Fatto
Nella causa oggetto della sentenza in esame, l’attrice conveniva in giudizio una nota società operatrice telefonica asserendo di aver subito dei consistenti danni a seguito della emissione di onde elettromagnetiche dalla stazione radio base per telefonia mobile di proprietà della convenuta, la quale era stata installata vicino alla abitazione della attrice medesima. In particolare, questa ultima lamentava dei formicolii in varie parti del corpo, delle vertigini, dei dolori al collo, delle perdite di equilibrio, tachicardia, mal di testa, temporanea impossibilità a camminare, dolori al petto, tremori, fitte alle orecchie e diversi altri sintomi che erano stati successivamente ricondotti, a seguito di numerosi accertamenti che la attrice aveva compiuto sulla sua persona, alla patologia della elettro sensibilità.
La attrice, inoltre, aggiungeva che l’esposizione alle onde elettromagnetiche per circa tre anni la aveva resa estremamente e definitivamente sensibile a tutte le onde elettromagnetiche, conseguentemente anche il trasferimento in una diversa abitazione non aveva determinato alcun miglioramento alle sue condizioni di salute ed inoltre le città definitiva iper sensibilità le impediva di svolgere le ordinaria attività di vita.
La attrice, quindi, ritenendo che si trattava di una patologia somatica vera e propria, riconosciuta anche dalla commissione medica della areonautica militare di Milano (la quale ultima, in particolare, aveva accertato che la attrice non era in grado di svolgere la propria attività di insegnamento, proprio in considerazione di tale patologia), chiedeva alla compagnia telefonica il risarcimento dei danni subiti, che la stessa quantificava in oltre euro 410.000 a titolo di danno non patrimoniale ed euro 89.000 a titolo di danno patrimoniale (per il rimborso delle spese che la stessa aveva dovuto sostenere per trovare una abitazione diversa rispetto a quella dove aveva subito le onde elettromagnetiche della convenuta nonché per il mancato guadagno, dovuto al fatto che la attrice si era dovuta pensionare in anticipo proprio in considerazione della sua malattia).
La società convenuta, costituitasi in giudizio, respingeva avanzata sostenendo che la avesse avuto la autorizzazione per l’installazione della stazione radio base per telefonia mobile dalla quale la attrice asseriva fossero derivati i danni lamentati. In particolare, la convenuta riteneva che la fosse legittima in quanto aveva ricevuto il parere favorevole preso dalla ARPA Lombardia che aveva verificato la conformità dell’impianto rispetto ai limiti di emissione di onde elettromagnetiche previste dalla legge. In secondo luogo, la convenuta contestava che la elettro sensibilità fosse una vera e propria malattia ed in ogni caso eccepiva la mancata prova, da parte dell’attrice, del nesso di causalità tra i sintomi lamentati e la sua esposizione alle onde elettromagnetiche provenienti dalla stazione radiobase.
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La decisione
Il tribunale di Milano ha rigettato la richiesta risarcitoria proveniente dall’attrice, accogliendo i motivi di opposizione esposti dalla compagnia telefonica.
Secondo il giudice meneghino la stazione radio base per telefonia mobile oggetto di causa era stata oggetto di specifica autorizzazione comunale, rilasciata a seguito del parere favorevole che aveva emesso la ARPA Lombardia, dopo aver eseguito delle analisi per la valutazione dell’impatto che le onde elettromagnetiche provenienti dalla stazione medesima avrebbero avuto su una superficie calcolata con il raggio di circa 100 m dall’impianto. In particolare, dalle analisi effettuate dal suddetto ente, era emerso che anche nelle zone immediatamente vicine alla stazione alla quale venivano sprigionate le onde elettromagnetiche i valori di emissione erano estremamente inferiori rispetto ai limiti massimi previsti dall’apposito decreto ministeriale a tutela della salute delle persone, nonché del decreto del presidente del consiglio dei ministri che ha ad oggetto l’individuazione dei limiti massimi nei casi in cui siano presenti edifici destinati alla permanenza di persone per un periodo non inferiore a quattro. In considerazione di ciò il tribunale di Milano, richiamando la corte di cassazione che in tema di immissioni di onde elettromagnetiche ritiene che nel caso in cui i limiti di esposizione previsti dalle suddette normative non siano superati sia da escludere una forma di tutela giudiziaria a favore dei soggetti coinvolti e che comunque il diritto alla salute non può correre il rischio di essere compromesso quando siano stati rispettati i limiti di esposizione previsti dalla suddetta disciplina (a meno che non si superi la suddetta presunzione attraverso la relativa prova contraria).
In secondo luogo, il tribunale di Milano ha anche ritenuto che la malattia lamentata da parte attrice, così detta eletto sensibilità, intesa come conseguenza derivante dall’esposizione a campi elettromagnetici, non è riconoscibile a livello scientifico. Secondo la corte meneghina, infatti, tale soluzione è stata adottata dalla organizzazione mondiale della sanità che, seppure ha riconosciuto che i soggetti interessati dalla disposizione ai suddetti campi possono avere dei problemi di salute, ha qualificato tale situazione come una intolleranza ambientale idiopatica, cioè come una patologia rispetto alla quale non si è in grado di individuare o di dimostrare le cause e soprattutto la correlazione con la esposizione a campi elettromagnetici.
Sul punto:”Immissione sonore e danno alla salute”
In considerazione della valenza scientifica della decisione della organizzazione mondiale della sanità e della condivisione di tale opinione all’interno della comunità scientifica, il giudice di Milano ha ritenuto di non prendere in considerazione le posizioni opposte che erano state citate dalla parte attrice, rispetto alle quali la stessa aveva chiesto al giudice di disporre una consulenza tecnica d’ufficio. Su detta ultima richiesta istruttoria, il giudice ha ritenuto di non ammettere la in considerazione del fatto che il consulente non avrebbe aiutato in alcun modo il giudice a risolvere la questione, connaturata da un elevato contenuto specialistico, in quanto il magistrato poteva già avere ampia documentazione scientifica sulla questione, mentre il consulente avrebbe potuto fornire soltanto un proprio personale convincimento rispetto agli studi e alle ricerche di pubblico dominio.
Pertanto il tribunale, ha ritenuto che non potesse ritenersi provato il nesso di causalità tra la condotta posta in essere della convenuta (cioè l’installazione della stazione radio base per telefonia mobile) rispetto al danno lamentato dell’attrice, in quanto quest’ultimo non può ritenersi qualificabile, allo stato, come una vera e propria malattia.
In considerazione di tutto quanto sopra il tribunale di Milano ha così rigettato le domande proposte dalla parte attrice, condannandola anche al pagamento delle spese di lite.
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