Alcune importanti precisazioni ermeneutiche in materia di continuazione in sede di esecuzione penale: vediamo quali

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(Normativa di riferimento: C.p.p art. 671)

Il fatto

La Corte di appello di Firenze, accoglieva parzialmente l’istanza, presentata nell’interesse di C. B., volta, oltre che alla revoca di una sentenza ai sensi dell’art. 69, comma 8, cod. proc. pen., al riconoscimento del vincolo della continuazione, in executivis: a) tra i reati per cui B. è stato condannato con cinque sentenze, inserite, ai punti 4), 5), 6), 7) e 8) (relative ai reati di: resistenza a pubblico ufficiale, commesso il 18 giugno 2011, violazioni del foglio di via obbligatorio, commesse il 28 giugno 2011, mancata presentazione alla Questura, commesso il 12 luglio 2011, rapina aggravata, commessa il 19 luglio 2011) del cumulo emesso dalla Procura generale toscana, e quelli per i quali egli ha riportato tre ulteriori condanne con sentenze allegate all’istanza ai numeri 2), 3) e 4) (relative, ai reati di: resistenza a pubblico ufficiale, commesso il 20 giugno 2011, violazioni del foglio di via obbligatorio, commesse tra il 23 giugno ed il 26 luglio 2011 e, poi, tra il 27 giugno ed il 21 luglio 2011); b) tra i reati per cui il B. è stato condannato con due sentenze, inserite, ai punti 1) e 2) del cumulo emesso dalla Procura generale toscana e relative a fatti di ricettazione accertati, rispettivamente, il 15 aprile 2004 ed il 17 giugno 2004.

Il giudice dell’esecuzione aveva, in specie, rigettato la richiesta di revoca della sentenza per carenza della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni indicate dall’art. 669 cod. proc. pen. e osservato, quanto alla continuazione, che l’unicità del disegno criminoso può essere apprezzata con riferimento alle violazioni del foglio di via obbligatorio ed alla mancata presentazione alla Questura e, separatamente, tra le due ricettazioni ma non anche alle ipotesi di resistenza a pubblico ufficiale, connesse a situazioni contingenti, ed alla rapina, fattispecie del tutto eterogenea quanto a natura e modalità e, peraltro, commessa in concorso con altri soggetti in danno di esercizio commerciale, non influendo, peraltro la allegata condizione di tossico o alcol dipendenza, che non risulta aver costituito fattore avente specifica incidenza sulla commissione dei reati.

Vedi:”Quando è applicabile la continuazione”

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Il B. proponeva, tramite il difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi, così formulati: 1) violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 533 cod. proc. pen. con riguardo all’omessa specificazione dei criteri che hanno orientato la discrezionalità del giudice nel determinare gli aumenti di pena per i singoli reati per i quali è stata riconosciuta la continuazione; 2) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per avere il giudice dell’esecuzione irragionevolmente escluso la continuazione tra le violazioni al foglio di via obbligatorio e la rapina, commessa nel medesimo arco temporale ed espressione, al pari degli altri reati, di un unico disegno criminoso che, originato dalla condizione di dipendenza da alcol, aveva indotto il B. a permanere nell’area dalla quale avrebbe dovuto allontanarsi allo scopo dì commettere reati funzionali al reperimento di somme di denaro; 3) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per avere il giudice dell’esecuzione, contraddittoriamente, riconosciuto la continuazione tra le due ricettazioni e non anche tra le due resistenze a pubblico ufficiale, commesse entrambe in Viareggio ed a distanza di appena due giorni; 4) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per avere omesso di valutare l’istanza originaria nella parte in cui sollecitava anche l’applicazione del vincolo della continuazione tra i due reati di resistenza a pubblico ufficiale.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Cassazione riteneva il ricorso infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava in via preliminare come la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, avesse individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, omissis, Rv. 255156) rilevando al contempo che, da un lato, tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, omissis, Rv. 252950), dall’altro, la verifica di tale preordinazione non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, omissis, Rv. 267596).

Tal che se ne faceva conseguire come il “riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, omissis, Rv. 270074)” osservandosi, in particolare, che, per quanto concerne, più specificamente, il disposto dell’art. 671, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen., secondo cui «Fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza», la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «lo stato di tossicodipendenza deve essere valutato come elemento idoneo a giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo a reati che siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’istituto previsto dall’art. 81, comma secondo, cod. pen. (così, tra le tante, Sez. 1, n. 50716 del 07/10/2014, omissis, Rv. 261490)».

Una volta delineato questo quadro giurisprudenziale, gli ermellini facevano presente, nella decisione in commento, che il giudice dell’esecuzione avesse spiegato, ricorrendo ad un apparato argomentativo completo e logico, perché il vincolo della continuazione non potesse essere riconosciuto tra le contravvenzioni al foglio di via obbligatorio e la rapina commessa in concorso con altro soggetto ed in pregiudizio di un esercizio commerciale, in senso contrario non apparendo decisiva la contestualità spaziotemporale delle condotte né la spinta a delinquere di bisogno legata alla dipendenza.

Posto ciò, a fronte dei rilievi avanzati con il secondo motivo di ricorso, la Corte replicava sostenendo, da una parte, come la totale eterogeneità, dal punto di vista dei beni offesi, delle condotte — funzionali, rispettivamente, a permanere su quella porzione di territorio ed a procurarsi un ingiusto profitto patrimoniale — costituisse elemento in radice ostativo al riconoscimento dell’invocata continuazione, apparendo ragionevole, sulla scorta del compendio probatorio risultante dalle sentenze di condanna, ritenere, come avesse fatto il giudice dell’esecuzione in forza di valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, che B., nel momento in cui decise di sottrarsi, peraltro ripetutamente, alla prescrizione di allontanarsi dal territorio viareggino, non si era ancora prefigurato, neanche a grandi linee, che avrebbe commesso, nei giorni seguenti, la rapina de qua agitur, dall’altra, come non fosse dato comprendere in qual modo la dedotta condizione di dipendenza (da alcol, in quanto tale non assimilabile tout court a quella da sostanze stupefacenti, come chiarito, tra le altre, da Sez. 1, n. 7953 del 07/12/2017, dep. 2018, omissis, non massimata) avesse costituito veicolo di unificazione di condotte offensive di beni distinti e solo in parte funzionali al conseguimento di un obiettivo di natura economica.

