Sul piano metodologico, infatti, la necessità di procedere a modifiche legislative che non siano caratterizzate da contingenze emergenziali, ma che appaiano ispirate da una visione sistematica dei problemi della giustizia, consiglierebbe un intervento riformatore complessivo, in grado di adottare efficaci strumenti di tutela della domanda giudiziale dei cittadini attraverso uno sfoltimento dei riti processuali ed una riorganizzazione, anche a livello logistico, della geografia giudiziaria, sopprimendo oppure accorpando uffici periferici. Invero, non può negarsi il rischio che il proliferare, nell’arco di pochi anni, di riti soggetti a discipline transitorie parzialmente differenti l’una dall’altra, generi confusione e disagio in tutti gli operatori del diritto, costretti a confrontarsi quotidianamente con la sovrapposizione di cause assoggettate a regole processuali eterogenee, frutto di interventi a volte estemporanei del legislatore e scarsamente coordinati con l’impianto complessivo del rito civile.
L’abrogazione di alcuni riti speciali
La riforma del 2009 ha certamente il merito di aver abrogato alcuni riti speciali: essa, infatti, sopprime in via immediata il rito del lavoro previsto per le controversie in tema di danni alla persona derivanti da incidente stradale procedimento è configurato come un modulo procedimentale autonomo ed opzionale, azionabile per tutte le controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica e destinato alle cause più semplici: si tratta di una procedura caratterizzata da una trattazione ed istruzione della causa più rapida, semplificata e deformalizzata rispetto al giudizio ordinario di cognizione.
Nell’ottica di riduzione e semplificazione dei riti civili il legislatore individua proprio quest’ultimo come uno dei modelli, insieme al rito ordinario ed a quello del lavoro, a cui ricondurre la varietà dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale. L’idea di prevedere una alternativa al rito ordinario segna una nuova tappa nel percorso evolutivo della differenziazione dei riti: questo nuovo procedimento speciale non è, infatti, riservato ad una particolare categoria di diritti sostanziali, ma è rivolto indistintamente a tutte quelle controversie che presentano particolari tratti di semplicità sotto il profilo processuale.
Con la riforma del 2009 non ha trovato, dunque, seguito l’idea avanzata dalla dottrina e già sperimentata in altri ordinamenti di sottoporre il codice ad una revisione radicale, predisponendo un unico rito modulabile in rapporto al diverso grado di complessità delle controversie, ma si è continuato a preferire la differenziazione dei modelli di tutela. Storicamente la tecnica della tutela sommaria ha costituito sempre una componente insostituibile del sistema di tutela giurisdizionale civile complessivamente inteso proprio in ragione della sua capacità di soddisfare esigenze di efficienza e di effettività della tutela dei diritti.
Sul punto:”Il doppio binario del 4 bis: fallimento di una scommessa o insidioso pragmatismo?”
Il sistema del doppio binario nell’ordinamento penale
Da qualche tempo la dottrina più sensibile auspicava un nuovo modello di processo civile e la presenza, nel sistema positivo italiano, di un “doppio binario”: uno a bassissima velocità che conduce, in tempi assai lunghi, al giudicato e che ha il suo archetipo nel processo ordinario di cognizione; l’altro, ad alta velocità, organizzato sulla base di un procedimento altamente deformalizzato, a cognizione sommaria, che tende a comporre il conflitto mediante provvedimenti provvisori, disancorati dal giudicato, ma immediatamente esecutivi ed idonei ad assicurare in tempi ragionevoli un assetto giuridico agli interessi in conflitto in modo potenzialmente definitivo. In proposito, si è già osservato che se il codice del 1940, dopo l’esperienza, non positiva, del procedimento sommario fino a quell’epoca vigente, aveva ancorato il processo di cognizione di rito ordinario ad un modello unico, insensibile alla natura più o meno semplice o più o meno complessa della controversia, e le riforme successive avevano ribadito la scelta di applicare le stesse regole procedimentali a prescindere dal livello di complessità della causa, preferendo incrementare il numero e la varietà dei riti speciali in base alle tipologie di controversie, il predetto nuovo rito sommario consente, invece, al giudice e, prima ancora, alla parte che agisce in giudizio, di selezionare il contenzioso e di adottare diverse regole del procedimento in relazione alla maggiore o minore complessità della controversia. nella prospettiva della riforma il nuovo rito di cognizione avrebbe dovuto innanzitutto ridurre i tempi di durata di ogni singolo processo e, contemporaneamente, comportare un significativo alleggerimento del carico di lavoro dei tribunali in modo tale da favorire l’impiego di maggiori risorse per la soluzione delle cause più complesse.
