Cassazione penale, Sentenza n. 412 del 2019
Riferimenti normativi: art. 5 Legge n.219/2017.
Precedenti giurisprudenziali: Cass, S.U., sentenza n. 35490 del 28.05.2009; Cass., sez. IV, n. 47289 del 9.10.2014; Cass., sez IV, n. 37794 del 22.6.2018, dep. 6.8.2018; Cass., sez. IV, n. 492 del 14.11.2013.
Fatto
Nella sentenza oggetto di commento la Quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha applicato le linee-guida accreditate, al fine di valutare e decidere la responsabilità penale colposa di alcuni operatori sanitari che avevano partecipato ad un intervento chirurgico al quale era seguita la morte del paziente che si era sottoposto all’intervento.
I professionisti coinvolti nella vicenda erano un operatore sanitario, un aiuto e un anestesista rianimatore, che avevano appunto svolto la propria prestazione professionale durante un intervento chirurgico di innesti ossei con impianti in titanio cui si era sottoposto il paziente. All’esito dell’intervento il paziente era morto e i tra professionisti sono stati condannati, sia in primo che in secondo grado (rispettivamente dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Salerno), per il delitto di omicidio colposo.
In particolare, la responsabilità accertata dai giudici di merito a carico dei tre imputati riguardava, preliminarmente, la mancata estubazione protetta del paziente, in modo da minimizzare il rischio di spasmi glottidei da risveglio successivi all’intervento che era stato eseguito in anestesia totale di lunga durata con una apertura prolungata della bocca, mentre, dopo il verificarsi dell’evento, la mancata esecuzione di una corretta tracheotomia chirurgica nonché la esecuzione non corretta di una incisione alla base dell’epiglottide, che avevano reso inevitabile la morte del paziente per soffocamento.
Tutti i professionisti condannati dai giudici di merito campani hanno introdotto il giudizio di Cassazione impugnando la Sentenza di seconde cure, rilevando come i giudici di appello, nel respingere l’istanza di rinnovazione dell’istruttoria formulata dalle difese degli imputati, avesse conseguentemente omesso di assumere una prova decisiva ai fini della soluzione della vicenda. Secondo i tre imputati, infatti, nel dibattimento svolto nel giudizio di merito non era stato esaminato il consulente tecnico del pubblico ministero e non era stato neanche nominato il perito che avrebbe dovuto individuare la effettiva causa che aveva determinato la morte del paziente, ma soprattutto nel dibattimento non erano state prese in esame e valutate le linee-guida elaborate dal Ministero della Salute per la tipologia di intervento oggetto di causa.
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La decisione della Cassazione
Preliminarmente, gli Ermellini affrontano la questione della prescrizione del reato di omicidio colposo, evidenziando come il termine sia decorso con riferimento alla fattispecie oggetto di causa. Tuttavia, nonostante, lo spirare del termine prescrizionale e quindi l’estinzione del reato, i giudici di legittimità hanno comunque ritenuto necessario esaminare i ricorsi promossi dagli imputati al fine di decidere sulla azione civile promossa dalla parte civile.
Al fine di decidere su tale azione, i giudici hanno quindi analizzato gli strumenti probatori utilizzabili nelle cause di responsabilità sanitaria: partendo, prima dal decreto legge “Balduzzi” e passando, poi, alla recente legge “Gelli – Bianco”.
Per quanto riguarda la prima delle due citate normative (il decreto legge “Balduzzi”), questa ha richiesto l’utilizzo delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica per poter accertare e sanzionare la condotta colposa dei professionisti sanitari. In applicazione della suddetta normativa, i giudici della Corte Suprema hanno ribadito che le linee guida, accreditate presso la comunità scientifica, devono guidare i professionisti sanitari nello svolgimento della loro attività professionale e, qualora rispettate, escludono la responsabilità penale colposa dell’esercente la professione sanitaria.
Per quanto riguarda, invece la legge “Gelli – Bianco”, che ha recepito la posizione della Corte di Cassazione in ordine alla funzione delle linee guida in materia sanitaria, l’art. 5 ha confermato che gli esercenti le professioni sanitarie debbono rispettare ed osservare le linee guida accreditate dalle società scientifiche determinate secondo i criteri stabiliti dalla stessa normativa, salvo dover adattare il proprio comportamento alle circostanze del caso concreto loro sottoposto. In tal modo, la condotta tenuta dal professionista sarà valutata proprio in rapporto a quanto previsto dalle stesse linee guida che deve rispettare.
Sulla base di tali presupposti normativi, gli Ermellini ritengono che, nella valutazione della sussistenza di una responsabilità penale colposa del professionista sanitario, i giudici di merito sono tenuti a indicare se esistono delle linee – guida che regolano le condotte da tenere nel caso concreto oggetto di esame o, in mancanza, delle buone pratiche clinico assistenziali. In presenza di uno dei due suddetti elementi, i giudici debbono valutare il nesso di causalità tra la condotta tenuta dal sanitario e l’evento dannoso, tenendo però in considerazione che l’aver rispettato le suddette linnee – guida o buone pratiche clinico assistenziali esclude la responsabilità del sanitario, e quindi precisare il grado della eventuale colpa imputabile al medico (grave o lieve) e verificare appunto il rispetto o meno da parte del sanitario delle linee – guida o delle buone pratiche applicabili nel caso di specie.
I giudici di legittimità, poi, attribuiscono particolare importanza al sapere scientifico, quale ausilio per giudice nel compiere le proprie valutazioni giuridiche. Infatti, nel valutare la prova, il giudice di merito deve dare conto del controllo che ha svolto sull’affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento e deve altresì valutare l’imparzialità e l’autorevolezza scientifica dell’esperto di cui si è avvalso per la soluzione dei problemi tecnici. Al contrario, il giudizio di legittimità, invece, deve soltanto controllare che il giudice di merito abbia compiuto un ragionamento logico nel decidere la causa, senza poter compiere alcuna valutazione sul fatto che le argomentazioni utilizzate dal giudice di merito siano adeguate. Pertanto, secondo i giudici di cassazione il mancato esame di tutti i punti della consulenza tecnica da parte del giudice di merito non costituisce di per sé un vizio di motivazione della sentenza, quando il giudice abbia comunque indicato in maniera adeguata e logica gli argomenti che lo hanno condotto a prendere la sua decisione.
Ebbene, nel caso oggetto di esame, gli Ermellini hanno cassato la sentenza impugnata ai fini civili, rinviando la decisione alla Corte d’appello civile, in considerazione del fatto che in detta sentenza le valutazioni del giudice in ordine all’accertamento della causa del decesso del paziente e al rigetto della richiesta formulata dagli imputati di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale non erano state adeguatamente motivate.
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