Lo straining: l’ultimo approdo per una soglia anticipata di tutela del lavoratore subordinato

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SOMMARIO: 1.La tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro come debito di sicurezza del datore di lavoro. 2. L’organizzazione lavorativa ed il mobbing: una fattispecie articolata. 3. Lo straining non costituisce solo un limite quantitativo e qualitativo al mobbing ed è fonte di danni patrimoniali e non patrimoniali. 4. I danni da mobbing: cenni conclusivi.

 

1.La tutela dell’integrità fisica e personalità morale dei prestatori di lavoro come debito di sicurezza del datore di lavoro

 

L’art. 2087 c.c. impone[1] al datore di lavoro di adottare non solo le misure di sicurezza previste dalla legislazione vigente in materia, ma anche quelle comunque ritenute necessarie alla luce delle cognizioni  della “migliore tecnologia” e del patrimonio di esperienza tipici di un determinato momento storico[2]. Alla luce di tale norma, le prescrizioni tese a ridurre, per quanto possibile, i lavori ripetitivi, la reazione e la temperatura dei locali, nonchè tutte le altre misure tecniche imposte dalla natura della lavorazione e alla lotta al mobbing, devono essere interpretate come disposizioni integrative dell’art. 2087 c.c. che tutelano non solo la salute, ma anche il benessere di tutta l’organizzazione, intesa come l’insieme delle relazioni in seno al luogo di lavoro[3].

Tale clausola generale comporta per il datore di lavoro la predisposizione di una organizzazione di beni materiali e immateriali tesi a sostanziare e garantire il debito di sicurezza del datore di lavoro[4]. Questa obbligazione contrattuale[5], il cui contenuto è integrato ai sensi dell’art. 1374 c.c. sia dalla normativa in materia di sicurezza del lavoro, sia dalle altre disposizioni di legge a tutela del lavoro, impone, altresì, una attività di controllo e di vigilanza costante anche nei confronti dei preposti dell’ imprenditore, volta ad impedire comportamenti del lavoratore tali da rendere inutili o insufficienti le cautele tecniche ambientali ed umane apprestate.

Il datore di lavoro deve adottare, se necessario, sanzioni di carattere conservativo o addirittura espulsivo per la tutela della sua organizzazione lavorativa ed anche  per la tutela dei suoi dipendenti.

Tale impostazione  ha il vantaggio di comprendere, nell’ambito della sicurezza, le politiche di prevenzione dei rischi o le situazioni organizzative che possono compromettere la salute psico-fisica del lavoratore, in quanto tale opera preventiva coincide con un alto grado organizzativo nel lavoro.

Per concludere su questo primo punto, si deve affermare che, con il paradigma normativo dell’art 2087 c.c., la protezione della persona fisica e morale del lavoratore è divenuta oggetto di un debito contrattuale del datore di lavoro[6] di ampio contenuto e che, tale obbligazione,  traendo linfa dai precetti costituzionali, si è rivelata come norma aperta ai mutamenti economico-sociali, capace di realizzare una funzione sussidiaria e integrativa delle misure protettive del lavoratore alla luce della direttiva della “ massima sicurezza” ragionevolmente praticabile[7]. Le presenti brevi considerazioni, non hanno come specifico oggetto l’analisi dell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro in materia di sicurezza del lavoro di cui al D.lgs.n.81/2008, quanto piuttosto una succinta analisi dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e di merito sul contenuto della tutela del rapporto di lavoro. La tutela si è, in un primo momento, manifestata con riferimento alla legittimità dei singoli atti di gestione del rapporto di lavoro; successivamente, gli operatori del diritto e gli interpreti hanno rilevato che il prestatore di lavoro poteva essere colpito anche da un insieme di comportamenti, provenienti dall’ambiente di lavoro e diretti al perseguimento di una specifica finalità, quella costituita dall’estromissione del lavoratore dal contesto lavorativo. In tal caso  questa condotta, avendo le caratteristiche della plurioffensività, ha avuto la potenzialità di causare danni patrimoniali e non patrimoniali, da valutare in un unico contesto. La  difficoltà di allegazione e prova di un tale sistema di attacco al prestatore di lavoro ha indotto la giurisprudenza ad individuare anche la figura dello straining, anch’esso connotato dalla caratteristica della plurioffensività, ma dal contenuto e dal contesto temporale più limitati. In tal guisa l’agire in giudizio per la tutela di un singolo atto persecutorio, non soltanto illegittimo, rende possibile la cd. soglia anticipata di tutela del prestatore di lavoro[8].

