(Normativa di riferimento: Legge n. 401/1989, art. 6, c. 1)
Il fatto
Con ordinanza emessa in data 9 agosto 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ascoli Piceno convalidava il provvedimento del Questore di Ascoli Piceno che aveva ordinato a D. P. di non accedere, per il periodo di cinque anni, a stadi e palazzetti dello sport nei quali si svolgono partite della squadra S. Calcio, e, per il periodo orario puntualmente specificato, a strade interessate da sosta, transito e trasporto di chi partecipa e assiste alle competizioni in questione, ovvero a stazioni ferroviarie e ad ogni altro luogo interessato da tali eventi sportivi, nonché di comparire personalmente, in occasione degli incontri disputati dal precisato sodalizio calcistico, presso il Commissariato di P.S. di ….
A fondamento della decisione, il giudice aveva osservato come, in particolare, che D. P., unitamente ad altri tifosi della S., in occasione di una partita di calcio della stessa squadra, ed in concomitanza con l’orario in cui ulteriori tifosi, interdetti dall’accesso allo stadio, dovevano presentarsi al Commissariato di P.S. di …, avesse dato luogo ad una manifestazione a sostegno di costoro, posta in essere davanti al medesimo Ufficio di Polizia, e caratterizzata dal lancio di fumogeni, dall’esposizione di striscioni e dall’occupazione della sede stradale.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Presentava ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe l’avvocato L. C., articolando un unico motivo, con il quale denunciava violazione di legge, in riferimento all’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla sussistenza dei presupposti per la convalida del provvedimento del Questore deducendosi che l’episodio indicato, a presupposto del provvedimento del Questore, fosse avvenuto a circa 10 km. di distanza dal luogo in cui era in corso la partita di calcio della S., e che il Commissariato di P.S. non era «luogo “servente” la manifestazione sportiva»; in altri termini, si osservava come dovesse escludersi che l’evento si fosse verificato «in occasione o a causa di manifestazioni sportive», o «nelle medesime circostanze», come richiede l’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989 evidenziandosi a tal proposito che la citata disposizione, in considerazione del suo dettato letterale, presuppone l’esistenza di un rapporto diretto fra l’episodio di violenza e una determinata competizione, sicché non può ritenersi sufficiente un generico legame tra episodi di violenza e attività di una squadra (Sez. 3, n. 28741 del 2018, omissis).
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come, essendo i fatti non contestati nella loro materialità, la questione da esaminare era se la partecipazione ad una manifestazione di protesta, caratterizzata da significativi profili di violenza, come il lancio di fumogeni e l’occupazione della sede stradale, posta in essere presso il comando di polizia dove debbono recarsi tifosi di una squadra di calcio colpiti da provvedimento ex art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, a sostegno di questi ultimi, e in concomitanza con una partita alla quale si applica la misura, dovesse ritenersi integrare la condotta di «aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive» o comunque di avere «nelle medesime circostanze […] incitato, inneggiato o indotto alla violenza».
Si evidenziava a tal proposito come, secondo un principio consolidato in giurisprudenza, sia legittima l’imposizione da parte del Questore di un provvedimento di DASPO amministrativo, con relative prescrizioni, anche nel caso in cui gli atti di violenza siano stati realizzati non durante l’effettivo svolgimento della manifestazione sportiva, bensì in un momento diverso e non contestuale, a condizione che tali atti siano in rapporto di immediato ed univoco nesso eziologico con essa (cfr. per tutte, Sez. 3, n. 1767 del 07/04/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269085-01, nonché Sez. 3, n. 30408 del 08/04/2016, omissis, Rv. 267362-01).