Il nome scelto per il nuovo procedimento non deve trarre in inganno: esso ha ben poco a che fare con l’omonimo rito disciplinato dall’art. 19 del d.lgs. n. 5/2003 (oggi abrogato) (44), con il quale il legislatore aveva inteso importare nel nostro ordinamento un rimedio dalle caratteristiche non dissimili rispetto a quelle del référè di origine francese (45), seppur con alcune discrasie che avevano destato non poche perplessità sia in dottrina che in giurisprudenza (46).
Sulla falsariga del modello francese, il procedimento speciale operativo in ambito commerciale assicurava al ricorrente la sollecita emissione di un titolo esecutivo, che poteva essere azionato coattivamente nei confronti del debitore. Benché il provvedimento concesso in tali forme non fosse, invero, idoneo ad acquistare la natura di cosa giudicata, disponeva ugualmente di una certa stabilità in quanto era destinato a produrre i suoi effetti fintantoché non fosse stato appellato nei termini di legge ovvero fino a quando il titolo azionato non fosse stato oggetto di un autonomo, ma del tutto eventuale, giudizio a cognizione piena. Ciò assicurava al creditore l’adempimento celere del diritto vantato e relegava ogni disputa ad un successivo, puramente eventuale, procedimento.
Come usualmente avviene nello schema del référè, la tutela così concessa veniva svincolata dai presupposti di natura cautelare, in passato richiesti per simili provvedimenti, e l’accoglimento dell’istanza non veniva più subordinato all’urgenza oppure al pericolo di un danno grave ed irreparabile, ma pretendeva unicamente l’evidenza del diritto azionato, circostanza che l’ordinamento francese rappresenta ancor oggi nell’impossibilità di formulare una seria opposizione alle ragioni dedotte dal ricorrente e che l’ordinamento italiano definiva quale manifesta infondatezza dei motivi addotti dal convenuto. L’ordinamento italiano, poi, limitava la sfera di applicazione del detto rimedio, non diversamente da quanto accade oltralpe, alle controversie che avevano per oggetto il pagamento di una somma di denaro ovvero la consegna di una cosa mobile determinata.
Il procedimento sommario del rito commerciale si fondava, pertanto, sull’idea che la tutela del diritto oggetto di contestazione potesse prescindere da una pronuncia di accertamento formulata all’esito di un processo a cognizione piena ed esprimeva la convinzione che un titolo esecutivo emesso celermente potesse sostituire adeguatamente la più tradizionale ed onerosa statuizione dichiarativa (47). In altre parole, il paradigma adottato dal rito commerciale era modellato sull’idea che il processo ordinario di cognizione, in ragione della sua complessità, non fosse idoneo a procurare rapidamente la soddisfazione del credito vantato e che, per tale ragione, il ricorso allo stesso dovesse essere limitato alle controversie più complesse, mentre in ogni altra, più banale, fattispecie doveva ritenersi più efficace l’impiego di una procedura più snella, che, sgravando l’operato dell’autorità giudiziaria dal peso di inutili formalismi, consentisse una più celere definizione del giudizio mediante una statuizione dal contenuto ridotto, ma parimenti appropriato. Con l’istituzione del référè, pertanto, non soltanto si muniva il cittadino di un rimedio semplificato, ma si interveniva pure sulla struttura stessa della cognizione sottraendo la condanna ad un suo presupposto logico, ovverosia alla statuizione di accertamento, che era divenuta oggetto di un apprezzamento del tutto eventuale ed ipotetico (48).
