La cessazione della curatela ereditaria

Redazione 27/03/19
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L’attività del curatore può cessare con l’accettazione dell’eredità da parte dell’erede, secondo l’art. 532 cod. civ., che delinea una specifica causa di cessazione della giacenza. Concettualmente distinta è l’ipotesi della revoca del provvedimento di nomina con sostituzione del curatore (art. 782 cod. proc. civ.). In questo secondo caso, che può includere anche la morte, l’incapacità sopravvenuta, la rinuncia, non viene meno la giacenza dell’eredità e la conseguente applicabilità della relativa disciplina.

L’eredità giacente

La giacenza, dunque, cessa, innanzi tutto, quando l’eredità viene accettata. In caso di delazione in favore di più soggetti, la questione della rilevanza dell’accettazione di alcuni soltanto fra i chiamati, va ricondotta al tema, sopra esaminato, della giacenza pro quota. Secondo una condivisibile puntualizzazione dottrinale (94), sebbene la norma faccia riferimento alla accettazione dell’eredità, deve aversi riguardo all’acquisto dell’eredità, anche quando manchi un atto di accettazione, come nel caso previsto dall’art. 586 cod. civ., a seguito della rinuncia da parte dei chiamati. L’opinione per la quale il curatore dovrebbe conservare le funzioni, pur quando si siano verificati i presupposti della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato, laddove restino da soddisfare creditori o finché non sia stato liquidato tutto l’attivo ereditario (95), non ci pare convincente, giacché il sistema normativo esprime chiaramente l’indicazione della immediata cessazione della curatela una volta che sia subentrato il titolare dei rapporti relitti.

Altro caso di cessazione della curatela si registra nel caso di revoca del provvedimento di nomina provocato dalla rinnovata valutazione da parte del tribunale dei presupposti applicativi. Se, ad es., il tribunale dovesse ritenere inammissibile la giacenza pro quota o dovesse diversamente apprezzare il requisito dell’assenza del possesso di beni ereditari da parte del chiamato, potrebbe giungere alla determinazione di revocare il provvedimento istitutivo della giacenza, nell’esercizio del generale potere di cui all’art. 742 cod. proc. civ. Ulteriore ipotesi di cessazione della curatela si registra nel caso di esaurimento dell’attivo ereditario, per effetto della liquidazione, individuale o concorsuale (96). Non ci pare che l’immissione nel possesso di beni ereditari da parte del chiamato generi la cessazione della giacenza, che richiede l’assenza del possesso al momento dell’insediamento del curatore, per evitare che il complesso e costoso procedimento della curatela sia attivato quando, in termini ragionevolmente brevi, il chiamato nel possesso dovrà operare le sue scelte.

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La rinuncia all’eredità

È esatto che, se il chiamato si immette successivamente nel possesso dei beni, i termini di cui all’art. 485 cod. civ. prendono a decorrere da tale momento (97). Ma è anche vero che, in tal caso non ha senso determinare la cessazione della giacenza, ormai costituita, dal momento che l’esito della individuazione del titolare del patrimonio ereditario non è scontato, potendo il chiamato, all’esito dell’inventario, decidere di rinunziare all’eredità, ai sensi dell’art. 485, terzo comma, cod. civ. Più articolate sono le soluzioni prospettate dalla dottrina, per il caso che, successivamente alla nomina del curatore, l’esecutore testamentario decida di accettare l’incarico. Secondo un’opinione, si realizzerebbe la cessazione della giacenza, attesa la preminenza della funzione dell’esecutore (98).

Secondo altra opinione, il curatore resterebbe in carica sia per controllare l’operato dell’esecutore sia per eventualmente riassumere le sue funzioni, all’esito della cessazione dell’incarico del primo. Secondo tale soluzione, le funzioni del curatore sarebbero solo sospese e, anzi, il curatore potrebbe chiedere all’esecutore, ai sensi dell’art. 707 cod. civ., la consegna dei beni che non sono necessari all’esecuzione dell’incarico (99). Peraltro, nessun problema dovrebbe porsi nel caso in cui l’esecutore non disponga, nel caso di specie, dei poteri di amministrazione. Secondo parte della dottrina, la cessazione richiede un provvedimento del tribunale in composizione monocratica (100); secondo altra parte la cessazione opera di diritto senza che sia necessario un provvedimento del giudice (101). A noi pare che un provvedimento sia necessario per esigenze di certezza dei rapporti giuridici. Esso avrà però natura dichiarativa dell’intervenuta cessazione della giacenza, con decorrenza dal verificarsi dei relativi presupposti.

