La revoca dell’autorizzazione commerciale e la sospensione del titolo

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Principio di proporzionalità e revoca

Il provvedimento di revoca di una licenza commerciale ex art. 110 TULPS – nel suo impianto teleologico – attesa la irreversibilità degli effetti (che implica la definitiva chiusura dell’esercizio commerciale e l’impossibilità, per l’avente diritto, di conseguire nuovamente il titolo abilitativo) deve caratterizzarsi – a fronte dei lacunosi presupposti laconicamente invocati nella motivazione dell’atto – per la perfetta rispondenza ai principi di tassatività e proporzionalità, attesa la sua intrinseca natura afflittiva e sanzionatoria che diversamente contrasterebbe con i principi di tassatività delle fattispecie contenute nel T.U.L.P.S. (non è infatti contemplata normativamente alcuna ipotesi di diretta e immediata revoca del titolo autorizzativo per analoghe ipotesi, peraltro neppure preceduta da sospensone).  

La tassatività e la proporzionalità

 L’iter logico argomentativo di un provvedimento di revoca, premesso che le autorizzazioni di polizia costituiscono – sia ai fini del rilascio, sia della relativa sospensione o revoca – la risultante di un esercizio discrezionale delle potestà pubbliche, è innegabilmente riconducibile (cfr. art. 10 T.U.L.P.S.) – affinché possa essere legittimamente esercitato –  a fatto che non costituisca un «abuso» del soggetto interessato (così l’art. 10: «Le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata») suscettibile di concreto apprezzamento, la cui misura deve essere ricondotta a un oggettivo e innegabile parametro di proporzionalità. Inoltre, l’esercizio di potere discrezionale deve muoversi entro il perimetro del parametro di legalità, dovendo, diversamente, ritenersi che esso sfoci nell’arbitrio, abdicando ai principi dello stato di diritto.

E’ evidente che a implicare l’adozione di misure irreversibili di natura afflittiva (quale è la revoca) non può concorrere una qualsiasi astratta violazione (e a maggior ragione una circoscritta ipotesi) laddove essa non si atteggi come sintomatica di un abuso del titolo e del bene della vita oggetto dell’autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S. (condizione che presuppone un atteggiamento perdurante e scientemente teso alla sistematica violazione della normativa di riferimento) e comunque non trovi nella proporzionalità il suo metro di riferimento:  per pacifica giurisprudenza (cfr. Cons. St., III, 13.3.2014, n. 1303) la funzione di un provvedimento dell’Autorità di pubblica sicurezza non deve essere assolvere a una funzione «sanzionatoria», afflittiva o, peggio, «punitiva», rivestendo natura “cautelativa” e “preventiva”, finalizzata alla salvaguardia della tutela della sicurezza ed incolumità pubblica (affidata, ai sensi dell’art. 1, del T.U.L.P.S. alla relativa Autorità tutoria); al tempo stesso, il medesimo provvedimento (e a maggiore ragione la revoca) deve conformarsi a un canone di «proporzionalità» ossia di «adeguatezza della misura adottata, rispetto alla rilevanza del temuto rischio di comportamenti abusivi e pericolosi», valutazione che dovrà tenere conto anche dell’irreversibilità degli effetti del provvedimento di revoca a fronte, in termini di prognostici, del pericolo di abuso del titolo, così da rendere «sproporzionata e inadeguata, in quanto eccessiva, la misura preventiva e cautelativa adottata». Ciò soprattutto allorquando vengano in rilievo episodi mai contestati per il passato (nel caso di specie l’autorizzazione è del 2012) e, a fronte di situazioni che non hanno implicato la previa adozione (come previsto dal T.U.L.P.S.) di una misura di sospensione (temporanea) dell’autorizzazione (unico provvedimento che assolve alla funzione cautelativa  e preventiva rispetto al bene tutelato dalla norma).

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La revoca e la sospensione. La sospensione come conseguenza della reiterazione della violazione

Alla luce delle previsioni normative del T.U.L.P.S., proprio in ossequio alla funzione preventiva, la misura cautelativa contemplata in prima istanza è sempre la «sospensione» dell’autorizzazione: ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S., infatti, «oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata». Ne consegue che la revoca, per la norma, presuppone una graduazione delle situazioni che abbiano già implicato, quanto meno, una sospensione del titolo. Né per altri versi, potrebbe ammettersi – sul piano motivazionale – un profilo che giustifichi direttamente la revoca senza specificare in cosa consista l’abuso suscettibile di tradursi in una siffatta misura afflittiva di carattere irreversibile.

Anche l’art. 110 T.U.L.P.S., al co. 11, è inequivoco nel prevedere che la sospensione costituisca il provvedimento naturale conseguente alla violazione, mentre la revoca come misura successiva e ulteriore rispetto alla sospensione:

«11. Oltre a quanto previsto dall’articolo 100, il questore, quando sono riscontrate violazioni di rilevante gravità in relazione al numero degli apparecchi installati ed alla reiterazione delle violazioni, sospende la licenza dell’autore degli illeciti per un periodo non superiore a quindici giorni, informandone l’autorità competente al rilascio. Il periodo di sospensione, disposto a norma del presente comma, è computato nell’esecuzione della sanzione accessoria».

