Il nostro ordinamento, infatti, già conosceva riti sommari, rispetto ai quali, però, la sommarietà era riferita alla cognizione, nel senso che si trattava, e si tratta, di procedimenti caratterizzati da una delibazione non piena delle domande e delle eccezioni delle parti, che vengono valutate all’esito di un’istruttoria parziale e definite con provvedimenti interinali, suscettibili di acquistare efficacia di giudicato solo in caso di mancata reazione della parte che ne è destinataria, come nel caso del procedimento per decreto ingiuntivo o della convalida di licenza o sfratto, o destinati ad essere sostituiti all’esito di un ordinario giudizio di merito che le parti hanno la facoltà o l’obbligo di promuovere, come nel caso dei procedimenti cautelari o possessori.
Il procedimento sommario non cautelare
In favore della soluzione positiva (51) a tale quesito, oltre alla rubrica del nuovo art. 702 bis c.p.c., depongono l’inserimento nel libro quarto del codice di rito ed il legame con il precedente immediato del nuovo istituto, rappresentato dal procedimento sommario non cautelare di cui all’art. 46 del c.d. disegno di legge Mastella (52), ma le differenze sono notevoli, così come sensibilmente rilevanti sono le differenze del primo rispetto al citato procedimento sommario di cognizione societario, che era effettivamente inquadrato nell’ambito delle tutele sommarie non cautelari.
In particolare: a) mentre il campo di applicazione del procedimento sommario non cautelare del progetto Mastella, nonché del procedimento sommario societario, era limitato alla richiesta di un provvedimento di condanna, ovvero al pagamento di somme di danaro oppure alla consegna o rilascio di beni, il nuovo procedimento sommario è generalmente previsto per qualunque tipo di domanda, all’unica condizione che si tratti di cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica (art. 702 bis, comma 1, c.p.c.) e, dunque, al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 50 bis c.p.c.; b) l’ordinanza di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 5 del 2003 era di per sé inidonea, se non impugnata, a conseguire l’autorità della cosa giudicata, che oggi, invece, viene esplicitamente attribuita al provvedimento conclusivo del nuovo rito; c) diversamente dal rammentato art. 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, che discorreva esplicitamente di cognizione sommaria, lasciando altresì intendere che la decisione dovesse intervenire già al termine della prima udienza, manca, nell’art. 702 ter c.p.c., qualunque riferimento ad una cognizione superficiale, vuoi in relazione ai fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, vuoi relativamente alle eccezioni sollevate dal convenuto; d) evidente è anche la diversità dei presupposti, rispetto al corrispondente art. 702 bis c.p.c., del disegno di legge Mastella, che consentiva la pronuncia dell’ordinanza allorché il giudice ritenesse verosimili, sulla base degli elementi acquisiti, i fatti che sono posti a fondamento della domanda e non verosimili i fatti posti a fondamento delle eccezioni.
I provvedimenti cautelari
Va, poi, considerato anche che la formulazione del quinto comma dell’art. 702 ter c.p.c., pur riecheggiando palesemente quella dell’art. 669 sexies, comma 1, c.p.c. relativa al procedimento cautelare uniforme, è stata depurata delle espressioni che avrebbero potuto far pensare ad un accertamento incompleto o comunque superficiale, tipico dei provvedimenti cautelari. Sicché, mentre l’art. 669 sexies c.p.c. limita la fase propriamente istruttoria ai soli atti indispensabili in relazione ai fini ed ai presupposti del provvedimento richiesto, ovvero alla verifica del fumus boni iuris, nell’art. 702 ter c.p.c. si discorre, in termini più neutri, di atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto (53). Inoltre, come già anticipato, l’art. 54, comma 4, della l. n. 69/2009 prevede che il rito sommario di cognizione divenga il modello di riferimento per tutti i procedimenti di cognizione piena: anche in questo caso, pertanto, manca qualunque allusione ad una possibile sommarietà o superficialità dell’accertamento. nella specie, infine, posto che si prescinde da qualunque ragione obiettivamente idonea a giustificare una sommarietà della cognizione, quale, ad esempio, l’urgenza del diritto tutelando, e tenuto altresì conto della idoneità dell’ordinanza conclusiva del procedimento ad acquistare valore di cosa giudicata, non sarebbe comprensibile il perché mai ci si dovrebbe accontentare di un accertamento meno approfondito del consueto: la spiegazione certamente non potrebbe essere quella della particolare semplicità della controversia affermata dall’attore e poi verificata, almeno prima facie, dal giudice, poiché quanto più una causa è semplice, dal punto di vista delle questioni di fatto e di diritto che essa solleva, tanto meno si giustifica una cognizione incompleta o comunque superficiale. In pratica, contrariamente a quanto emerge dalla collocazione codicistica, il processo sommario di cognizione non sembra atteggiarsi come procedimento speciale volto ad ottenere, mediante una cognizione sommaria della controversia, esclusivamente la costituzione di un titolo anche provvisorio che consenta alla parte di procedere ad esecuzione forzata; si tratta, piuttosto, di un vero e proprio procedimento alternativo a quello ordinario di cognizione, anche se limitato ai casi in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, e, quindi, idoneo a pervenire ad un accertamento del diritto con efficacia piena di giudicato.
