Il caso
La V.C.O. Immobiliare Srl aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Verbania la Conser V.C.O. dichiarando che, dopo aver acquistato un complesso immobiliare da una terza società – che a sua volta l’aveva acquistata dalla convenuta –, aveva riscontrato l’inquinamento del sottosuolo e, pertanto, aveva provveduto alla bonifica del sito. L’attrice chiedeva quindi la refusione dei costi sostenuti e, in subordine, il risarcimento degli ulteriori danni subiti.
Il Giudice di prime cure, previo accertamento a mezzo CTU, aveva accolto la domanda condannando la convenuta alla refusione dei costi di bonifica e degli interessi maturati sul finanziamento erogato dai soci per sopperire ai costi di bonifica.
Avverso la sentenza di primo grado, la convenuta aveva proposto appello principale mentre l’attrice aveva proposto appello incidentale. La Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza appellata, aveva ridotto la somma da rifondere dalla convenuta in favore della attrice.
La società attrice, pertanto, ricorreva in Cassazione e la società convenuta resisteva con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale.
A supporto della propria decisione, la Corte di Cassazione fa una premessa sulla disciplina prevista dal Testo Unico sull’ambiente (d.lgs. 152/2006).
Inquadramento della fattispecie
Il Testo Unico in materia ambientale (noto anche come Codice dell’ambiente) è stato introdotto nell’ordinamento italiano con d. lgs. n.° 152/2006.
Esso contiene le principali norme che regolano la disciplina ambientale.
Il T.U. disciplina tra le varie materie, come sancito nell’art. 1, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC), la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche, nonché la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati.
Ed è stata proprio quest’ultima oggetto della pronuncia della Suprema Corte.
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La decisione della Suprema Corte
Gli Ermellini partono dall’analisi del Titolo V del T.U., che riguarda la “BONIFICA DI SITI CONTAMINATI”, e in particolare dall’art. 239 e seguenti, sancendo che “gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati possono essere eseguiti, oltre che dal responsabile dell’inquinamento, obbligato a provvedervi, dal proprietario del sito (o altro soggetto interessato), che a differenza del responsabile ha facoltà e non obbligo di intervenire..”
L’unico obbligo in capo al proprietario non responsabile è stabilito dall’art. 245, II comma, ossia che, nel caso in cui dovesse rilevare il superamento o pericolo concreto e attuale superamento della concentrazione soglia di contaminazione, deve comunicarlo alla Regione, alla Provincia e al Comune territorialmente competenti e deve attuare le misure di prevenzione previste dall’art. 242.
A seguito di tale comunicazione, la Provincia indentifica il soggetto responsabile dell’inquinamento, per provvedere agli interventi di bonifica. E tali interventi, qualora eseguiti d’ufficio dall’autorità competente, comportano dei costi che dovranno essere sostenuti dal proprietario del sito.
Le spese sostenute per gli interventi di bonifica sono, peraltro, caratterizzate ai sensi dell’art. 2748,II comma, c.c. dal privilegio speciale immobiliare sui relativi siti: ciò vuol dire che, salvo che la legge disponga diversamente, coloro i quali sopportano tali spese sono preferiti ai creditori ipotecari.
Altro corollario di questa disposizione è che la ripetizione delle spese sopportate per la bonifica del sito può essere esercitata, nei confronti del proprietario non responsabile dell’inquinamento, soltanto dopo che l’autorità competente abbia emanato un provvedimento con il quale dichiari che non sia stato possibile individuare il responsabile ovvero che non sia possibile esercitare azioni di rivalsa contro quest’ultimo o che tali azioni risultino infruttuose.
La disciplina in oggetto prevede, inoltre, la possibilità, per il proprietario del sito, di esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del soggetto responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute in caso abbia spontaneamente provveduto alla bonifica. Affinché ciò sia possibile, però, gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale siano contenuti in un progetto approvato dalla competente autorità amministrativa al termine di una articolata procedura.
È la stessa Corte, difatti, a statuire che “Condizione, necessaria e sufficiente, di legittimità sia della condotta sul piano amministrativo che dell’esercizio del diritto sul piano privatistico è la sottoposizione dell’intervento del proprietario alla procedura prevista dalla legge”.
Perciò, effettuata la bonifica del sito ad opera e spese del proprietario, qualora siano state rispettate tutte le disposizioni stabilite dalla legge, lo stesso potrà promuovere l’azione per la rivalsa nei confronti del responsabile dell’inquinamento, e ciò a prescindere che l’amministrazione abbia individuato o meno tale soggetto.
La Suprema Corte, a tal riguardo, precisa che “rientra nella cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria l’accertamento della qualità di responsabile dell’inquinamento, oltre che della congruità dell’importo per il quale sia esercitata la rivalsa”.