E’ dunque incontestabile che la norma di riferimento non contempli la fattispecie sanzionatoria della revoca come naturale misura afflittiva, né esiste una specifica ed esplicita previsione normativa in tal senso. Va anzi precisato che, proprio in merito agli apparecchi di intrattenimento di cui al comma 6, l’art. 110, al comma 9, contempla – dalla lettera a) alla lettera f quater) –  delle specifiche sanzioni tutte esclusivamente di natura pecuniaria (e mai la revoca del titolo) per ipotesi di violazione tassativamente individuate, tra le quali non è compresa quella oggetto di contestazione (lettere a, b: produzione e importazione di apparecchi non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate ai commi 6 e 7; c e d: distribuzione o installazione in luoghi pubblici, aperti al pubblico, circoli e associazioni di apparecchi non rispondenti alle caratteristiche co 6 e 7; e: in caso di reiterazione a), b), c), d) divieto di rilasciare nuovi titoli abilitativi all’Agenzia dei Monopoli; f, fbis, f ter: distribuzione e installazione di apparecchi privi di autorizzazione oppure che non esibiscano la autorizzazione).

 Il comma 10 dell’art. 110 T.U.L.P.S., inoltre, ribadisce il regime sanzionatorio scandito dalla preventiva fase della sospensione: «Se l’autore degli illeciti di cui al comma 9 è titolare di licenza ai sensi dell’articolo 86, ovvero di autorizzazione ai sensi dell’articolo 3 della legge 25 agosto 1991, n. 287, le licenze o autorizzazioni sono sospese per un periodo da uno a trenta giorni e, in caso di reiterazione delle violazioni ai sensi dell’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono revocate dal sindaco competente, con ordinanza motivata e con le modalità previste dall’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni. I medesimi provvedimenti [sospensione] sono disposti dal questore nei confronti dei titolari della licenza di cui all’articolo 88». Anche in tal caso la revoca può essere disposta solamente dopo che sia stata reiterata la violazione che abbia dato luogo alla sospensione (dovendo considerarsi che la locuzione «violazione» postula il mancato rispetto di una norma che prescriva quello «specifico» comportamento).

E, infine, l’inequivoca norma di chiusura (nel senso di prevedere la semplice sospensione e non già la revoca in caso di violazioni concernenti gli apparecchi) è rappresentata dal medesimo art. 110 TULPS, che, in tema di apparecchi da intrattenimento e divertimento, novellato dalla legge n°289 del 2002, all’undicesimo comma dispone che «oltre a quanto previsto dall’articolo 100, il questore, quando sono riscontrate violazioni alle disposizioni concernenti gli apparecchi di cui al presente articolo, può sospendere la licenza dell’autore degli illeciti, informandone l’autorità competente al rilascio, per un periodo non superiore a tre mesi. Il periodo di sospensione disposto a norma del presente comma è computato nell’esecuzione della sanzione accessoria». Pertanto, anche a volere considerare alla stregua di violazione «concernente gli apparecchi» la presenza di prolunghe, fili volanti o raggruppati con nastro isolante – quali quelli contestati –, l’esito naturale in termini sanzionatori non avrebbe che potuto sfociare che nella semplice sospensione e non certo nella revoca (provvedimento dagli effetti indefiniti).

In breve, nel caso di specie, il provvedimento di  revoca non risponde né al paradigma delineato (in termini di tassatività delle ipotesi sanzionate: alla Chen viene contestato l’utilizzo di fili penzolanti raggruppati con nastro isolante, un forno a microonde e il rinvenimento di materassi), né individua la scansione temporale prevista dalla norma, e non può parlarsi di «reiterazione delle violazioni» (ovverosia  delle «medesime» violazioni), laddove non si dà atto nell’iter argomentativo «quali» specifiche violazioni siano state previamente contestate e successivamente reiterate e, ancora, non viene adottata la previa sospensione (in funzione cautelativa e in vista di un ripristino delle condizioni di asserita sicurezza); né a tale fine possono assolvere i verbali di sopralluogo invocati nel corpo del provvedimento (19.12 e 8.1) – che pure si impugnano espressamente -, in quanto il presupposto normativo della revoca presuppone la reiterazione dopo la sospensione (che a sua volta postula, a monte, una analitica individuazione della violazione e l’invito a ripristinare la condizione di sicurezza). Nel caso di specie, dunque, l’Autorità avrebbe, al limite (ammesso che le contestazioni formulate siano normativammente rilevanti), potuto comminare una sospensione ai sensi dell’art. 110 co. 11 T.U.L.P.S.  e non certo la revoca.

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