(Annullamento con prosecuzione del giudizio presso il Tribunale competente)
(Riferimento normativo: Cod. proc. pen. art. 75, c. 3)
Il fatto
R.P., C.F., C.G., C.B. e C.L.N.P.G., rispettivamente moglie, figli e fratelli di C.M., avevano proposto dinanzi al tribunale di Milano azione per il risarcimento dei danni loro cagionati dalla morte del loro congiunto, avvenuta a causa di un incidente stradale, e l’avevano indirizzata nei confronti di B.F., proprietario e conducente del veicolo investitore, nonchè della S. s. a., impresa assicuratrice della responsabilità civile.
Il giudice istruttore aveva disposto la sospensione del processo, e ciò perchè, a seguito della costituzione come parti civili dei fratelli della vittima nel processo penale promosso nei confronti di B.F., peraltro iure proprio e non già con la spendita, poi avvenuta in sede civile, della qualità di eredi di C.V., padre di M., era stata pronunciata sentenza di primo grado di condanna dell’imputato, soltanto in esito alla quale era stata promossa l’azione civile.
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Contro l’ordinanza di sospensione gli attori del processo civile avevano proposto regolamento di competenza e la terza sezione civile della Corte di Cassazione aveva prospettato al Primo presidente l’opportunità di devolvere il giudizio alla cognizione delle Sezioni Unite al fine di risolvere la questione se il giudizio civile in esame dovesse essere necessariamente sospeso nei confronti di tutti i litisconsorti, oppure se la sospensione operasse soltanto in relazione all’azione risarcitoria proposta nei confronti del conducente-imputato, oppure ancora se non operi sospensione alcuna.
Il giudizio era stato quindi assegnato alle Sezioni Unite.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Gli ermellini, prima di entrare nel merito della questione proposta, osservavano come il quesito devoluto al loro vaglio giudiziale riguardasse l’identificazione dei presupposti legali soggettivi di operatività della sospensione necessaria del processo civile di risarcimento del danno derivante da reato promosso quando nel processo penale concernente il reato sia stata già pronunciata la sentenza di primo grado posto che non vi era stata coincidenza tra i soggetti che si erano costituiti parti civili nel processo penale e coloro che avevano promosso, anche mediante spendita di diversa qualità, il giudizio civile.
Il problema in questione, dunque, rilevava la Corte in questa pronuncia, era stato determinato dalla circostanza che i danneggiati avevano proposto la domanda risarcitoria nei confronti non soltanto dell’imputato-danneggiante, ma anche di altra litisconsorte, ossia della società assicuratrice della responsabilità civile.
Premesso ciò, i giudici di piazza Cavour facevano subito dopo presente che se non vi fosse stato il cumulo soggettivo, non vi sarebbe dubbio alcuno sull’applicabilità dell’art. 75 c.p.p., comma 3, secondo cui: “Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge”.
Invece, il cumulo soggettivo non consente la sospensione, e ciò tanto se si abbia riguardo a un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, quanto se il cumulo scaturisca da litisconsorzio necessario, e indipendentemente dal fatto che alcuno o tutti fra i coobbligati siano stati citati nel processo penale come responsabili civili (Cass., ord. 26 gennaio 2009, n. 1862; 13 marzo 2009, n. 6185 e 18 luglio 2013, n. 17608).
Detto questo, si osservava come la sospensione non si giustificasse con riguardo al responsabile civile perchè la proposizione successiva dell’azione risarcitoria in sede civile comporta la revoca tacita della costituzione di parte civile, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 651 c.p.p., e l’inutilità dell’attesa degli esiti del processo penale, né ciò sarebbe consentito in relazione all’imputato dato che, nel caso di litisconsorzio necessario, la necessarietà del cumulo non consente la separazione delle domande mentre, in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, l’art. 75 c.p.p., comma 3, si riferisce alla causa tra singole parti, e non già al cumulo soggettivo.
Si rilevava al contempo come alla base di quest’interpretazione vi fosse lo sfavore per la proliferazione dei casi di arresto del processo civile, del quale la sospensione è comunque vicenda anomala, e di conseguenza, alla luce di questo sfavore, la giurisprudenza aveva escluso che vi potesse essere spazio per una discrezionale e non sindacabile facoltà di sospensione del processo esercitabile fuori dai casi tassativi di sospensione legale (Cass., sez. un., ord. 1 ottobre 2003, n. 14670; conf., tra varie, 27 novembre 2018, n. 30738).