Presupposto fondamentale, fissato dall’amministrazione per l’azione di rivalsa da parte del proprietario non responsabile, è che l’intervento di bonifica sia avvenuto nelle forme stabilite dalla competente autorità.
Altro elemento costitutivo dell’azione di rivalsa è l’individuazione del soggetto passivo, ossia il responsabile dell’inquinamento e, nel definirlo con l’aggettivo “responsabile”, la Corte precisa che tale attributo non costituisce un giudizio sulla condotta, sotto il profilo soggettivo relativo all’elemento psicologico (ossia il dolo o la colpa), ma piuttosto sotto il profilo oggettivo dell’evento “inquinamento”.
Perciò, poiché la bonifica viene eseguita a seguito dell’evento di inquinamento, la ripetizione delle spese è legata al semplice evento oggettivo e non invece alla condotta del “responsabile”.
Inoltre, la responsabilità dell’inquinamento, come chiarisce la Suprema Corte, “non corrisponde a responsabilità per danno ma a responsabilità dell’evento, cui la legge collega un complesso di effetto giuridici”.
Quindi ciò che conta, in questo senso, è il rapporto tra la condotta e l’evento e non, invece, il rapporto evento-conseguenze sotto il profilo giuridico ai sensi dell’art. 1223 c.c.
Relativamente, invece, alla natura dell’azione di rivalsa, da parte dell’autorità amministrativa o del proprietario del sito nei confronti del responsabile, trattasi di una indennità e non un risarcimento, per cui l’evento non può essere inquadrato nella fattispecie dell’illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Difatti, precisano gli Ermellini, “La ripetizione delle spese è conseguenza così di un’obbligazione di fonte legislativa i cui presupposti di fatto, per ciò che concerne il proprietario del sito, sono l’esecuzione della bonifica nel rispetto delle procedure operative e amministrative e la spontaneità o volontarietà dell’intervento di bonifica”.
Possiamo, dunque, inquadrare questa obbligazione fra quelle previste dalla legge, aventi carattere di indennità e non di risarcimento. Obbligazione che, pertanto, rientra fra quelle soggette al termine ordinario di prescrizione, quello decennale, ed alle regole dell’onere probatorio relative alle obbligazioni che non scaturiscono da fatto illecito.
In più, poiché non si tratta di un’obbligazione che nasce da fatto illecito, non è possibile applicare la regola della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.
E non deve trarre in inganno la disposizione dell’art. 253 del T.U. che parla di eventuale maggior danno subito nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato. Tale accezione di danno non corrisponde a quella ex art. 2043 c.c. che, invece, parla di “danno ingiusto”. In questo caso si tratta di una ulteriore voce di spesa relativa alla bonifica effettuata dal proprietario del sito.
Qualora, invece, il proprietario del sito sia soggetto al provvedimento dell’autorità competente che eserciti nei suoi confronti il privilegio e la ripetizione delle spese (causa impossibilità di accertare il responsabile dell’inquinamento o che non sia possibile esercitare azioni di rivalsa nei suoi confronti o ancora, se queste siano infruttuose) non si tratterà più di un’obbligazione ex art. 253 T.U. poiché il diritto di rivalsa è previsto solo nel caso in cui il proprietario abbia effettuato spontaneamente la bonifica.
La Suprema Corte sancisce, infine, che l’azione esperibile ai sensi dell’art. 253 T.U. è diversa anche dal danno ingiusto in senso tecnico (tale potrebbe intendersi la lesione alla salute come conseguenza dell’inquinamento) perché in tal caso la fattispecie sarebbe inquadrata nella disposizione dell’art. 2043 c.c. con la relativa disciplina dei termini di prescrizione e oneri probatori.
Intenzione del legislatore, invece, era quella di fornire con la rivalsa ex art. 253 uno strumento da esercitare più facilmente per ripetere le somme spese per la bonifica nel caso in cui egli decida volontariamente di provvedere a tali opere.
In conclusione, gli Ermellini affermano un duplice principio:
Il primo prevede che “il proprietario non responsabile dell’inquinamento che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute a condizione che sia stata rispettata per la bonifica la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte della competente autorità amministrativa”;
Il secondo, invece, sancisce che “non trova applicazione la regola della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 cod. civ. nel caso dell’obbligazione del responsabile dell’inquinamento avente ad oggetto il rimborso delle spese sostenute dal proprietario per la bonifica spontanea del sito inquinato poiché trattasi di obbligazione ex lege, di contenuto non risarcitorio ma indennitario, derivante non da fatto illecito ma dal fatto obiettivo dell’inquinamento”.
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