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Il presente testo, con materiale online tra cui formuario e giurisprudenza, è strumento operativo sia per i professionisti che per chiunque si trovi ad affrontare le problematiche connesse al fenomeno del mobbing. Si analizza l’argomento sotto due aspetti: uno giuridico e l’altro medico. Da un punto di vista giuridico si prende in considerazione il fenomeno in esame sia sotto il profilo sostanziale che processuale, indicando nel dettaglio i singoli comportamenti mobbizzanti, le responsabilità e le possibili tutele (giuridiche ed extragiuridiche) da attivare. La dignità della persona umana e il rispetto nei confronti dei lavoratori nei luoghi di lavoro costituiscono un punto qualificante della convivenza civile e, al contempo, una misura incentivante per una maggiore produzione lavora- tiva. Infatti, un ambiente di lavoro, dove siano bandite forme di violenza morale nei confronti dei lavoratori costituisce un punto essenziale anche per la migliore produttività aziendale. Invece, da un punto di vista medico, si analizza, in primis, il ruolo svolto dallo stress, sia acuto sia cronico, nell’innescare cambiamenti nella fisiologia dell’intestino e nella salute mentale e, in secondo luo- go, si presentano le principali metodiche utilizzate per rilevare una situazione di stress da lavoro correlato, attraverso l’impatto che quest’ultimo ha sulla salute psico-fisica del lavoratore.  Nicola Botta, laureato in Pedagogia, in Psicologia clinica, in Medicina e Chirurgia e specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Psiconeuroimmunologia. Dal 1983 ad oggi lavora come Psicologo Clinico presso l’Asl di Salerno. È stato docente di Psicologia del Lavoro dal 2006 al 2011 presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Attualmente, è docente di Psiconeuroimmunologia presso l’Open Academy of Medecine, a Venezia. Dal 1999 è responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’UOSM DS 67, dell’Asl di Salerno. Dal 2000 si occupa di mobbing come coordinatore del gruppo di lavoro presso la stessa Asl. Autore di numerosi libri e scritti in materia del mobbing. Rocchina Staiano, Avvocato, Docente in Diritto della Previdenza ed assicurazioni sociali e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro presso l’Università di Teramo; Docente/formatore in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, ai sensi del D.M. 5 marzo 2013; Docente in vari Corsi di formazione e di master; Membro dei collegi dei probiviri della Cisl Regione Campania; Componente esterno della Commissione Lavoro e della Commis- sione Rapporti Internazionali UE del CNF; Consigliera di Parità della Provincia di Benevento. Autrice di numerose pubblicazioni e di contributi in riviste, anche telematiche.  

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  1. L’organizzazione lavorativa ed il mobbing: una fattispecie articolata

Il mobbing può essere definito come quella situazione lavorativa di conflittualità sistematica persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità[9].

Il mobbizzato, si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e nell’arco di tempo superiore a sei mesi detti attacchi possono causare disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psico- fisica permanente[10].

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva sono rilevanti: 1)  la molteplicità di comportamenti e di atti, giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi, di carattere persecutorio, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; 2) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; 3) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico ovvero ancora del pari grado e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; 4) la prova dell’elemento soggettivo ovvero dell’intento persecutorio[11].

Dal punto di vista oggettivo, l’elemento principale si rinviene nella ripetitività delle condotte vessatorie che devono avere una durata di almeno sei mesi e consistere in episodi vessatori protratti nel tempo. Dal punto di vista soggettivo, rileva la finalità persecutoria che deve orientare vari atti o comportamenti in un unico programma vessatorio con connotazioni di illiceità anche se i singoli atti o comportamenti, analizzati isolatamente, possono anche apparire neutri ovvero addirittura rappresentare esercizio di diritti o potestà[12].

