Nello specifico, il problema che ci poniamo è se il compenso professionale dell’avvocato che ha assistito la parte in una procedura di mediazione obbligatoria (che si sia conclusa con un accordo) possa essere posto, o meno, a carico dello Stato.
Cosa prevede il D.Lgs. n. 28/2010?
L’art. 17 del D.lg. 28/2010, al comma 5bis, stabilisce che “Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, (…) all’organismo non e’ dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato”, ai sensi dell’art. 76 del Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002). “A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (…), nonché a produrre, a pena di inammissibilità, (…) la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato”.
La semplice lettura della norma mette in luce la sussistenza di una lacuna normativa riguardo al compenso dell’avvocato che deve assistere obbligatoriamente la parte in mediazione, occupandosi esclusivamente dell’indennità che (non) spetta all’organismo.
Anche il D.P.R. n. 115/2002, non ci fornisce una risposta chiara.
L’art. 74 del D.P.R. n. 115/2002 prevede infatti che sia “assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate”, oltre che per il processo penale.
Il successivo art. 75 (Ambito di applicabilità) sancisce, al comma 1, che “L’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”.
Il testo trae fondamento direttamente dall’art. 24 della Costituzione italiana, il quale recita, al comma 3, che “sono assicurati ai non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione”, ma stando al tenore letterale degli art. 74 e 75 su citati, che fanno riferimento al ‘processo’, sembra difficile far rientrare l’attività stragiudiziale di mediazione nel patrocinio a spese dello Stato.
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Orientamenti normativi e giurisprudenziali
Secondo parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civile, sentenza n. 2473 del 23/11/2011; Cass. Civile n. 9529 del 19/4/2013) l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato svolge nell’interesse del proprio assistito non e’ ammessa, di regola, al patrocinio a spese dello Stato, in quanto da considerarsi esplicata al di fuori del processo: il compenso in questi casi sarebbe a carico del cliente.
Tuttavia, se l’attività venisse espletata in funzione di una successiva azione giudiziaria (come nel caso della mediazione obbligatoria), ben potrebbe intendersi ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione del compenso a carico dello Stato: al professionista, allora, non sarebbe consentito chiedere il compenso al cliente, ex art. 85, D.P.R. n. 115/2002.
Il principio affermato dalla Corte ben si adatta all’ipotesi in cui alla mediazione obbligatoria segue il procedimento giudiziario; nei casi, dunque, in cui la procedura di mediazione si sia conclusa negativamente, senza un accordo.
Ma cosa accade se la procedura di mediazione si conclude con un accordo?
In caso di accordo, di fatto, non si avrebbe una successiva fase processuale nell’ambito della quale liquidare a carico dello Stato il compenso del professionista che ha assistito il cliente in mediazione.
Appare opportuno evidenziare che il raggiungimento dell’accordo in mediazione rappresenta la massima espressione della procedura voluta e promossa dal legislatore, poiché frutto, non solo dell’ottimo lavoro svolto dal mediatore nel suo ruolo di “facilitatore”, ma anche dell’ottimo lavoro svolto dall’avvocato che ha “assistito” il proprio cliente ed adempiuto l’incarico conferito.
Sarebbe paradossale, dunque, escludere in tale ipotesi la liquidazione dei compensi del professionista a carico dello Stato.
La questione potrebbe essere risolta facendo ricorso al principio di solidarietà sancito dall’art. 13, comma 8, della Legge professionale forense, secondo il quale “Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà”.
Tale soluzione tuttavia non consente di riempire il vuoto normativo esistente e andrebbe comunque ad aumentare il divario tra l’ipotesi in cui l’attività di mediazione si concluda con un mancato accordo e quella in cui si concluda con un accordo.
Ed invero, solo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della normativa vigente potrebbe consentire in ogni caso l’applicabilità dell’art. 75 del D.P.R. n. 115/2002 alla fase della mediazione obbligatoria pre-processuale senza incorrere in violazioni e/o provvedimenti abnormi del giudice.
Il nostro ordinamento ha recepito la direttiva 2002/8/CE del 27/01/2003, c.d. Legal Aid, finalizzata a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili, con l’emissione del D.Lgs. n. 116/2005: la direttiva europea estende il Legal Aid anche alla procedure stragiudiziali.
L’art. 10 del D.Lgs. n. 116/2005 stabilisce espressamente che “Il patrocinio e’, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa”.
Anche il Consiglio Nazionale Forense, con la circolare n. 25 del 6/12/2013, richiamando espressamente la direttiva sul Legal Aid, ha sostenuto che l’assistenza dell’avvocato, obbligatoria per la mediazione pre-processuale o demandata dal giudice, debba rientrare nel patrocinio a spese dello Stato.
Da ultimo, in base all’art. 3 della Costituzione sarebbe irragionevole prevedere il supporto dello Stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da un’attività processuale e negarla per i casi di mediazione, intesa quale condizione di procedibilità, non seguita dal processo per l’esito positivo raggiunto.
In conclusione, solo una interpretazione sistematica delle normative richiamate induce a ritenere applicabile l’art. 75 cit., secondo cui l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo.
Si tratta in definitiva di una procedura strettamente connessa al processo, che condiziona la possibilità di avviarlo o proseguirlo (come nell’ipotesi di mediazione demandata dal giudice); senza contare che nel caso di successo (accordo) si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo Stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio.
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