Oltre a ciò, si faceva presente come l’esclusione della necessità della realizzazione degli atti di violenza. durante l’effettivo svolgimento di una manifestazione sportiva, avesse anche costituito la premessa per affermare che il divieto di accedere a manifestazioni sportive con relativo obbligo di presentazione all’autorità di polizia, disposto dal questore ai sensi dell’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, è applicabile al soggetto autore di comportamenti, rientranti nella previsione normativa citata, posti in essere nell’ambito di manifestazioni politiche (Sez. 3, n. 41501 del 28/06/2016, omissis, Rv. 268241-01) richiamandosi a tal proposito, a sostegno di siffatto assunto, il terzo periodo del’art. 6, comma 1, cit., secondo il quale il «divieto di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui al primo periodo» atteso che, con questo intervento, recato dal d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito dalla legge 19 ottobre 2001, n. 377, il legislatore ha «inteso estendere la portata della disposizione medesima estendendone ex novo l’efficacia a tutte le persone potenzialmente pericolose per l’ordinario e pacifico svolgimento delle manifestazioni sportive. Quindi non più soltanto a coloro che tale pericolosità hanno manifestato direttamente in occasione delle stesse, ma anche a coloro i quali tale pericolosità hanno evidenziato aliunde, per essere stati denunciati/condannati per determinati reati specificamente indicati ed appunto scelti quali indici precisi della pericolosità stessa LA».
A fronte di ciò, si denotava come non contrastasse questo orientamento la sentenza citata nel ricorso (Sez. 3, n. 28741 del 27/04/2018, omissis) stante il fatto che questa pronuncia aveva disposto l’annullamento con rinvio del provvedimento impositivo dell’obbligo di presentazione perché, nella specie, il collegamento tra la condotta e l’evento sportivo era stato «genericamente affermato», ma non dimostrato in modo univoco, sicché occorreva una nuova e specifica valutazione in proposito in relazione alla quale, inoltre, era stato precisato che non costituisce «dato dirimente» la diversità del luogo in cui si è verificato l’episodio rispetto a quello nel quale si teneva la manifestazione sportiva.
Chiarito ciò, si prendeva atto della sussistenza di un’altra pronuncia che aveva ritenuto doversi escludere la configurabilità dei presupposti per l’adozione del provvedimento ex art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989 quando la condotta violenta sia stata realizzata nell’ambito di manifestazioni di protesta occasionate dalla temuta adozione di provvedimenti legislativi volti a prevenire manifestazioni violente negli stadi, in concomitanza ma a distanza dal luogo dell’evento sportivo (Sez. 3, n. 27284 del 15/06/2010, omissis, Rv. 247922-01).
Posto ciò, una volta terminato questo excursus giurisprudenziale, la Cassazione riteneva necessario evidenziare in primo luogo quale sia l’esatto significato da attribuire ai termini «occasione» e «causa», impiegati dall’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989.
Orbene, per quanto riguarda il primo termine, il Supremo Consesso premetteva che, così come rileva l’orientamento giurisprudenziale prevalente, la manifestazione sportiva, da un punto di vista lessicale, può dirsi «occasione» delle condotte di violenza o di incitamento alla violenza anche quando non vi è identità del luogo in cui debbono avvenire le condotte di violenza o di incitamento alla violenza con il luogo in cui si svolgono le manifestazioni sportive fermo restando che, secondo la comune accezione presente nei dizionari della lingua italiana, il lemma «occasione» ha il significato di “pretesto“, “opportunità“, “momento o circostanza particolare“.
Tal che se ne faceva conseguire che, ai fini dell’applicazione della misura, la manifestazione sportiva può essere anche solo il “pretesto“, ovvero il “momento o circostanza particolare“, posto a base della condotta di violenza o di incitamento alla violenza, e ciò anche in ragione del fatto che, ad avviso della Corte, tale interpretazione non sembra in contrasto dalla prospettiva teleologica dato che la previsione normativa di cui all’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989 è diretta a prevenire il pericolo per l’ordinario e pacifico svolgimento delle manifestazioni sportive, desumibile da condotte specificamente significative.
Da ciò se ne faceva inferire come non sembrasse ragionevole escludere il precisato pericolo, in linea di principio, quando che le condotte di violenza o di incitamento alla violenza si siano verificate “solo” prendendo a “pretesto” una manifestazione sportiva, sebbene in un luogo diverso dalla stessa.