Tra i comportamenti mobbizzanti si possono annoverare il trasferimento illegittimo[13], la dequalificazione professionale[14], il licenziamento ingiurioso[15] ovvero il licenziamento illegittimo[16]. Tali atti del datore di lavoro presentano una connotazione di illegittimità sotto il profilo strettamente lavoristico come atti plurioffensivi del dipendente se individuati anche con valenza persecutoria ovvero connotati dalla massima offensività se ricondotti in una unica finalità mobbizzante.

3 Lo strainining non costituisce solo un limite quantitativo e qualitativo al mobbing ed è fonte di danni patrimoniali e non patrimoniali

Lo straining indica una situazione di stress forzato sul posto di lavoro la cui vittima, il lavoratore, subisce da parte dell’aggressore, lo strainer, che solitamente è un superiore, almeno una azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. Lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria[17].Difatti, costituisce mobbing quell’insieme di condotte protratte nel tempo le quali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali, rivestano le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente. La sussistenza della lesione del bene protetto deve essere verificata considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sua sistematicità e durata, dalle caratteristiche oggettive di persecuzione e di discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. Nello straining, invece, viene meno solo il carattere della continuità delle azioni vessatorie[18]. Perchè possa configurarsi lo straining è pertanto sufficiente anche una sola azione, purchè i suoi effetti siano duraturi nel tempo come nei casi di demansionamento o trasferimento illegittimo. Si tratta di un tipo di stress superiore a quello connaturato alla natura stessa del lavoro ed alle normali interazioni organizzative: esso, infatti, è diretto nei confronti di una vittima o di un gruppo di vittime in maniera intenzionale e con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della condizione lavorativa delle persone coinvolte.

Tale situazione,ingenerando sofferenza, può provocare un danno esistenziale, oltre che professionale ed eventualmente biologico. La sua configurabilità può derivare anche dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo del dipendente[19].

Un primo indirizzo giurisprudenziale ha ammesso un sostanziale alleggerimento dell’onere probatorio riconoscendo il risarcimento anche nei casi di straining e richiedendo, tuttavia, la prova del medesimo elemento soggettivo del mobbing[20].

In sostanza, la Corte suprema di Cassazione afferma che lo straining è una forma attenuata di mobbing per la cui configurabilità sono necessari i sette parametri enunciati dalla dottrina medico-legale[21]: l’ambiente lavorativo, la frequenza anche isolata con effetti duraturi della condotta illecita, la durata di almeno sei mesi della condotta ed il dislivello tra gli antagonisti in cui la vittima è in una posizione di inferiorità gerarchica con il suo datore di lavoro, l’intento persecutorio e l’obbiettivo discriminatorio.

Secondo un primo indirizzo interpretativo, la finalità illecita di recare pregiudizio alla vittima costituisce elemento costitutivo della fattispecie[22]. Secondo altro indirizzo, invece, sarebbe sufficiente[23] la prova di un dolo generico, ossia la consapevolezza di attuare una sequenza persecutoria in danno del lavoratore.

Altra tesi dottrinale, richiede la prova del solo effetto lesivo della condotta, prescindendo dall’intento doloso persecutorio[24].

La più recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto la sussistenza dello straining[25] anche in presenza di una serie omogenea di condotte del datore di lavoro, limitate anche nel tempo, quindi al di sotto del parametro dei sei mesi, e ha rinviato alla competente Corte di appello per verificare, sulla base di questo solo dato oggettivo, costituito da quattro sanzioni conservative nulle, la sussistenza della natura illecita della condotta posta in essere dal datore di lavoro, costituita con lo specifico fine di colpire il dipendente. Si è, quindi, ritenuto ammissibile assolvere all’onere della prova dell’elemento soggettivo della volontà dolosa dello strainer guardando  alle intrinseche caratteristiche oggettive della condotta sanzionata[26].

