(Annullamento con rinvio)
(Riferimento normativo: C.p. art. 659)
Il fatto
Il Tribunale di Viterbo, con la sentenza del 2 ottobre 2017, aveva condannato S. V. per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. perché, nella qualità di gestore della s.n.c. Supermarket, installando ed utilizzando nella gestione dell’attività del supermercato unità refrigeranti e motori per il funzionamento che provocavano immissioni sonore notevolmente superiori ai limiti normativi, disturbavano le occupazioni ed il riposo degli occupanti degli immobili vicini tra i quali A. P., A. P., S. M..
I fatti, a loro volta, erano stati ritenuti in sentenza commessi in Viterbo fino all’aprile del 2013 allorché la condotta sarebbe cessata perché la fonte rumorosa, costituita dai motori dei frigoriferi interni, era stata neutralizzata.
Il Tribunale di Viterbo aveva anche pronunciato la condanna generica al risarcimento del danno in favore di A. P., riconoscendo la provvisionale.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: 1) vizio di violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli articoli 659 comma 1 cod. pen. e 10 comma 2 legge 447/1995 in quanto il giudice avrebbe pronunciato la condanna nella mancanza assoluta di elementi di prova atti a dimostrare che il superamento del limite di emissioni sonore abbia prodotto anche il disturbo della quiete pubblica; in particolare, veniva sostenuto come il Tribunale avrebbe omesso là valutazione di alcune fonti di prova; 2) vizio della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. stante il fatto che: a) sarebbe mancata la motivazione sul superamento della normale tollerabilità tale da recare pregiudizio alla tranquillità pubblica o alla quiete ed al riposo di un numero indeterminato di persone per tutto il periodo individuato, dal gennaio 2012 fino all’aprile del 2013; b) sarebbe stata travisata anche la prova in relazione alla testimonianza di S. M., nel riportarne la sintesi in motivazione; c) sarebbe stata travisata la testimonianza di A. P., quanto al periodo in cui era avvenuto l’aggravamento della rumorosità ritenendosi al contempo come il teste A. F. sarebbe stato inattendibile avendo costui riferito che i rumori disturbavano di notte A. P. il quale però aveva riferito di non dormire nell’appartamento posto al di sopra del supermercato, e la sua testimonianza non poteva essere ritenuta dirimente dal Tribunale, come invece avvenuto; 3) vizio di violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli articoli 659 comma 1 cod. pen., 10 comma 2 legge 447/1995 e 4 D.P.C.M. del 1997 poiché, a dire del ricorrente, il giudice avrebbe pronunciato la condanna in mancanza assoluta di elementi di prova atti a dimostrare il superamento del limite delle immissioni sonore, nonché il vizio della contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza di elementi di prova circa il superamento dei limiti di emissioni sonore; 4) vizi di violazione di legge in relazione agli articoli 659 comma, 157, 158 e 160 cod. pen., e della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prescrizione del reato ascritto atteso che il reato doveva intendersi invece consumato con la rimozione dell’impianto esterno avvenuta nel tra la fine di agosto ed i primi giorni di settembre 2012 e la conseguente cessazione dei rumori, come riferito dai testi M. e P. e, pertanto, il 2 ottobre 2017 era già decorso il termine di prescrizione di 5 anni.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso reputava prima di tutto come il primo ed il secondo motivo di ricorso, per come articolati, non fossero inammissibili così come si stimavano infondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
Premesso ciò, gli ermellini denotavano come, dal contenuto della motivazione, dovesse ritenersi che la condanna era stata pronunciata per la contravvenzione di cui al comma 1 dell’art. 659 cod. pen..
Rilevato questo, si osservava come la condotta sanzionata dal secondo comma dell’art. 659 cod. pen. sia soltanto quella costituita dalla violazione delle disposizioni della legge o delle prescrizioni dell’autorità che disciplinano l’esercizio della professione o del mestiere mentre l’emissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone rientra nella previsione del comma 1, indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono, quindi anche nel caso in cui l’abuso si concretizzi in un uso smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso.
In particolare, si faceva presente come il disturbo della pubblica quiete possa essere causato esorbitando dal normale esercizio di una determinata attività con condotte concretamente idonee a disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone fermo restando che i concetti di rumori, eccedenti la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, oggetto dell’art. 659 comma 1 cod. pen., sono diversi dai limiti massimi o differenziali di emissione del rumore il cui superamento integra l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447.