Invece, per quanto attiene al secondo termine, gli ermellini facevano presente che la nozione di «causa» non implica alcuna specifica connessione spaziale, e nemmeno temporale, tra le manifestazioni sportive e la condotta di violenza o di incitamento alla violenza tenuto contro altresì del fatto che, secondo la comune accezione presente nei dizionari della lingua italiana, il vocabolo «causa» ha il significato di “motivo” o “ragione” e pertanto, ai fini dell’applicazione della misura, ad opinione della Corte, è sufficiente che la manifestazione sportiva sia stata “motivo” o “ragione” della condotta di violenza o di incitamento alla violenza, indipendentemente dal luogo o dal momento di quest’ultima.
Oltre a ciò si rilevava come una interpretazione non restrittiva dei presupposti per l’applicazione della misura sembrasse specificamente suggerita dal legislatore stante il fatto che il testo dell’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, per un verso, prevede, in via alternativa, e, quindi, non necessariamente concorrente, che la manifestazione sportiva sia «occasione» ovvero «causa» della condotta di violenza o di incitamento alla violenza, per altro verso, come già rilevato da Sez. 3, n. 41501 del 2016, cit., si contempla al terzo periodo una disposizione con funzione chiaramente estensiva.
Tenuto conto di questi rilievi, la Suprema Corte stimava come apparisse corretto concludere che la partecipazione ad una manifestazione di protesta con violenza (quanto meno) su cose, posta in essere presso il comando di polizia dove debbono recarsi tifosi di una squadra di calcio colpiti da provvedimento ex art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, a sostegno di questi ultimi, e in concomitanza con una partita alla quale si applica la misura, è condotta commessa sia «in occasione», sia «a causa» di manifestazioni sportive posto che, nell’ipotesi descritta, le violenze nei pressi del comando di polizia trovavano un “pretesto” nel concomitante svolgimento di una partita di calcio, sia pure giocata a distanza, in quanto contestano il provvedimento che impedisce ad alcuni tifosi di potervi assistere e dunque le medesime violenze potevano dirsi realizzate «a causa di manifestazioni sportive» siccome queste ultime, e precisamente le modalità di svolgimento delle stesse e la partecipazione alle medesime, si presentavano come lo specifico “motivo” o “ragione” delle condotte.
Tal che, come visto prima, se ne faceva conseguire la reiezione del ricorso.
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Conclusioni
La sentenza in questione è condivisibile in quanto il frutto di un articolato ragionamento giuridico.
Difatti, il sostenere che la partecipazione ad una manifestazione di protesta con violenza (quanto meno) su cose, posta in essere presso il comando di polizia dove debbono recarsi tifosi di una squadra di calcio colpiti da provvedimento ex art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, a sostegno di questi ultimi, e in concomitanza con una partita alla quale si applica la misura, è condotta commessa sia «in occasione», sia «a causa» di manifestazioni sportive costituisce la risultante di un costrutto argomentativo in cui, da un lato, si prende atto che la manifestazione sportiva, da un punto di vista lessicale, può dirsi «occasione» delle condotte di violenza o di incitamento alla violenza anche quando non vi è identità del luogo in cui debbono avvenire le condotte di violenza o di incitamento alla violenza con il luogo in cui si svolgono le manifestazioni sportive fermo restando che, secondo la comune accezione presente nei dizionari della lingua italiana, il lemma «occasione» ha il significato di “pretesto“, “opportunità“, “momento o circostanza particolare“, dall’altro, si fa presenta che la nozione di «causa» non implica alcuna specifica connessione spaziale, e nemmeno temporale, tra le manifestazioni sportive e la condotta di violenza o di incitamento alla violenza tenuto contro altresì del fatto che, secondo la comune accezione presente nei dizionari della lingua italiana, il vocabolo «causa» ha il significato di “motivo” o “ragione” e pertanto, ai fini dell’applicazione della misura, è sufficiente che la manifestazione sportiva sia stata “motivo” o “ragione” della condotta di violenza o di incitamento alla violenza, indipendentemente dal luogo o dal momento di quest’ultima.
La decisione in commento, dunque, non può non essere presa in considerazione ogniqualvolta taluno sia colpito dal provvedimento disposto a norma dell’art. 6, c. 1, legge n. 401 del 1989 e di conseguenza, non può non tenersi conto della lettura estensiva conferita a questa norma da tale pronuncia al fine di elaborare un’adeguata strategia difensiva.
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