problema della validità della clausola di diseredazione.
La posizione di dottrina e giurisprudenza in materia di diseredazione ha subito nel tempo una profonda evoluzione.
Invalidità della mera diseredazione
Punto di partenza è la definizione di testamento contenuta nell’articolo 587 del Codice Civile.
L’articolo 587 del Codice Civile al primo comma stabilisce che il testamento è l’“atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse ” ed al secondo comma precisa che “le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano inserite in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma di testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale ”.
Poiché in detta norma si afferma che il testamento è l’atto con il quale taluno “dispone…..di tutte le proprie sostanze o di parte di esse” dottrina e giurisprudenza riconoscono al medesimo natura essenzialmente dispositiva e quindi patrimoniale e conseguentemente ritengono nullo un testamento con contenuto non patrimoniale, fatte salve le ipotesi contemplate dal secondo comma del citato articolo 587 del Codice Civile.
E’ per questo motivo che – superata una prima fase in cui la disposizione destituiva era considerata invalida tout court – è stata affermata la legittimità della diseredazione solo nel caso in cui essa sia accompagnata da disposizioni positive intese come disposizioni con le quali vengono attribuiti beni ad altri soggetti e/o vengono istituiti eredi e legatari.
Viceversa, la scheda testamentaria il cui contenuto si esaurisca nella dichiarazione del testatore di volere escludere dalla successione un proprio congiunto senza peraltro disporre del proprio patrimonio a favore di altri soggetti è invalida ed inefficace perché priva di quel contenuto patrimoniale richiesto dall’articolo 587 del Codice Civile.
L’inefficacia deriverebbe proprio dal fatto che la clausola di diseredazione è una clausola a contenuto meramente negativo e quindi non patrimoniale.
Diseredazione come implicita disposizione del patrimonio ereditario
Se da una parte si afferma che la natura patrimoniale del testamento richiede che lo stesso sia utilizzato dal testatore per dare disposizioni in ordine al proprio patrimonio attribuendo sostanze o nominando eredi o legatari, dall’altra si riconosce che non è necessario, ai fini della validità dello stesso, che tali disposizioni siano espresse.
Il testamento è ugualmente valido ed efficace se nella destituzione del successibile è insita la volontà di attribuire beni ereditari ad altri soggetti.
In tal caso la clausola di diseredazione, determinando una implicita attribuzione di beni, acquista natura patrimoniale ed il testamento di cui essa costituisce l’esclusivo contenuto è valido proprio perché ha quel contenuto patrimoniale richiesto dall’articolo 587 del Codice Civile.[1]
Mentre alcuni hanno ammesso la semplice presunzione di esistenza della volontà dispositiva, la prevalente giurisprudenza di legittimità ne ha richiesto la prova ritenendo necessario che la tale volontà risulti dal tenore della manifestazione di volontà ablativa o dal tenore dell’intero testamento.
In presenza di un testamento che contenga la sola diseredazione è pertanto necessario accertare se sia possibile rinvenire nello stesso questa doppia valenza della volontà ablativa (destituzione del successibile e disposizione del patrimonio ereditario a favore di altri) e nel caso in cui essa sussista sarà possibile ricostruire l’effettivo contenuto della volontà istitutiva anche attraverso elementi esterni dalla scheda testamentaria[2] .
In conclusione, la clausola di diseredazione è valida solo se contenuta in un testamento in cui siano presenti anche disposizioni positive implicite (in quanto insite nella stessa volontà abdicativa) od esplicite (costituite da legati od istituzioni di erede).
La natura patrimoniale della clausola di diseredazione
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 25 maggio 2012 n. 8352 ha cambiato direzione riconoscendo la contraddittorietà della predetta corrente interpretativa: la clausola di diseredazione, valida solo se inserita in un testamento in cui siano presenti anche disposizioni positive, acquista validità ed efficacia anche in un testamento che esaurisce il suo contenuto nella stessa diseredazione se si rinviene nel medesimo una volontà implicita di effettuare anche attribuzioni patrimoniali a favore di altri soggetti.
Secondo gli Ermellini il punto critico di questo indirizzo è costituito proprio dal significato che viene attribuito al termine “dispone” contenuto nel primo comma dell’articolo 587 del Codice Civile.
Esso non può essere interpretato solo nel senso di attribuzione di beni od istituzione di eredi e legati posto che il testatore può disporre del proprio patrimonio anche attraverso destituzioni.
