Il fatto
La Corte di appello di Brescia parzialmente riformava la pronuncia emessa dal Tribunale di Brescia con la quale A. G., A. N., B. A. e Z. O. erano stati giudicati responsabili del delitto di cui agli art. 40 cpv. e 589 cod. pen. e condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa mentre la N. s.a.s. di A. G. & C. era stata giudicata responsabile dell’illecito di cui all’art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001 e condannata alla sanzione ritenuta equa, in relazione al decesso di E. C..
Il giudice di secondo grado aveva infatti assolto lo Z. per non aver commesso il fatto e la società N. dall’illecito amministrativo contestatole perché il fatto non sussiste e aveva altresì concesso ai restanti imputati la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
La vicenda che aveva dato origine ai predetti pronunciamenti attiene all’infortunio mortale occorso nel cantiere sito in via … a … il 13.7.2009, ove la N. s.a.s. di A. G. & C. stava eseguendo lavori edili e si era verificato allorquando un manufatto in cemento prefabbricato, denominato bocca di lupo, aveva ceduto negli ancoraggi alla autogru che lo stava movimentando, cadendo in modo incontrollato, investiva e schiacciava il C. che si trovava sul fondo dello scavo nel quale il manufatto doveva essere posizionato.
Ad A. G., quale socio accomandatario della N. s.a.s., veniva ascritto di non aver previsto nel POS i rischi connessi alla movimentazione delle bocche di lupo e non aver somministrato delle procedure scritte per la loro movimentazione, di non aver formato il personale e di non aver dato direttive per l’imbracatura delle bocche di lupo nei punti di ancoraggio e ad A. N., preposto, veniva addebitato di aver disposto una errata manovra di ancoraggio del gancio della gru all’ultima coppia superiore dei fori laterali e di aver consentito che due operai, uno dei quali inesperto (appunto il C.), si trovassero nell’area sottostante il carico sospeso.
Alla B., titolare dell’impresa di costruzione del manufatto, invece, veniva ascritto di averlo fabbricato in modo non conforme alle prescrizioni in materia di sicurezza e di averlo fornito privo di documentazione o di libretto di istruzione.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
G. e A. N. proponevano ricorso per la cassazione della sentenza elevando i seguenti motivi: a) in relazione ad A. G., la corte territoriale aveva identificato un unico profilo di colpa, consistente nell’aver egli omesso di recarsi in cantiere per sei giorni, di assumere informazioni precise e dettagliate dal preposto e quindi di aver omesso di modificare il Pos originariamente redatto, come richiesto dalla modifica della originaria previsione di utilizzare delle bocche di lupo in vetroresina. In ciò il ricorrente coglieva un vizio della motivazione perché era errato attribuire all’A. un’assenza di sei giorni quando tra il 7 luglio, data di trasporto in cantiere delle bocche di lupo, al 13 luglio 2009, data dell’infortunio, i giorni lavorativi furono solo tre; in secondo luogo non era vero, ad avviso del ricorrente, che i lavori erano in una fase di criticità dovendosi escludere che nei giorni immediatamente precedenti l’infortunio si fosse proceduto al getto delle fondamenta tenuto conto altresì del fatto che il c.t. del p.m. aveva affermato che la posa delle bocche di lupo è attività di dettaglio non fossero bisognevoli di approfondimenti progettuali. Per altro aspetto, aggiungeva sempre il ricorrente, la Corte territoriale non considerava come fosse stato designato il CSE e che il preposto A. N. non fosse stato lasciato solo ad occuparsi della problematica. Da ciò se ne faceva conseguire come A. G. fosse stato consapevole del fatto che nel cantiere vi era un preposto e che il Coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione effettuasse quotidianamente visite di esso. Viceversa, poiché l’imputato aveva disposto per l’uso delle bocche di lupo in vetroresina e non era mai stato informato del cambiamento, costui non poteva aggiornare il POS e quindi non poteva prefigurarsi la verificazione dell’evento. Quanto ad A. N., l’esponente rilevava come, già prima dell’incidente le bocche di lupo in cemento armato, fossero state movimentate e quindi non potesse essere rimproverato al preposto di aver deciso quali fori dovessero essere utilizzati per il sollevamento del manufatto invece di desistere dal dare corso alla movimentazione dello stesso, perché assenti le istruzioni né avrebbe avuto valenza impedítíva la misura di far costruire un basamento provvisorio perché anche in tal caso lo sganciamento del manufatto avrebbe prodotto il medesimo evento rilevandosi al contempo come non fosse esigibile la individuazione della ridotta misura della distanza tra il foro e l’estremo del manufatto, all’origine del cedimento della bocca di lupo.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva il ricorso fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come, in tema di reati colposi, la giurisprudenza di legittimità avesse precisato che l’obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma richiede anche l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento (Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016 – dep. 03/02/2017, omissis, Rv. 270380) posto che la responsabilità per colpa non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, omissis, in motivazione) ma presuppone l’esistenza – e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a – delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l’evento temuto si verifichi (cfr. Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 – dep. 24/03/2016, omissis, Rv. 267813).
Tal che se ne faceva discendere come dovere di diligenza e regola cautelare si integrassero definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso con ciò assicurando che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva.
Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour rilevavano come nel caso di specie se la Corte distrettuale aveva fondato l’affermazione di responsabilità pronunciata nei confronti di A. G. sul fatto che la sua mancata conoscenza della decisione di utilizzare bocche di lupo in cemento invece che in vetroresina fosse da ricondurre ad una violazione dell’obbligo del datore di lavoro di controllare fisicamente l’andamento dei lavori in cantiere: “era … onere primario del datore di lavoro informarsi, sia attraverso il preposto (che, come detto era anche il figlio) sia con visite frequenti sul cantiere, su quali fossero le fasi di avanzamento dei lavori e le eventuali problematiche”, pur tuttavia, costui non aveva però indicato quale fosse, a suo avviso, la fonte donde trae la doverosità dello specifico comportamento descritto.
A fronte di ciò, gli ermellini facevano presente come fosse indubbio che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente (già ai tempi del commesso reato), sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori fermo restando però che, nella maggioranza dei casi, la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro nel senso che i primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d) d.lgs. n. 81/2008] mentre i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1, lett. e) d.lgs. n. 81/2008].
Di tal chè se ne faceva derivare come già nel tessuto normativo fosse previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma aziendale che, perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultino garanti della prevenzione a titolo originario.
Posto ciò, prendendo atto di tali previsioni, si evidenziava come la stessa Cassazione avesse già scandito il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 – dep. 09/05/2017, omissis, Rv. 269972) e di conseguenza, anche in relazione all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione nel senso che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli (tanto che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem“, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche: Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018 – dep. 08/06/2018, omissis, Rv. 272960); invece, quanto alle concrete modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza, esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale (e viceversa).
Le argomentazioni giuridiche appena esposte, inoltre, venivano sintetizzate nel seguente assunto: “l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi”.
Orbene, declinando tali considerazioni giuridiche al caso di specie, veniva rimarcato come un difetto di informazione circa l’andamento dei lavori non potesse essere rimproverato al datore di lavoro per una sua assenza fisica dal cantiere o per non aver interloquito con il preposto tanto più perché familiare; in realtà il dato rilevante è se e quali misure fossero state previste ed adottate per assicurare che quanto previsto nella valutazione dei rischi fosse osservato e, sotto tale profilo, si denotava come la corte territoriale avrebbe dovuto indagare, ove insuperata la circostanza della mancata conoscenza da parte del datore di lavoro della decisione di modificare il tipo di bocca di lupo da utilizzare: a) sulle ragioni ‘strutturali‘ di tale carenza informativa che equivale ad un fallimento della gestione del rischio delineata con il documento di valutazione a suo tempo redatto; b) su come erano strutturate le procedure di acquisto dei materiali e di controllo della corrispondenza di essi a quanto previsto nel documento di valutazione onde verificare quali misure fossero previste per evitare che quanto disposto in quello fosse vanificato in concreto; c) sulle direttive impartire al preposto per l’assicurazione dell’osservanza delle misure previste dal documento di valutazione e sulle modalità definite per l’assolvimento dell’obbligo di vigilanza sul medesimo.
Invece, evidenziava la Corte nella pronuncia in commento, nulla di tutto ciò emergeva dalla sentenza impugnata che operava valutazioni a partire da un erroneo presupposto giuridico.
Da ciò se ne faceva derivare l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di A. G. con rinvio alla Corte di Appello di Brescia per nuovo esame da compiersi alla luce di quanto qui stabilito.
Per quanto attiene il ricorso proposto da A. N., questo veniva stimato infondato.
Secondo la Corte, difatti, il ricorrente muoveva da talune premesse fattuali che non trovavano corrispondenza in quanto accertato dai giudici di merito essendo stato sostenuto che le bocche di lupo erano già state movimentate mentre la corte distrettuale, per un verso, aveva scritto che “non risulta in alcun modo provato che le bocche di lupo con quelle caratteristiche fossero state movimentate, prima dell’infortunio, agganciando le catene nel foro superiore distanziato dal bordo solo 5 cm.”, per altro verso, aveva chiarito che l’inidoneità di un aggancio delle catene nei predetti fori fosse percepibile da chiunque proprio per la ridotta distanza tra il foro ed il bordo del manufatto.
Pertanto, sempre ad avviso della Cassazione, le ragioni, che rendevano la realizzazione della base di appoggio una misura utilizzabile perché efficiente, erano illustrate dalla corte in principal modo nel riferimento al minor tempo di sospensione del manufatto che ciò avrebbe determinato mentre l’affermazione del ricorrente, che in ogni caso si sarebbe verificato l’evento, era meramente antagonista ed assertiva e come tale essa non era in grado di identificare uno specifico vizio della motivazione impugnata.
Alla stregua di ciò, se ne faceva conseguire la reiezione del ricorso proposto da questo imputato.
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Conclusioni
La sentenza in commento è di sicuro interesse in quanto in essa si chiarisce, in materia di responsabilità per infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, a chi occorra fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio.
E infatti, una volta postulato che è generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo, si postula che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli fermo restando che siffatto dovere può essere adempiuto anche attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi.
La sentenza in questione, di conseguenza, proprio perché chiarisce chi deve garantire la sicurezza dei lavoratori nelle strutture aziendali complesse, può essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta, in sede giudiziale, si ponga il problema di individuare tale responsabile.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, non può che essere positivo.
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