Posto che il rito sommario di cognizione si pone come alternativo al rito ordinario, la funzione del procedimento è quella di consentire l’accelerazione dell’esercizio dei poteri cognitivi decisori, con la formazione di un accertamento idoneo al giudicato sostanziale, previa selezione, da parte del giudice, della singola controversia ritenuta, caso per caso, compatibile con la decisione semplificata. Muovendo da ciò si è, quindi, sostenuto che la sommarietà del rito deve essere intesa come mera semplificazione di ogni fase del processo successiva a quella introduttiva, l’unica disciplinata direttamente dall’art. 702 bis c.p.c.: il legislatore, cioè, pensando alle controversie più semplici, ha voluto introdurre un modello di procedimento dalla disciplina piuttosto scarna, che il giudice può in certa misura forgiare a propria discrezione.
Ipotesi, questa, del tutto plausibile ove si consideri il favor dimostrato negli ultimi decenni per l’uso, nell’ambito della giurisdizione contenziosa, di un procedimento del tutto deformalizzato quale è quello camerale contemplato dagli artt. 737 e ss. c.p.c., che attribuisce al giudice massima discrezionalità nella conduzione e nella stessa determinazione delle modalità di svolgimento del processo. In concreto, questo dovrebbe presentarsi come più snello, affrancato, cioè, dalla necessaria concessione dei termini ex art. 183 o 190 c.p.c., nonché da momenti squisitamente formali quali l’udienza di precisazione delle conclusioni, e pertanto, non diversamente dall’odierno procedimento in camera di consiglio, dovrebbe teoricamente consentire una maggiore immediatezza della decisione evitando la divisione in fasi che contraddistingue il processo di cognizione ordinario.
I poteri processuali del giudice
Il giudice, dunque, fatto salvo l’imprescindibile principio del contraddittorio, ha la possibilità di definire la causa in qualsivoglia momento, così compensandosi la mancanza di preclusioni legali relative alla proposizione di eccezioni in senso lato, quelle, cioè, rilevabili di ufficio, nonché alla richiesta di prove costituende ed alla produzione di documenti. Il procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis e ss. c.p.c. deve, dunque, considerarsi, a dispetto del suo nome e della sua collocazione sistematica, come un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni proprie dei procedimenti sommari, ma che sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto (54). Va, quindi, condivisa l’interpretazione di chi, in dottrina, ha precisato che l’espressione procedimento sommario andrebbe interpretata alla stregua di procedimento semplificato, appartenente all’area della cognizione piena, che si caratterizza per l’oggetto delle controversie che con esso sono trattate e decise, laddove il carattere semplificato del procedimento corrisponde al carattere semplificato della controversia che ne è oggetto (55).
In altri termini, a differenza di quanto previsto dall’abrogato art. 19, comma 3, d.lgs. n. 5/2003, in cui si fa esplicito riferimento alla cognizione sommaria, nel caso di specie la sommarietà non è riferita alla cognizione, bensì al procedimento, sottolineandosi con ciò evidentemente che la semplificazione e la deformalizzazione attengono all’iter procedimentale e non alla cognizione decisoria finale che ne consegue. non sembra condivisibile nemmeno l’argomentazione secondo cui dall’ampliamento in grado d’appello dell’istruzione probatoria a tutti i mezzi di prova rilevanti di cui all’art. 702 quater c.p.c. dovrebbe desumersi la natura sommaria della cognizione di primo grado. La disposizione, nella sua formulazione originaria, non aveva la funzione di compensare lo svolgimento di un grado a cognizione non piena, bensì semplicemente quella di consentire l’ingresso di ulteriori istanze istruttorie che le parti non avevano voluto proporre in prime cure per non esporsi al rischio di un mutamento del rito.