Per creare un primo punto di interpretazione della presente fattispecie, si deve affermare che, in base alla esaminata giurisprudenza, anche un solo atto con effetti durevoli può integrare la fattispecie dello straining, per cui non si può parlare più di intento persecutorio, quanto di un delimitato intento offensivo insito nel singolo o nei singoli atti oggetto di esame. Non si tratta della semplice volontà di inadempimento del datore di lavoro con riguardo ad una norma di tutela del lavoro dipendente, quanto di una volontà offensiva e/o discriminatoria, presente nell’inadempimento stesso. Tale elemento soggettivo si evince dalle stesse caratteristiche dell’inadempimento contrattuale. Il disvalore giuridico della fattispecie, anche sotto il profilo soggettivo, si evince dalla pluralità degli effetti pregiudizievoli quali, per fare un esempio, in una dequalificazione professionale, il decremento ovvero il mancato incremento della professionalità particolarmente mortificante perché associato anche alla rilevante perdita di chance[27]. In tale ipotesi ricostruttiva si può ipotizzare un danno morale ed una modifica permanente della condizione esistenziale del lavoratore subordinato, fonte di responsabilità civile non patrimoniale. La pluralità dei pregiudizi, la cui prova è a carico del lavoratore[28],integra la fattispecie dello straining sia sotto il profilo oggettivo bastando uno o un numero molto limitato di comportamenti datoriali, sia da un punto di vista soggettivo in quanto la volontà offensiva è ricavabile da presunzioni gravi precise e concordanti. Tale ricostruzione può essere estesa anche ad altri singoli comportamenti illegittimi del datore di lavoro, quali un trasferimento illegittimo o un licenziamento ritorsivo o dettato da motivo illecito determinante[29].

La presente ordinanza in commento non ritiene sussistere una violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui il Giudice ha ritenuto fonte di responsabilità contrattuale del datore di lavoro un singolo atto persecutorio e non il dedotto e lamentato mobbing. Ne consegue che la Corte Suprema di Cassazione non ha ritenuto sussistere un rapporto di “species” a “genus” tra straining e mobbing . I Giudici di legittimità hanno piuttosto individuato, in via implicita, l’esistenza nell’ordinamento italiano di una singola condotta datoriale da inadempimento contrattuale e dal carattere plurioffensivo, per la cui configurabilità non è necessario il dolo specifico e cioè l’intento persecutorio, né tanto meno il reiterarsi nel tempo degli stessi comportamenti illeciti. Questa ricostruzione ha assunto una valenza di carattere generale ed indipendente dalla figura del mobbing, costituendo un chiaro esempio di soglia anticipata di tutela. Ne consegue che  la domanda di risarcimento del danno di uno o più comportamenti offensivi del datore di lavoro, può impedire il reiterarsi delle condotte plurioffensive e, di tal che, impedire la nascita di un comportamento propriamente mobbizzante.

  1. I danni da mobbing: cenni conclusivi

I danni da mobbing si suddividono in danni  non patrimoniali e patrimoniali. Tali danni sono stati individuati dalla giurisprudenza di legittimità.[30]

Il mobbing, inteso come atteggiamento di carattere persecutorio e discriminatorio da parte del datore di lavoro nei confronti di un lavoratore, può provocare danni non patrimoniali, ossia il danno biologico, morale ed esistenziale[31].Tali danni vanno separatamente provati e risarciti: ne consegue che è onere del lavoratore effettuare specifiche allegazioni sul danno ricevuto in concreto con specificazione di elementi, modalità e peculiarità della situazione in fatto attraverso cui possa emergere la prova del danno. Quindi, il danno biologico richiede la prova dell’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica, medicalmente accertabile; mentre, il danno esistenziale, – da intendere come ogni pregiudizio procurato sul fare areddituale del soggetto che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento giuridico, compresa la prova per presunzioni.

