Il ricorrente precisava che tale utile della società non era stato oggetto di distribuzione ai soci, bensì era stato accantonato a riserva straordinaria, e affermava l’illegittimità dell’imputazione a reddito ai fini contributivi del reddito di trasparenza, ove non effettivamente percepito, chiedendo che il Tribunale di Bologna in funzione di Giudice del Lavoro, annullasse l’Avviso di Addebito opposto.
Si costituiva in giudizio l’Inps affermando l’infondatezza della pretesa di parte ricorrente, ribadendo la propria posizione siccome esplicata nelle circolari sull’argomento.
Le Circolari INPS, stabiliscono che il socio lavoratore di srl è tenuto: i) fermo restando l’obbligo a versare i contributi in misura minimale, a versare anche i contributi sul reddito dichiarato dalla società di capitali imputato al socio per trasparenza in ragione delle quote sociali da questi detenute; ii) a versare i contributi sugli emolumenti eventualmente percepiti come amministratore.
Secondo l’Ente previdenziale per i soci lavoratori di S.r.l. la base imponibile, fermo restando il minimale contributivo, è costituita dalla parte di reddito d’impresa dichiarato dalla S.r.l. ai fini fiscali ed attribuita al socio in ragione della quota di partecipazione agli utili, prescindendo dalla destinazione che l’assemblea ha riservato a detti utili, e, quindi ancorchè non distribuiti ai soci (Circolare n. 32/1999).
La base contributiva
Assumere a base contributiva la quota degli utili aziendali riferibili solo idealmente al socio lavoratore della S.r.l., a prescindere dalla effettiva distribuzione, contrasta con il principio secondo il quale i contributi previdenziali si pagano in base al reddito della persona fisica.
Il principio dell’effettivo percepimento del reddito informa tutto l’ordinamento, in materia contributiva e retributiva:
- Legge Finanziaria 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1 comma 210: Dopo il comma 4 dell’articolo 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, come modificato dall’ 11, commi 9 e 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è aggiunto il seguente: “4 bis. Le trattenute delle quote di pensione non cumulabili con i redditi da lavoro autonomo vengono effettuate provvisoriamente dagli enti previdenziali sulla base della dichiarazione dei redditi che i pensionati prevedono di conseguire nel corso dell’anno. A tal fine gli interessati sono tenuti a rilasciare all’ente previdenziale competente apposita dichiarazione. Le trattenute sono conguagliate sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti, rilasciata dagli interessati entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione dei redditi ai fini dell’IRPEF“.
- Legge 2 agosto 1990, n. 233, Art. 1 c.1: A decorrere dall’1 luglio 1990 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, e` pari al 12 per cento del reddito annuo derivante dalla attivita` di impresa che da` titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente.
- Decreto Legge 19 settembre 1992, n. 384, (convertito in legge dalla L. 14.11.1992 n. 438) art. 3bis comma 1: A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, e` rapportato alla totalita` dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono.
- DPR 22 dicembre 1986, n. 917, TUIR, Art. 47 comma 1: Utili da partecipazione in società ed enti 1. Salvi i casi di cui all’articolo 3, comma 3, lettera a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società o dagli enti indicati nell’articolo 73, anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare [dal 1/1/2008 la percentuale è del 49,72%, ndr]. Indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti l’utile dell’esercizio e le riserve diverse da quelle del comma 5 per la quota di esse non accantonata in sospensione di imposta.
- TUIR Art. 47, lettera c bis), comma 1: Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: … c.bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica….
- Decreto legge 22 dicembre 1981, n. 791 Articolo 2 , comma 2 : In attesa della legge di riforma del sistema pensionistico, anche ai fini del calcolo della pensione sulla base della contribuzione differenziata, per l’anno 1982 e` altresi` dovuto dagli artigiani e dagli esercenti attivita` commerciali alle gestioni speciali dell’assicurazione per l’invalidita`, la vecchiaia ed i superstiti un contributo aggiuntivo aziendale pari, rispettivamente, a 14 e 4,20 per cento del reddito di impresa imponibile dichiarato ai fini dell’IRPEF per l’anno precedente o divenuto definitivo in sede di accertamento, se superiore. Detto contributo non puo` comunque essere superiore a lire 2 milioni, con il limite minimo di L. 50.000, nei casi in cui il reddito di impresa imponibile ai fini dell’IRPEF risulti inferiore a L. 1.250.000.
- E’ fatto notorio poi che, fermi i minimi contributivi, le casse previdenziali dei professionisti, come gli avvocati e i dottori commercialisti, parametrino la contribuzione previdenziale annua ai redditi effettivamente percepiti nell’anno di imposta ed esposti in dichiarazione ai fini Irpef.
- Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, con la sentenza 31 dicembre 2015 n. 26204, osserva che “della Legge n. 662 del 1996, articolo 1, il comma 208 non ha introdotto alcun principio di alternatività tra l’iscrizione alla gestione commercianti e l’iscrizione alla gestione separata di cui alla Legge n. 335 del 1995, articolo 2, comma 26, e che, sotto il profilo logico-sistematico, le contemporanee iscrizioni presso le due gestioni si fondano su titoli diversi: la percezione di redditi di lavoro autonomo, come amministratore della societa’, e la percezione di redditi di impresa, in qualita’ di socio che partecipa al lavoro aziendale, nel caso della gestione commercianti, si’ che non puo’ ipotizzarsi una duplicazione di contribuzione, che il legislatore ha inteso evitare con il comma 208 sopra citato.”
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D’altro canto nessuna norma prevede l’imputazione per trasparenza a fini contributivi del reddito di impresa dichiarato ai fini IRES dalla società di capitali in capo al socio: le Circolari INPS offrono un mero indirizzo, basato su di una interpretazione di parte, non sono vincolanti, se non per i funzionari dell’Ente, e non costituiscono quindi fonte del diritto.