Il presente contributo è stato estratto da
L’istruttoria nel processo sommario
L’opera in questione mira ad approfondire il nuovo rito sommario di cognizione alla luce delle recenti modifiche normative. Il rito sommario di cognizione introdotto nel 2009 al fine di velocizzare i tempi processuali e permettere di ottenere decisioni più velocemente rispetto alle controversie instaurate secondo il rito ordinario, è diventato negli anni uno strumento fondamentale nel panorama giudiziario.Dal 2011 costituisce uno dei tre riti alternativi in cui possono essere incardinate le controversie civili: è possibile parlare di un rito sommario di cognizione facoltativo e di un rito sommario di cognizione obbligatorio.Si tratta pur sempre di un procedimento a cognizione piena, ma ad istruttoria semplificata: ed è proprio la fase istruttoria a destare non poche perplessità. Si è discusso a lungo sia sulla natura del procedimento sommario di cognizione sia sul significato da attribuire alla locuzione istruttoria (non) sommaria.Dubbi sono emersi sulle modalità di espletamento della fase istruttoria e sulle prove che possono essere utilizzate. La scelta del rito sommario di cognizione era inizialmente rimessa esclusivamente nelle mani dell’attore, l’unico a poter scegliere di iniziare una controversia secondo il predetto rito, mentre al giudice era concesso di disporre la conversione del rito in rito ordinario oppure di concludere il giudizio con un’ordinanza impugnabile con l’appello e suscettibile di divenire, in mancanza, cosa giudicata ex art. 2909 c.c.Nel 2014 con l’introduzione dell’art. 183-bis c.p.c. viene introdotta l’ipotesi inversa, ovvero si consente al giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, eliminando quella situazione a senso unico presente nel passato.Al volume è collegata una pagina web con significative risorse integrative.Su https://www.maggiolieditore.it/approfondimenti è infatti possibile accedere al formulario, in formato editabile e stampabile.Sara Caprio, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, diploma di specializzazione in Professioni Legali presso l’Università di Napoli Federico II, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso la medesima Università.Barbara Tabasco, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, professore a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso l’Università di Napoli Federico II.
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Il rito alternativo
La legge n. 69 del 2009 supera, invece, una tale prospettiva, forse mai compiutamente apprezzata nelle sue più profonde conseguenze dallo stesso legislatore del rito societario, ed introduce un nuovo procedimento sommario con l’intenzione di dare vita ad un rito in tutto alternativo e concorrente rispetto a quello ordinario, capace di sostituirsi in ogni effetto a quest’ultimo, riproponendo così un antico dualismo che già nel codice del 1865 era stato sperimentato senza particolare fortuna.
Il legislatore dell’epoca, imitando a sua volta una soluzione già praticata oltralpe all’inizio del secolo, aveva invero già previsto un sistema fondato su due pilastri: il procedimento formale, caratterizzato dalla presenza di rigide preclusioni e dall’impossibilità di modificare le proprie domande dopo l’iscrizione a ruolo della causa, ed il procedimento sommario, improntato ad una accentuata oralità, ove era sempre consentito proporre nuove deduzioni. I due procedimenti erano alternativi e concorrenti e, sebbene al sommario si potesse fare ricorso solo previa autorizzazione del Presidente del Tribunale territorialmente competente, ben presto il processo formale venne relegato ad una mera funzione di testimonianza storica (49).
Sulla falsariga di questo antico modello, l’odierna riforma affianca al rito ordinario un procedimento semplificato a cui è possibile ricorrere per ogni controversia non riservata alla competenza del collegio. L’origine del rito sommario di cognizione può essere rintracciata nell’art. 46 del c.d. progetto Mastella, che preannunciava, nelle sue linee essenziali, il procedimento oggi disciplinato dagli artt. 702 bis ss. c.p.c. Rispetto al modello originario, tuttavia, il nuovo strumento processuale presenta rilevanti differenze, in quanto il suo ambito di applicazione è stato ampliato, il procedimento è disciplinato in modo più dettagliato ed anche l’intitolazione è stata correttamente modificata. L’art. 46 del progetto Mastella, infatti, era rubricato come “procedimento sommario non cautelare”, ma in realtà introduceva un procedimento sommario di cognizione (50).
La predisposizione di una procedura flessibile, la cui gestione è affidata al potere discrezionale del giudice, costituisce un primo passo di avvicinamento verso quegli ordinamenti europei che hanno improntato i propri sistemi processuali al case management giudiziario. Un uso più razionale delle risorse giurisdizionali può facilitare l’aumento del livello di efficienza della macchina giudiziaria e determinare un contenimento della durata dei processi.
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