Il  danno non patrimoniale, disciplinato dall’art. 2059 c.c., interpretato in senso conforme ai precetti della Costituzione, comprende anche la sofferenza psichica ed il patema d’animo sopportati dal soggetto passivo dell’illecito, che può essere definito danno morale.[32]Questo danno completa l’area dei danni non patrimoniali costituiti dal danno biologico e dal danno esistenziale.[33]

Si deve precisare che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva nella cui liquidazione il Giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima con la loro identificazione  nel loro verificarsi e svilupparsi sia dal punto di vista temporale, che dal punto di vista causale. Per fare un esempio, il Giudice dovrà tener conto del  particolare stato di sofferenza soggettiva per un certo periodo di tempo (danno morale) che abbia portato come conseguenza un danno neurologico permanente ed una perdurante modificazione dello stile di vita con perdita di occasioni di socializzazione.[34]

I danni patrimoniali si verificano soprattutto, ma non esclusivamente, nel caso di dequalificazione professionale che si può rinvenire sia in un non incremento di abilità professionali, causato da forzata inattività ovvero da minore attività, anche qualitativa, sia dalla c.d. perdita di chance[35]intesa, quest’ultima, come possibilità di sviluppo di carriera sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo: il lavoratore dequalificato avrà meno opportunità di ricollocarsi sul mercato in una posizione adeguata alla sua professionalità [36]

 

Note

[1]G. Ludovico Lo stress lavoro correlato tra tutela prevenzionistica, risarcitoria e previdenziale, in riv.dir sic. soc.2011 n.2; F. Malsani, Ambiente di lavoro e tutela della persona Diritti e Rimedi, Milano, 2014, R. Nunin, La prevenzione dello Stress Lavoro- correlato. Profili normativi e responsabilità del datore di lavoro, Trieste, 2012;  Cass. sez. lav. 19.02.2016 n. 3291; Cass. Sez.lav.29.03.2018 n. 7844

[2] M. Amendola, Danno biologico e responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., in Giur. It. 2001 pag. 485; G. Natullo, voce sicurezza del lavoro  in Enc. Dir. Annali, Vol IV, Giuffrè 2011 pag 1079 e ss.R. Staiano, La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Maggioli 2011 pag. 14; Cass sez. lav. 18.02.2000 n. 1886; Cass. Sez.lav. 28.07.2000 n.9981; Cass sez.lav. 5.03.2002 n.3162

[3]A. Vallebona, La responsabilità per lo stress, lavoro correlato nella secolarizzazione dell’occidente, in Mass. Giur. Lav., 2012 1-2 p. 26 e ss.; G. Natullo, Principi generali della prevenzione e confini dell’obbligo di sicurezza, in F. Carinci(diretto da) Diritto del lavoro. Commentario, Vol VIII, Ambiente e sicurezza del lavoro, a cura di M. Rusciano, G. Natullo, 79 ss. Cass. sez lav. 18.06.2018 n. 16047

[4] G. Federico Mancini, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Giuffrè, 1957

[5] R. Favale, M. Feola, A. Procida Mirabelli di Lauro, L’obbligazione come rapporto complesso, Giappichelli, 2016

[6] Al riguardo, Salvatore Mazzamuto, Il Mobbing, Giuffrè,2004

[7]Corte di Giustizia CE 14.06.2017, c- 127/05; M. Lai Tutela della salute dei lavoratori in Dir. E pratica lav. , 1992 pag. 295

[8]Cass sez lav. 22.12.1987 n. 9535; Cass sez.lav 2303.1991 n. 3115; Cass sez.lav8.04.1995 n. 4078

[9]M Meucci, Considerazioni sul mobbing, in Lav. prev. Oggi 1999, n. 11 pag. 1953 e ss.; G. Pera, La responsabilità dell’impresa per il danno psicologico subito dalla lavoratrice perseguitata dal preposto (a proposito di mobbing) in Riv. It. dir.lav. 2000 p. 102,  Trib Palermo 21.09.2009; Trib. Ivrea 30.08.2010; Trib Perugia 5.05.2010; Trib. Forlì 13.03.2001

[10]C. Castronovo, danno biologico: un itinerario di diritto giurisprudenziale, Milano 1998; E. Ceppi  Rappi e F. De Ambrogi, Il danno biologico da mobbing, in Danno e resp. 2012 n. 8-9 pag. 913; Cass sez. lav. 9.09.2008 n. 22858; Cass sez.lav. 17.02.2009 n.3785, Cass sez. lav. 31.05.2011 n. 12048