Posto ciò, si denotava oltre tutto come la sospensione necessaria prevista dall’art. 75, c. 3, c.p.p. sanziona la scelta compiuta dal danneggiato che abbia optato sin dall’inizio per la proposizione in seno al processo penale della propria domanda risarcitoria e, in tal caso, anche se dismette la qualità di parte civile, egli dovrà sottostare all’accertamento dei fatti compiuto in sede penale così come, se il danneggiato abbia trascurato il processo penale, in seno al quale pure abbia avuto possibilità di costituirsi parte civile e neppure abbia agito in sede civile, costui deve subire la sospensione del processo civile che abbia iniziato dopo la sentenza di primo grado di condanna dell’imputato, per il disinteresse per l’azione civile da lui mostrato (Cass., ord. 24 aprile 2009, n. 9807).
Venendo alla questione prospettata nell’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite rilevavano come la Sezione terza civile avesse messo in discussione tale interpretazione restrittiva sui limiti della sospensione prevista dall’art. 75, c. 3, c.p.p. alla luce dell’individuazione della ratio posta a sostegno della sospensione necessaria nell’esigenza di prevenire il rischio di un esito potenzialmente difforme del giudizio civile rispetto a quello del giudizio penale in relazione alla sussistenza di uno o più presupposti di fatto comuni e, in particolare, si puntava sull’interesse dell’imputato di potersi valere dell’eventuale giudicato penale di assoluzione atteso che l’esclusione della sospensione incrinerebbe l’equilibrio degli interessi in conflitto, ossia dell’interesse del danneggiato, volto a conseguire senza dilazione il ristoro del danno subito, e di quello dell’imputato, indirizzato all’accertamento della propria estraneità o, comunque, dell’esclusione della propria colpevolezza rispetto al reato contestato il che si potrebbe tradurre nel vulnus degli artt. 3 e 24 Cost. poichè l’opponibilità del giudicato di assoluzione finirebbe col dipendere dalla scelta processuale del titolare della pretesa risarcitoria di agire in sede civile soltanto nei confronti dell’imputato oppure anche nei confronti degli altri coobbligati.
Tal che questa sezione semplice della Cassazione giungeva alla conclusione alla stregua della quale la tutela dell’interesse dell’imputato dovrebbe comportare la sospensione della sola domanda proposta nei suoi confronti, in caso di litisconsorzio facoltativo, e la sospensione di tutto il processo, al cospetto di litisconsorzio necessario.
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Una volta individuata la questione interpretativa a cui dover rispondere in questi termini, le Sezioni Unite sottolineavano prima di tutto come la disposizione di cui si discute fosse il frammento dell’ampia e articolata disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, radicalmente rinnovata dalla riforma del codice di procedura penale, e andasse dunque interpretata alla luce del microsistema prefigurato dal legislatore per il raccordo tra i due giudizi.
Difatti, avendo il codice del 1988 ripudiato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e dell’autonomia dei giudizi (tra varie, Cass., sez. un., 11 febbraio 1998, n. 1445 e sez.un., 26 gennaio 2011, n. 1768), ad avviso della Corte, quel che prevale è l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire ivi la propria azione (Corte Cost. 21 aprile 2006, n. 168 e 28 gennaio 2015, n. 23) sicchè è stata scoraggiata la proposizione dell’azione civile nel processo penale (in termini, Corte Cost. 29 gennaio 2016, n. 12) ed è stata favorita la separazione dei giudizi.
Ciò posto, il Supremo Consesso rilevava altresì che, per liberare il giudice penale dall’esame di questioni che non debbano essere accertate ai fini del giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato, l’art. 75, c.1, c.p.p. là dove stabilisce che “L’azione civile proposta dinanzi al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio”, ha posto uno sbarramento al trasferimento dell’azione civile nel processo penale, e lo ha quindi disincentivato e dunque il danneggiato è incoraggiato a evitare la costituzione di parte civile e a promuovere la propria pretesa in sede civile, anche per poter sfuggire agli effetti del giudicato di assoluzione dell’imputato-danneggiante atteso che, qualora, a norma dell’art. 75, c. 2, c.p.p., “L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile”, la sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione dell’imputato-danneggiante (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) non sarà opponibile al danneggiato, in base all’ultimo nucleo normativo del 1 comma dell’art. 652 c.p.p..