È peraltro possibile che il curatore abbia proseguito nella sua attività pur dopo il verificarsi della causa di cessazione della giacenza. In tale ipotesi, secondo un’opinione, i terzi di buona fede sarebbero tutelati dall’applicazione analogica dell’art. 1729 cod. civ. (102); secondo altra opinione, sarebbero tutelati dall’art. 742 cod. proc. civ. per il quale restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o revoca dei decreti emessi dall’autorità giudiziaria in camera di consiglio, come la nomina del curatore (103). Si è già supra rilevato come, a nostro avviso, il richiamo all’art. 1729 cod. civ. sia privo di rilievo, perché estraneo alla tematica in oggetto. In realtà, un volta nominato un curatore dell’eredità giacente (104), il terzo può legittimamente fare affidamento sulla legittimazione del primo e quindi, ai sensi dell’art. 742 cod. proc. civ., salvo che emerga la prova della consapevolezza della causa di cessazione della giacenza, potrà conservare gli effetti dell’atto posto in essere dal curatore. Distinta questione si pone con riferimento alla posizione del curatore, la cui responsabilità per avere agito, nonostante la cessazione della situazione di giacenza, dovrà essere apprezzata, per quanto detto supra, alla stregua dell’ordinario parametro della diligenza, nell’accertare l’evoluzione delle vicende relative alla successione (105). In ogni caso, sarà onere di chi intenda farne valere la responsabilità dimostrare il pregiudizio provocato da una attività che, in linea generale, dovrebbe assumere carattere meramente conservativo del patrimonio.

Rispetto alle cause di cessazione della giacenza, si distinguono quelle di cessazione del curatore dall’incarico. Queste ultime, per un verso, lasciano intatta la situazione di giacenza dell’eredità e, per altro verso, trovano sempre un punto di emersione in un provvedimento giurisdizionale, giacché si accompagnano alla nomina di un altro curatore. Una prima ipotesi di cessazione è rappresentata dalle dimissioni (106), che, secondo alcuni autori (107), dovrebbe essere sorretta da una giusta causa di rinuncia all’incarico. Quest’ultima soluzione, tuttavia, consentendo al tribunale di valutare la sussistenza di tale presupposto, finirebbe per porre il curatore nella medesima posizione del tutore (art. 383 cod. civ.) e ciò contrasta con la natura volontaria che è sottostante alla necessaria accettazione dell’ufficio (108). Può, tuttavia, certamente riconoscersi che il curatore non possa abbandonare l’ufficio sino a quando non si sia provveduto a sostituirlo e il nuovo curatore non si sia insediato. Identico dovere di garantire la continuità dell’ufficio si pone nel caso di sostituzione del curatore, disposta dal tribunale, nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza (art. 782 cod. proc. civ.).

Il presente contributo è tratto da

L’eredità giacente

La trattazione delle questioni legate alla giacenza dell’eredità presuppone l’esame di alcune problematiche di carattere generale, che il Legislatore e gli operatori cercano di risolvere con l’applicazione delle norme in materia.La questione della situazione che si crea tra il momento dell’apertura della successione e l’accettazione non è evidentemente risolta dalla regola per la quale l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione. Invero, la finzione della retroattività, al pari della attribuzione dei beni, in assenza di eredi allo Stato (art. 586 cod. civ.), non elimina le questioni poste dalla vacanza di un titolare del patrimonio che possa compiere atti gestori, e nei confronti del quale possano essere esercitate le pretese dei terzi.Il presente volume, con un serio approccio di studio, ma senza trascurare l’aspetto pratico, vuole essere uno strumento per il Professionista che si trovi a risolvere questioni ereditarie in cui manchi, seppur temporaneamente, un titolare, con tutte le problematiche che ne derivano, nel tentativo di tutelare gli interessi del proprio assistito, sia esso erede, legatario o creditore del defunto.Giuseppe De MarzoConsigliere della Suprema Corte di Cassazione, assegnato alla I sezione civile e alla V sezione penale; componente supplente del Tribunale Superiore delle Acque; componente del Gruppo dei Referenti per i rapporti con la Corte Europea dei diritti dell’uomo; autore di numerose monografie e di pubblicazioni giuridiche, ha curato collane editoriali; collabora abitualmente con Il Foro italiano.

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