[11]E. Di Sabatino, Dal mobbing allo stalking allo straining, in Resp. Civ. , 2007 n. 2 pag. 171Trib. Milano 7.04.2015

[12]Tar Campania, Napoli sez VI 29.06.2009 n. 3585

[13]M. Bona e P.G. Monateri, Mobbing, Giuffrè 2000; Cass. sez. lav  29.07.2003 n. 11660

[14] R. Staiano, Dequalificazione professionale e mobbing. Profili applicativi , Halley, 2006; Cass sez. lav. 3.07.2018 n. 17365;

[15]Cass sez lav. 30.12.2011 n. 30668

[16]Cass sez. lav. 17.09.2012 n. 15519

[17]N.Girelli La protezione del benessere psicofisico del lavoratore: mobbing, molestie sessuali, straning in Lav giur. 2012 n . 5 pag 466; M. C. Cataudella, Lavorare stanca. Alcune considerazioni sullo stress lavoro-correlato, in Arg. Dir. Lav., 2010 n.3, 673

[18]Trib. Bergamo 20.06.2005; Trib. Brescia 15.04.2011; Cass. sez. lav.19.02.2016 n. 3291

[19]Trib. Aosta sez. lav. 1.10.2014 n.121; Cass.sez.lav. 19.02.2018 n. 3977; Cass. sez. lav. 29.03.2018 n. 7844; E. Di Sabato  Dal mobbing allo straining,  in Resp. Civ. 2007 n. 2 pag. 171

[20]cfr. ancora Cass. sez. lav. 29.03.2018 n. 7844 e Cass. sez. lav. 19.02.2018 n. 3977

[21]H Ege Oltre il mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Milano, 2005

[22]Corte Cost. 10.12.2003 n. 359; Cass. sez. lav. 20.11.2017 n. 27444

[23]Cass. Sez. lav. 10.11.2017 n. 26684; Cass sez. lav. 16.03.2016 n. 5230

[24]Cfr. M. Meucci “ Danni da mobbing e la loro risarcibilità “, Roma 2012

[25]Cass. sez lav. 20.06.2018 n. 16256

[26]P. Albi, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona. Art 2087 c.c. in Il codice civile: Commentario diretto da F.D. Busnelli, Milano 2008; Cass civ. 20.01.2015 n.826; Cass civ. 15.07.2011 n. 15659

[27]Cass sez. lav. 14.11.2001 n. 14199; Casssez.lav. 5.12.2017 n. 29047

[28]Casssez lav. 24.03.2006 n. 6572

[29]Trib Bologna sez. lav. 29.12.2017 ne “Il lavoro nella giurisprudenza” 2018 pag. 393

[30]Ponzanelli, La decisione delle sezioni unite: cambierà qualcosa nel risarcimento del danno? In Riv. Dir. Civ., 2018 I, p. 300; Cass. Sez Un. 5.7.2017 n. 6601; Cass. Sez Un. 25.2.2016 n. 3727; Cass. sez.III 31.5.2018 n.13770; Cass. sez III 27.3.2018 n. 7513

[31]  Ponzanelli, Le tre voci di danno non patrimoniale: problemi e prospettive in Danno e Responsabilità, 2004 n. 1, 5; Cass. Civ. n.n. 7281, 7282, 7283, 8827 e 8828/ 2003; Corte Cass. Sez. Unite nn.26972, 26973, 26974 2 26975/20008

[32]Trib. Treviso 13.10.2000 in Riv. Giur. Lav., 2002,II pag.332

[33] Cass. sez.lav 14.11.2001 n. 14199; Cass sezlav 19.12.2008 n. 29832

[34] Tar Campania Napoli sez IV, 17.9.2009 n. 5014

[35]Natali, Perdita di chance e diritto al risarcimento in Dir. Prat. Lav. 2007, n.7 pag. 477; Oliva Perdita di chance: patrimonialità e criteri di quantificazione del relativo danno in Resp. Civ 2012 n. 11 pag. 811; Cass. sez. lav. 18.10.1999 n. 11727;

[36] Cons. Stato sez V,  8.4.2014 n. 1672.

Cristina Iacone

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