Il precedente
Con la arcinota Sentenza 7.11.2001, n. 354, la Corte Costituzionale si è espressa in materia, affrontando il problema con riferimento al socio di una S.a.s. e non già di S.r.l.; il sistema fiscale prevede per le società di persone un regime fiscale “per trasparenza” a differenza delle società di capitali per le quali vige la regola della segregazione patrimoniale: innanzi alla Corte Costituzionale, INPS ha sostenuto la sostanziale differenza tra il reddito del socio di S.a.s. da quello del socio di S.r.l. onde contrastare la tesi avversaria che voleva assimilare il trattamento previsto per il socio di S.a.s. a quello del socio di S.r.l.: nei contenziosi che si sono sviluppati in seguito l’Ente ha invece elaborato, pro domo sua, la tesi opposta che tenderebbe ad assimilare le due fattispecie. Con la pronuncia in questione la stessa Corte ha rimarcato la differenza tra il sistema fiscale delle S.a.s. e quello delle S.r.l. dato che queste ultime già subiscono la tassazione del proprio reddito di impresa ai fini IRES, mentre le S.a.s. subiscono la tassazione IRPEF solo in capo ai propri soci.
Nel caso delle Srl sussiste una rigida distinzione del patrimonio della società da quello del socio, a differenza di quanto accade per le Sas: la scelta del legislatore di consentire alle imprese artigiane di assumere la forma di società di capitali fu motivata dall’esigenza di consentire una crescita del settore anche attraverso la capitalizzazione di tali aziende e la segregazione patrimoniale, dal momento che l’impresa individuale e la società di persone non rispondevano più alle esigenze del mercato, prima fra tutte la trasparenza contabile indispensabile ad ottenere la liquidità e gli investimenti necessari a implementare il livello occupazionale nei limiti dimensionali imposti. Di qui l’esigenza, talora, di non distribuire l’utile societario, al fine di garantire lo sviluppo, se non addirittura la sopravvivenza della società, che, per quanto di dimensioni ridotte può richiedere un impiego di capitale non indifferente.
Appare dunque evidente la forzatura e l’iniquità dell’interpretazione dell’INPS, rispetto alle società a responsabilità limitata, nel voler equiparare al reddito di impresa il mero diritto alla partecipazione agli utili, a prescindere dalla effettiva partecipazione (percezione) agli utili (cosa che comunque integrerebbe reddito da partecipazione in capo al socio, e non reddito di impresa): la natura di reddito di impresa, ai fini fiscali, è riferibile unicamente all’ente societario, dotato di personalità giuridica e autonomia patrimoniale.
A dispetto del Decreto Legge 31 maggio 2010, n.78, art. 12 comma 11 – norma di interpretazione autentica retroattiva dichiarata costituzionalmente legittima dalla sentenza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2012, n. 15 – che sancisce la definitiva legittimità dell’obbligo della doppia iscrizione alla Gestione Separata e alla Gestione Artigiani del socio-amministratore della Srl Artigiana, la questione non può dirsi definitivamente chiusa.
La soluzione del Tribunale
Il Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 210/2019 del 2/4/2019 ha accolto il ricorso del socio lavoratore di Srl artigiana che contestava di vedere calcolati i propri contributi previdenziali anche sugli utili non distribuiti.
Nel caso di specie non è stata posta in dubbio la qualificazione della società come ‘artigiana’, né tanto meno è stato messo in discussione l’obbligo del socio/amministratore della società artigiana di iscriversi alla relativa Gestione Artigiani: il minimale richiesto dalla normativa e dall’Ente è stato infatti versato integralmente, e non è stato oggetto di istanza di ripetizione.
Il ricorrente ha versato i minimi richiesti dalla Gestione Artigiani, oltre a quanto dovuto alla Gestione Separata in quanto amministratore, e, ricevuto l’avviso di addebito relativo alla parte variabile della contribuzione artigiana, ha proposto opposizione: il Tribunale è stato pertanto chiamato a pronunciarsi unicamente sui criteri di calcolo del quantum della pretesa contributiva azionata da INPS per la parte eccedente il minimale.
La pronuncia, la prima in Italia a quanto risulta, ha l’effetto di mitigare l’irragionevolezza e l’iniquità dell’attuale meccanismo.
Il Tribunale felsineo ha accolto la domanda del ricorrente annullando l’avviso dell’INPS “poiché l’imputazione di reddito per trasparenza, è una mera fictio giuridica, cui non corrisponde un reddito reale della persona fisica cui tale reddito è imputato “per trasparenza”, nei casi, come il presente, in cui la somma in questione sia rimasta nella sfera giuridica di un soggetto giuridico distinto e diverso dal ricorrente medesimo … Ne consegue che applicando correttamente i principi di cui all’art.1 della Legge N°233/1990, tale reddito, almeno fino al momento della sua effettiva distribuzione, non può generare obblighi contributivi, in quanto è reddito di impresa, la cui disponibilità rimane in capo alla srl fino al momento della distribuzione ai soci, con la conseguenza che tale reddito potrebbe anche, astrattamente, essere distribuito ad un socio diverso dal ricorrente, come nel caso di cessione in futuro, delle quote sociali senza assegnazioni precedenti”.
Non resta che attendere che altri Fori confermino tale nuova prospettiva: la corretta applicazione della normativa renderà meno gravoso, e meno odioso, l’onere della doppia iscrizione contributiva del socio-amministratore e nondimeno consentirà la proposizione di istanze di rimborso con riferimento ai contributi versati, per la parte eccedente il minimale, calcolati sull’utile di impresa non distribuito, e quindi non percepito dal socio.
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