Si palesava inoltre ineccepibile, ad onta di quanto eccepito dal ricorrente con il terzo ed il quarto motivo, la decisione impugnata nella parte in cui negava che i due reati di resistenza a pubblico ufficiale, frutto di determinazioni ad ogni evidenza estemporanee e contingenti, costituissero espressione di un disegno criminoso unitario così esprimendo un giudizio che appariva, ad avviso della Corte, esente dai denunziati vizi di legittimità anche laddove posto a confronto con quello, di tenore opposto, espresso con riferimento alle due ricettazioni, condotte rientranti in una tipologia criminosa assai più compatibile, rispetto al delitto sanzionato dall’art. 337 cod. pen. (che scaturisce dal contatto, per sua natura difficilmente preventivabile, con uno o più pubblici ufficiali), con l’unitarietà del disegno criminoso.

Per di più, si stimava come fosse infondato anche il primo motivo di ricorso con cui B. lamentava che il giudice dell’esecuzione non avesse offerto una specifica motivazione in ordine alla determinazione degli aumenti di pena inflitti per ciascun reato per il quale aveva riconosciuto la continuazione rilevandosi a tal proposito come il giudice dell’esecuzione avesse irrogato, a titolo di continuazione, aumenti nella seguente misura: a) quindici giorni di arresto per ciascuno dei reati accertati con le sentenze emesse, rispettivamente, dal Tribunale di Lucca il 17 giugno 2015 e dal Tribunale di Firenze il 17 febbraio 2015, con ognuna delle quali B. è stato condannato alla pena di un mese di arresto; b) quarantacinque giorni di arresto per ciascuno dei reati accertati con le sentenze emesse dalla Corte di appello di Firenze il 12 maggio 2016 ed il 30 aprile 2015, con le quali B. era stato condannato alla pena, rispettivamente, di due mesi e quindici giorni di arresto e due mesi e cinque giorni di arresto; c) tre mesi di reclusione per il reato accertato con la sentenza del Tribunale di Firenze del 4 aprile 2006, con la quale il B. era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione e 300 euro di multa.

Tal che, una volta dedotto come il riepilogo testé operato consentisse di apprezzare la logica seguita dal giudice dell’esecuzione nel determinare gli aumenti nella misura di non più della metà della sanzione irrogata per i singoli reati nella sede di cognizione, così implicitamente mostrando di avere adeguatamente tenuto conto del minor disvalore di tali condotte, in quanto espressive del medesimo disegno criminoso in attuazione del quale sono stati commessi gli altri reati e non già di autonoma determinazione criminosa, se ne faceva conseguire come non sussistesse il denunziato vizio di legittimità non pretendendosi, a fronte di riduzioni di pena tanto significative, uno specifico onere motivatorio, secondo quanto confermato, con argomento a contrario, dall’indirizzo ermeneutico corrente presso la giurisprudenza di legittimità stando al quale: «In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, il giudice che, per il reato-satellite, ritenga di applicare un aumento di pena prossimo alla pena irrogata dal giudice della cognizione, è tenuto a fornire specifica motivazione sulle ragioni dell’entità di detto aumento, atteso che il riconoscimento del medesimo disegno criminoso implica, di per sé, una minore offensività della condotta illecita aggiuntiva (Sez. 1, n. 23352 del 14/09/2017, omissis, Rv. 273050)» posto che, nel caso di riconoscimento del medesimo disegno criminoso, emerge una minore offensività delle condotte illecite, derivante dall’unitarietà della spinta a delinquere ed era dunque ragionevole inferire, ad avviso della Corte, che, solo qualora si ritenga di mantenere inalterata la pena detentiva irrogata in sede di cognizione o di effettuare solo una lieve diminuzione dell’entità della pena pecuniaria, sussiste un obbligo rigoroso di enunciarne le ragioni in termini sufficientemente approfonditi.

Il ricorso veniva pertanto rigettato con conseguente condanna di B. al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..

Conclusioni

La sentenza in questione è sicuramente condivisibile, oltre ad essere assai interessante oltre che utile.

Difatti, in questa pronuncia, gli ermellini hanno richiamato diversi principi di diritto da doversi tenere in considerazione per potersi applicare la disciplina della continuazione in sede di esecuzione penale.

Tra questi, in particolare, possono richiamarsi i seguenti: a) il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea; b) lo stato di tossicodipendenza deve essere valutato come elemento idoneo a giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo a reati che siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’istituto previsto dall’art. 81, comma secondo, cod. pen.; c) in tema di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, il giudice che, per il reato-satellite, ritenga di applicare un aumento di pena prossimo alla pena irrogata dal giudice della cognizione, è tenuto a fornire specifica motivazione sulle ragioni dell’entità di detto aumento, atteso che il riconoscimento del medesimo disegno criminoso implica, di per sé, una minore offensività della condotta illecita aggiuntiva.

Va da sé dunque come tali criteri ermeneutici, anche attraverso il richiamo a quanto statuito in questa pronuncia, ben possono essere utilizzati ogniqualvolta venga richiesta la continuazione in executivis.

Il giudizio su tale pronuncia, pertanto, si ribadisce, non può che essere positivo.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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