Tale impostazione è oggi avvalorata dal nuovo tenore letterale della norma, modificata dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ristretto l’ingresso di nuove prove in sede d’appello alle sole prove c.d. indispensabili, alla stregua di quanto già previsto per il rito ordinario a cognizione piena dalla previgente formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c. Anche sotto il profilo funzionale si esclude, quindi, che il procedimento sommario di cognizione sia una rito a cognizione sommaria.
I procedimenti a cognizione sommaria sono stati tradizionalmente impiegati per soddisfare esigenze specifiche ed ulteriori rispetto all’accertamento dei diritti dedotti in tempi più ristretti rispetto al processo ordinario, ovvero per: evitare il ricorso al processo a cognizione piena ed esauriente, quando il legislatore valuta che manchi una contestazione effettiva da parte del debitore; evitare l’abuso del diritto di difesa da parte del convenuto che abbia torto, quando il tempo necessario per l’accertamento dipenda essenzialmente dalle necessità probatorie del convenuto; assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, quando ciò richieda un provvedimento urgente, in relazione all’imminenza di un pericolo di pregiudizio irreparabile, anche a causa della durata fisiologica del processo.
Il processo sommario di cognizione richiede, invece, che la causa sia compatibile con una trattazione ed un’istruzione più rapida e deformalizzata: si prescinde dalla prognosi di difetto di contestazione da parte del convenuto, dalla qualità del diritto fatto valere e dal periculum in mora che grava su di esso, nonché dalla valutazione di manifesta infondatezza delle eccezioni di merito. ne discende che il rito sommario di cognizione può correttamente inquadrarsi tra i processi speciali semplificati a cognizione piena (56). Tale categoria sistematica dovrebbe ricomprendere tutti quei procedimenti speciali che rientrano nell’ambito della tutela dichiarativa; che si pongono in un rapporto di autonomia rispetto al processo ordinario; che si caratterizzano per un iter procedimentale con scansioni procedimentali ridotte ovvero privi di rigide predeterminazioni legali, che si tramutano in un ampliamento della discrezionalità del giudice nella direzione del giudizio; che assicurano comunque una cognizione piena ed esauriente e che sfociano in un provvedimento idoneo alla cosa giudicata se non viene impugnato.
Il presente contributo è tratto da
L’istruttoria nel processo sommarioL’opera in questione mira ad approfondire il nuovo rito sommario di cognizione alla luce delle recenti modifiche normative. Il rito sommario di cognizione introdotto nel 2009 al fine di velocizzare i tempi processuali e permettere di ottenere decisioni più velocemente rispetto alle controversie instaurate secondo il rito ordinario, è diventato negli anni uno strumento fondamentale nel panorama giudiziario.Dal 2011 costituisce uno dei tre riti alternativi in cui possono essere incardinate le controversie civili: è possibile parlare di un rito sommario di cognizione facoltativo e di un rito sommario di cognizione obbligatorio.Si tratta pur sempre di un procedimento a cognizione piena, ma ad istruttoria semplificata: ed è proprio la fase istruttoria a destare non poche perplessità. Si è discusso a lungo sia sulla natura del procedimento sommario di cognizione sia sul significato da attribuire alla locuzione istruttoria (non) sommaria.Dubbi sono emersi sulle modalità di espletamento della fase istruttoria e sulle prove che possono essere utilizzate. La scelta del rito sommario di cognizione era inizialmente rimessa esclusivamente nelle mani dell’attore, l’unico a poter scegliere di iniziare una controversia secondo il predetto rito, mentre al giudice era concesso di disporre la conversione del rito in rito ordinario oppure di concludere il giudizio con un’ordinanza impugnabile con l’appello e suscettibile di divenire, in mancanza, cosa giudicata ex art. 2909 c.c.Nel 2014 con l’introduzione dell’art. 183-bis c.p.c. viene introdotta l’ipotesi inversa, ovvero si consente al giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, eliminando quella situazione a senso unico presente nel passato.Al volume è collegata una pagina web con significative risorse integrative.Su https://www.maggiolieditore.it/approfondimenti è infatti possibile accedere al formulario, in formato editabile e stampabile.Sara Caprio, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, diploma di specializzazione in Professioni Legali presso l’Università di Napoli Federico II, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso la medesima Università.Barbara Tabasco, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, professore a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso l’Università di Napoli Federico II. Sara Caprio – Barbara Tabasco | 2019 Maggioli Editore 25.00 € 20.00 € |
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