Lo stato di detenzione del genitore condannato alla pena accessoria della sospensione responsabilità genitoriale non può sempre determinare l’automatica pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale

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Caso

Il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, con decreto del 18 gennaio 2019 (Presidente Porracciolo – Estensore Gatto) ritenendo che non vi fossero sussistenti condotte pregiudizievoli del padre ai danni dei figli, non ha dichiarato il padre decaduto dalla responsabilità genitoriale sulla prole.

Il Tribunale è arrivata a questa conclusione in quanto, dalla audizione dei minori, dalla relazione dei Servizi Sociali e dalle dichiarazioni della madre dei minori, era emerso il positivo legame tra i minori e il padre il quale si era da sempre occupato dei figli sin dalla loro nascita, intrattenendo, anche durante la detenzione, costanti contatti telefonici nonché rapporti personali diretti durante le frequenti visite in carcere. Tale circostanza era stata confermata dalla madre dei minori, la quale aveva riferito di aver accompagnato periodicamente i propri figli presso l’Istituto Penitenziario ove il padre era detenuto al fine di favorire il mantenimento della suddetta relazione. Nessuna decadenza automatica, dunque, neanche quando la condanna comporta la pena accessoria della sospensione dalla stessa responsabilità genitoriale, se il detenuto è un bravo padre o una brava madre.

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In diritto

I Giudici nella motivazione della decisione pongono un’accurata attenzione al diritto del minore a mantenere rapporti significativi e continuativi con i genitori, anche nel caso in cui i genitori o uno di essi si trovino in stato di detenzione. Lo fanno richiamando sia la normativa sovrannazionale (terzo comma dell’art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176) sia quella interna (articolo 315-bis c.c. che tutela e garantisce il diritto del minore a crescere, essere amato, educato ed istruito, nonché mantenuto, ricevendo le dovute cure e le necessarie attenzioni dai propri genitori, e con gli articoli 330 e 333 del codice civile che riconoscono al Giudice – ogniqualvolta la condotta di uno o entrambi i genitori è pregiudizievole per la crescita serena del minore – di intervenire affinché a tali obblighi si provveda in sostituzione di chi non adempie).

La ratio della norma a fondamento della decisione è stata quella di garantire, assicurare al minore di crescere ed essere educato in un ambito familiare sereno, affidando al Giudice il compito di constatare la possibilità di recupero del ruolo genitoriale. Tale diritto è riconosciuto anche dall’art. 30 della Carta Costituzionale che stabilisce: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

Dal punto di vista penale è previsto un automatismo della sospensione dalla responsabilità genitoriale in caso di delitti particolarmente gravi contro la persona o commessi con abuso della responsabilità genitoriale, ovvero in caso di delitti puniti con l’ergastolo. In altri casi, delitti che comportano la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, la sospensione, invece, non opera automaticamente. Diversamente si raffigurerebbe un contrasto con l’art. 3 Cost. ovvero una limitazione del diritto in capo al genitore in stato di detenzione che si vedrebbe così limitato il suo diritto a partecipare alla vita del figlio. Contestualmente, riguardo al figlio minore che, a causa della detenzione del genitore, subirebbe una illegittima compressione dei propri diritti.

Sul punto:”Cassazione: è reato impedire al padre di vedere il figlio”

Osservazioni

Al centro di ogni tipo di proposta educativa o di ogni eventuale intervento giudiziario, all’interno delle dinamiche familiari deve essere curato in maniera preminente e senza eccezione alcuna l’interesse del minore: “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”, così come sancito dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con l. n. 176 del 27 maggio 1991; in virtù di tali principi, l’art. 9 della medesima Convenzione prevede la possibilità di separare il minore dal nucleo familiare quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo.

La positiva esperienza del Tribunale dei Minorenni di Caltanisetta ha evidenziato l’efficace applicazione, nelle ipotesi di esercizio della responsabilità genitoriale in maniera pregiudizievole per il minore, dei diversi rimedi che l’ordinamento mette a disposizione, primi tra tutti i tradizionali provvedimenti de potestate ex art. 330 c.c. consistenti nella decadenza dalla responsabilità genitoriale, laddove la violazione dei doveri relativi all’ufficio o l’abuso dei relativi poteri arrechi un grave pregiudizio al minore; ovvero, ex art. 333 c.c., nell’adozione di provvedimenti quali l’allontanamento del minore o del genitore dalla residenza familiare, quando la condotta dei genitori risulti pregiudizievole per il minore anche se non tale da giustificare un provvedimento di decadenza.

I provvedimenti adottati sulla base delle norme di cui agli artt. 330-333 c.c. appaiono in linea con i principi fissati dalla normativa interna (artt. 147 in correlazione con l’art. 315 bis c.c., artt. 2, 30, 31 Cost.) e dalla normativa internazionale pattizia a tutela dell’infanzia. È proprio dall’esame ragionato delle citate disposizioni che viene ricostruito il contenuto minimo degli obblighi connessi alla responsabilità genitoriale, il cui inadempimento legittima l’A.G. minorile ad incidere su di essa con i provvedimenti limitativi o di decadenza.

Il contesto di cui al decreto in questione ha fatto emergere il principio secondo cui il detenuto perde la responsabilità genitoriale solo sevioli o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio per i figli“. Difatti, secondo il giudicante del Tribunale dei Minorenni di Caltanisetta, lo stato di detenzione del padre non fa venire meno i doveri derivanti dal suo ruolo, neanche quando la condanna comporta la pena accessoria della sospensione dalla stessa responsabilità genitoriale.

I Giudici hanno fatto emergere due aspetti essenziali: da una parte che il detenuto/genitore non era colpevole di reati che comportassero di per sé la perdita della responsabilità, e dall’altra parte lo stesso detenuto era riuscito a coltivare un rapporto significativo con i figli e ad adempiere ai suoi doveri nonostante la detenzione in carcere. Un atteggiamento, auspicato dallo stesso ordinamento penitenziario teso a favorire la responsabilizzazione dei detenuti agevolandone gli incontri con i figli, che i giudici, considerato l’impegno paterno, hanno premiato con il non luogo a provvedere sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale. Per il Giudice non sono esistiti, quindi, motivi validi per recidere il rapporto prole-genitore. Un altro aspetto essenziale che il Tribunale dei Minorenni di Caltanissetta ha sanato con il decreto è la violazione del diritto di uguaglianza sia nei confronti del genitore detenuto che in quello di figlio minore.

Di certo l’essere figlio di un genitore detenuto in carcere non può costituire presupposto sufficiente per l’emanazione di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale. Il Giudice minorile, come nella citata decisione, ha valutato attentamente il caso concreto ed ha evidenziato come per il minore non sia pregiudizievole tanto la gravità o il disvalore della condotta del genitore, quanto la circostanza che tale condotta cagioni o possa cagionare un danno al suo regolare sviluppo psico-fisico.

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