Il simultaneus processus nel sistema di giustizia amministrativa

Redazione 07/06/19
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Il simultaneus processus è espressione di alcuni dei più rilevanti principi che governano il processo amministrativo, quali il giusto processo e l’effettività della tutela, ma anche della ragionevole durata del procedimento; tutti volti a tutelare le pretese del singolo, garantendo la massima economicità dell’azione.

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Giusto processo e ragionevole durata

Il principio del giusto processo è richiamato dall’art. 2 e 3 cpa. Lo stesso art. 2 c.p.a. rinvia alla disposizione di cui all’art. 111 Cost. La disciplina stabilisce che il processo per essere considerato giusto, deve: essere regolato dalla legge, cui tocca anche assicurarne la ragionevole durata; svolgersi in contradditorio fra le parti; svolgersi in condizioni di parità. Questo dettato è un macro-principio che a sua volta ne racchiude molti altri, tra cui si ricorda: il principio di indipendenza del giudice intesa come terzietà rispetto alle parti e indifferenza rispetto agli interessi in gioco; il principio di parità delle parti che è una evoluzione rispetto all’impostazione delle vecchie leggi che davano rilevanza alla parte pubblica; il principio del contraddittorio; il principio della ragionevole durata del processo; e infine, il principio della trasparenza e cioè dell’obbligo di motivazione; principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Al principio suindicato e ai suoi corollari, si aggiunge quello dell’effettività della tutela, in virtù del quale l’intimo legame tra il processo amministrativo e il potere amministrativo e la verifica del suo corretto esercizio nel caso concreto dovrebbe di per sé risultare pienamente soddisfacente per le parti. Tale intesa si considera quale capacità del processo di conseguire i risultati nella sfera sostanziale, l’eventuale ottemperanza.

Ulteriore principio, a completamento dell’inquadramento, risulta quello della ragionevole durata del processo amministrativo che si concretizza con il canone del giusto processo. Tale criterio viene attuato con una serie di corollari tra cui: i riti speciali caratterizzati da una abbreviazione, riti camerali art. 87 co.3 c.p.a. caratterizzati da un dimezzamento dei termini processuali e la possibilità di decidere in sede cautelare.

L’impiego di questi dettami deve essere utilizzato, in particolar modo, in ambito di riparto di giurisdizione e di relative competenze.

La necessità o, anche solo, l’utilità di avere due giudici per controversie di tipo civile e amministrativo è da tempo oggetto di discussione.

Il criterio soggettivo della causa petendi

La giurisdizione amministrativa risulta una giurisdizione di tipo soggettivo incentrata in primo luogo sulla tutela delle posizioni giuridiche soggettive, da cui indirettamente può derivare un beneficio per la stessa legalità dell’azione amministrativa.

Pertanto, la competenza deve essere determinata sulla base della domanda, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo; rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto bensì della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.

La Costituzione aderisce così sulla base del combinato disposto dell’art. 2 all. E con l’art. 26 T.U. della legge del Consiglio di Stato, al sistema del riparto di giurisdizione venuto in essere.

Occorre osservare che è stata da tempo prospettata la possibilità di derogare ai criteri di riparto della giurisdizione, in funzione di specifiche circostanze che ammettono la connessione tra i ricorsi. Tale ipotesi si inserisce nella questione relativa alla civilizzazione del processo amministrativo.

Nello specifico, ci si è chiesto se sia possibile utilizzare norme relative al processo civile in quello amministrativo, facendo così espresso riferimento all’articolo 39 cpa.

La norma prevede che qualora la materia non sia disciplina dal codice del processo amministrativo si possa ricorre alle previsioni di cui al codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali.

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La pregiudiziale amministrativa

In passato ricorreva il problema relativo alla pregiudiziale amministrativa, per cui prima dell’entrata in vigore del codice amministrativo la parte doveva inizialmente impugnare il provvedimento avanti al giudice amministrativo, al fine di ottenere una tutela di stampo costitutivo-eliminatorio; e solo successivamente, qualora risultasse vittorioso, esperire l’azione dinanzi al giudice amministrativo per sentirsi riconoscere il risarcimento del danno.

Risultava dunque evidente la connessione tra domanda di annullamento e di risarcimento del danno, e  invece di rispettare il principio del simultaneus processus, la parte era costretta a presentare domande diverse, ma riguardanti la medesime questione, avanti a giudici diversi.