Inoltre, una volta richiamato, per la ricostruzione dell’ambito applicativo dell’art. 659 comma 1, del comma 2 dell’art. 659 cod. pen. e dell’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, quanto statuito dalla Cass. Sez. 3, nella sentenza n. 11031 del 05/02/2015, Rv. 263433, i giudici di piazza Cavour postulavano che, nel reato previsto dall’art. 659 cod. pen., l’oggetto della tutela penale è dato dall’interesse dello Stato alla salvaguardia dell’ordine pubblico, considerato nel particolare aspetto della tranquillità pubblica, consistente in quella condizione psicologica collettiva, inerente all’assenza di perturbamento e di molestia nel corpo sociale e dunque il bene giuridico protetto viene offeso dal disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, cagionato mediante rumori, e cioè da suoni intensi e prolungati, di qualunque specie e natura, atti a determinare il turbamento della tranquillità pubblica, o da schiamazzi.
Chiarito ciò, veniva fatto altresì presente che, secondo la giurisprudenza, per integrare il reato di cui all’art. 659, comma 1, è necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa (Sez. 3, 13.5.2014, n. 23529, omissis, Rv. 259194), o agli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione (Sez. 1, 14.10.2013, n. 45616, omissis, Rv. 257345), occorrendo invece la prova che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l’edificio in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneità a turbare la pubblica quiete.
In altri termini, la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare (Cass. Sez. 1, 29.11.2011, n. 47298, omissis, Rv. 251406; Sez. 3, 27.1.2015, n. 7912, omissis).
Ebbene, declinando tale principio di diritto al caso di specie, la Suprema Corte rilevava come, dalla sentenza impugnata, risultasse che le fonti di rumore erano costituite in origine dall’attività dell’esercizio commerciale, quindi a partire dalla loro installazione, dai frigoriferi esterni, rimossi nel settembre 2012 e, secondo la sentenza, pagina 2, anche dopo la rimozione dei frigoriferi esterni, le immissioni sonore non erano state neutralizzate mentre, nel mese di novembre del 2012, veniva accertato il superamento dei limiti per le emissioni sonore da parte dei frigoriferi interni, e tale ultima fonte rumorosa fu neutralizzata nell’aprile del 2013.
Ricostruito cronologicamente il fatto in questi termini, la Corte di Cassazione metteva però in risalto il fatto di come non risultasse motivato il requisito della diffusività visto che l’evento di disturbo deve essere potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone non potendo, ai fini della configurabilità dell’illecito penale de quo, il fastidio essere limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa o agli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione.
Invece, osservava la Corte nella pronuncia in commento, dalla sentenza emerge come il disturbo fosse stato di fatto percepito solo da due famiglie, vale a dire quella di P. A. e quella di M. così come, sempre dal provvedimento impugnato, risultava che l’indicazione delle altre famiglie, che avrebbero riferito di subire le immissioni sonore, fosse avvenuta senza neanche indicare con precisione la fonte dell’informazione.
Posto ciò, veniva stimato a sua volta infondato il quarto motivo perché nel ricorso si riportava solo una parte del verbale dell’esame dibattimentale da cui risultava che la famiglia di A. P. aveva abbandonato l’immobile il 31 ottobre 2012 e dunque, alla stregua di ciò, ad avviso degli ermellini, il reato pertanto doveva ritenersi commesso almeno fino a tale data posto che lo stabile era destinato prevalentemente a casa vacanze che dal 31 ottobre 2012 le famiglie residenti erano solo 2, di cui una però non era provato se fosse stata anche solo potenzialmente lesa dalle immissioni sonore.
Pertanto, il reato, all’atto della pronuncia della sentenza non era estinto per prescrizione.
In presenza di un ricorso ammissibile, il Supremo Consesso evidenziava come dovesse però prendersi atto del decorso del termine di prescrizione di 5 anni calcolato secondo la tesi della sentenza del Tribunale dalla cessazione della condotta accertata il 1 aprile 2013.
Tal che se ne faceva discendere come la sentenza impugnata andasse annullata perché il reato era estinto per prescrizione, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello limitatamente alle statuizioni civili, cui si demandava anche la liquidazione delle spese del grado sostenute dalla costituita parte civile.
Conclusioni
La sentenza in esame è sicuramente condivisibile.
La ricostruzione giuridica della norma incriminatrice preveduta dall’art. 659, c. 1, c.p., difatti, è in linea con la giurisprudenza di legittimità elaborata in subiecta materia.
L’affermazione decisoria, contenuta in questa pronuncia, secondo la quale la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare, dunque, è sicuramente corretta in quanto, come appena scritto, in linea con un pregresso orientamento nomofilattico.
Va da sé pertanto che, per accertare la sussistenza di questo illecito penale, non basta la prova che taluno si lamenti di un disturbo di questo genere, occorrendo invece la dimostrazione che i rumori siano connotati di una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, di conseguenza, si ribadisce, non può che essere positivo.
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