La diseredazione infatti, escludendo il successibile, comporta inevitabilmente una disposizione del patrimonio ereditario post mortem: in presenza di un testamento che contiene la sola volontà destituiva senza istituzione di eredi o legatari si aprirà la successione legittima a favore dei soggetti non diseredati, successione che sarà influenzata dalla mancanza del diseredato.
L’esclusione del successibile, infatti, potrà comportare la chiamata ex lege di uno o più soggetti che altrimenti sarebbero stati esclusi dalla successione oppure determinare l’incremento della quota di eredità spettante, sempre ex lege, al non diseredato.
La clausola di diseredazione ha sempre natura patrimoniale proprio perché rappresenta uno dei possibili mezzi attraverso i quali il testatore può disporre dei suoi beni e pertanto non può mai incidere sulla validità ed efficacia del testamento nemmeno quando quest’ultimo contiene la sola manifestazione di volontà ablativa.
Sulla base di queste argomentazioni la Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “E’ valida la clausola del testamento con la quale il testatore manifesti la propria volontà di escludere dalla propria successione alcuni dei successibili.“, principio ribadito anche dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civile 17 ottobre 2018 n. 26062).
Sul punto:”Diseredazione: casi pratici e analisi giuridica”
Limite alla diseredazione
Il testatore, pertanto, può liberamente decidere di diseredare qualcuno ed il suo testamento sarà valido ed efficace anche se contiene solo la clausola di diseredazione.
In tal caso, infatti, la successione si aprirà a favore dei successibili non diseredati secondo le norme che regolano la successione legittima.
Tuttavia non si deve dimenticare che questa libertà del testatore incontra un limite: la tutela dei legittimari.
Non è infatti possibile escludere dalla successione quei soggetti ai quali “la legge riserva una quota di eredità o altri diritti” (articolo 536, primo comma, Codice Civile) ovvero il coniuge, i figli e gli ascendenti.
La quota riservata agli stretti congiunti del de cuius è intangibile e rappresenta un limite invalicabile alla libertà che l’ordinamento giuridico riconosce al testatore.
Egli può solo incidere sulla composizione di tale quota attribuendo al legittimario determinati beni ereditari anziché altri (si parla infatti di intangibilità quantitativa della legittima[3]) ma non può assolutamente impedire al legittimario di conseguire quanto gli spetta per legge (articolo 457, terzo comma, del Codice Civile).
Se ciò avviene il legittimario potrà esercitare l’azione di riduzione per ottenere la reintegrazione della quota di riserva (articoli 553 e seguenti del Codice Civile).
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Note
[1] Cassazione Civile 20 giugno 1967 n. 1458: “Ai sensi dell’articolo 587 c.c., comma 1, il testatore può validamente escludere dall’eredità, in modo implicito o esplicito, un erede legittimo, purchè non legittimario, a condizione, però, che la scheda testamentaria contenga anche disposizioni positive e cioè rivolte ad attribuire beni ereditari ad altri soggetti, nelle forme dell’istituzione di erede o del legato. E’ quindi nullo il testamento con il quale, senza altre disposizioni, si escluda il detto erede, diseredandolo. Peraltro, qualora dall’interpretazione della scheda testamentaria risulti che il de cuius, nel manifestare espressamente la volontà di diseredare un successibile, abbia implicitamente inteso attribuire, nel contempo, le proprie sostanze ad altri soggetti, il testamento deve essere ritenuto valido, contenendo una vera e propria valida disposizione positiva dei beni ereditari, la quale e’ sufficiente ad attribuire efficacia anche alla disposizione negativa della diseredazione…“.
[2] Cassazione Civile 23 novembre 1982 n. 6339; Cassazione Civile 18 giugno 1994 n. 5895: “la volontà di diseredazione di alcuni successibili può valere a fare riconoscere una contestuale volontà di istituzione di tutti gli altri successibili non diseredati solo quando, dallo stesso tenore della manifestazione di volontà o dal tenore complessivo dell’atto che la contiene, risulti la effettiva esistenza della anzidetta autonoma positiva volontà del dichiarante, con la conseguenza che solo in tal caso è consentito ricercare, anche attraverso elementi esterni e diversi dallo scritto contenente la dichiarazione di diseredazione, l’effettivo contenuto della volontà di istituzione.”.
[3] Cassazione Civile 12 settembre 2002 n. 13310: “Il principio dell’intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni – di qualunque natura – purchè compresi nell’asse ereditario”.
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