Oggi la pregiudiziale amministrativa non trova più ragion d’essere, salvo l’ipotesi residuale relativa al rito speciale dei pubblici appalti, sulla base del fatto che l’art. 7 al comma 4 e 5 c.p.a, la quale prevede che il giudice amministrativo possa conoscere anche delle questioni relative al risarcimento del danno.

Ciononostante, si riscontrano ancora delle problematiche relative all’ipotesi di connessione tra ricorsi che potrebbero derogare la materia del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo. In ragione di questo quesito, ci si è posti il problema se fosse possibile ugualmente realizzare il simultaneus processus, così da garantire l’effettività della tutela processuale al soggetto ed evitando allo stesso di dover affrontare più gradi di giudizio, con sacrificio del principio relativo alla ragionevole durata del processo.

La questione attiene, pertanto, alla disciplina sulle azioni amministrative, e in particolar modo la disposizione di cui all’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a., così come modificato dal d.lgs. n. 160/2012, la quale prevede che assieme all’azione di annullamento del provvedimento di diniego ovvero all’azione avverso il silenzio, potrà essere esercitata la contestuale azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto, nei limiti di cui all’art. 31 comma 3, e senza uno specifico termine decadenziale.

Il diverso articolo 30 comma 1 c.p.a. prevede, salvi i casi di giurisdizione esclusiva del G.A. e i casi di cui al medesimo articolo, che l’azione di condanna possa essere proposta contestualmente a un’altra, ovvero in via autonoma, dando così luogo all’attuazione del principio del simultaneus processus, in cui il soggetto tempestivamente impugna il provvedimento di diniego di cui sia risultato destinatario o agisce avverso il silenzio serbato dalla P.A., formulando la domanda di condanna all’adozione dell’atto satisfattorio, onde evitare l’elusione del termine decadenziale che permea il rimedio costitutivo o l’azione avverso il silenzio.

La questione relativa alle competenze riguarda in particolare modo la materia relativa alla espropriazione per pubblica utilità.

Secondo quanto previsto dall’articolo 53 del DPR 327/2001 in materia di espropriazioni la tutela è devoluta al giudice amministrativo, il quale possiede una giurisdizione esclusiva ai sensi dell’articolo 133 lett. g); mentre il giudice ordinario risulta competente per tutte le questioni riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza della adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

La stessa circostanza ricorre nell’ acquisizione sanante ex art. art. 42 bis T.U. espropriazione, per cui la giurisprudenza si è concentrata sulla natura dell’indennizzo.

Le Sezioni Unite con sentenza n. 15283/2016 hanno stabilito che sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario e alla competenza in un unico grado della Corte d’Appello le controversie relative la determinazione di indennizzi previsti in caso di adozioni di provvedimento di “acquisizione sanate”, incluse le somme dovute a titolo di danno per il periodo di occupazione del bene senza titolo.

Risulta, pertanto, curioso come il legislatore abbia voluto fortemente rompere lo schema della pregiudiziale amministrativa, concedendo così le tutele davanti a un unico giudice, e abbia mantenuto in alcuni casi uno sdoppiamento della giurisdizione.

La connessione tra i ricorsi

In tali ipotesi relative all’espropriazione, potrebbe comunque privilegiarsi la sussistenza della connessione tra ricorsi, sulla base dell’assunto di cui all’art. 40 c.p.c., e quindi qualora siano proposte avanti a giudici diversi più cause, le quali per motivi di connessione possano essere decide avanti a un unico giudice si provvederà alla concessione di un termine perentorio per la riassunzione della causa avanti al giudice della causa principale. Si potrebbe ipotizzare la presentazione di un ricorso dinanzi al giudice amministrativo nell’ambito della giurisdizione esclusiva concernente ad esempio, la legittimità del provvedimento di esproprio e, allo stesso tempo, l’opposizione alla stima fatta valere davanti il giudice ordinario.

La giurisprudenza, sulla base degli articoli 43 e 13 c.p.a. relativi alla connessione, ha interpretato estensivamente le previsioni sulla competenza, ritenendo che la mancanza non indichi l’inammissibilità di deroghe della competenza dettare da ragioni di connessione, quanto piuttosto la tacita adesione all’orientamento già emerso in ordine all’operatività della connessione come principio generale che governa anche il processo amministrativo, così muovendo dal favor verso il simultaneus processus, per ragioni di economia processuale e coerenza nelle decisioni.

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