Tal che se ne faceva discendere come l’art. 75, c. 2, c.p.p. mostri che, di per sè, la pendenza del processo penale influente non condiziona lo svolgimento di quello civile sicchè la priorità logica del fatto di reato rispetto al risarcimento del danno e alle restituzioni conseguenti non implica necessariamente la priorità cronologica dei relativi accertamenti, ma ciò a sua volta apre la possibilità di una contraddizione logica, non pratica, in considerazione della diversità di oggetto dei due processi, tra le due decisioni relative alla responsabilità dell’imputato-danneggiante (ne prende atto Cass. 17 febbraio 2010, n. 3820, richiamata, tra varie, da Cass. 22 giugno 2017, n. 15470).
In virtù di questo quadro normativo, così delineato, gli ermellini ritenevano come il valore dell’uniformità dei giudicati, su cui puntava l’ordinanza interlocutoria, diventasse recessivo posto che il favore, da parte del legislatore, per la separazione dei giudizi, comporta l’accettazione del rischio di difformità dei giudicati ai quali i giudizi separati conducano.
Da ciò se ne faceva discendere come la chiave di volta della sospensione necessaria prevista dall’art. 75, c. 3, c.p.p., non si potesse identificare con quella determinata dalla pregiudizialità, ossia appunto con l’esigenza di evitare il rischio di un conflitto fra giudicati tenuto conto altresì del fatto che anche la tecnica processuale, per l’operatività della sospensione necessaria ex art. 75, c. 3, c.p.p., differisce da quella che opera al cospetto di sospensione necessaria per pregiudizialità posto che, nel primo caso, è la pronuncia della sentenza di primo grado nel processo penale a determinare la sospensione del giudizio civile iniziato dopo mentre, nel secondo, quando il processo pregiudicante è stato definito con sentenza non passata in giudicato, il giudizio pregiudicato può essere sospeso – ex art. 337 c.p.p., comma 2 – e non deve esserlo – ex art. 295 c.p.c..
Chiarito ciò, si evidenziava inoltre come non potesse giustificare la sospensione necessaria ex art. 75 c.p.p., la finalità latamente sanzionatoria in relazione al fatto che, se è vero che, nel caso di azione civile proposta dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado, l’esercizio dell’azione risarcitoria non necessariamente è frutto di una scelta consapevole del danneggiato, di modo che la conseguente tardività si possa a lui ascrivere sin dall’inizio, è altrettanto vero come sia tuttavia riconoscibile comunque l’intento sanzionatorio del legislatore visto che il danneggiato-attore, se pure non sia rimasto volontariamente al di fuori del processo penale per verificarne l’esito, trascura di provvedere sollecitamente alla cura dei propri interessi nel torno di tempo necessario alla pronuncia della sentenza di primo grado nel processo penale; il che colora come attendista la proposizione dell’azione civile.
Difatti, ad avviso della Corte, non è questo intento a giustificare e a imporre la sospensione del processo civile instaurato dopo la pronuncia penale di primo grado (o anche dopo la costituzione di parte civile nel processo penale) posto che, quel che rileva ai fini della sospensione del giudizio civile di danno ex art. 75, c. 3, c.p.p., fuori dal caso in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile ai sensi del precedente comma 2, è che la sentenza penale possa esplicare efficacia di giudicato nell’altro giudizio, ai sensi degli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p. e dunque, imporre al danneggiato-attore, che si sia tardivamente rivolto al giudice civile, di attendere l’esito del processo penale ha senso soltanto se, e in quanto, quest’esito, se definitivo, sia idoneo a produrre i propri effetti sul processo civile.
Quanto appena esposto viene ritenuto fondato alla luce del fatto che l’art. 211 disp. att. c.p.p. dispone che, salvo “quanto disposto dall’art. 75, comma 2, del codice, quando disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile o amministrativo a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile o amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale se questo può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell’altro processo e se è già stata esercitata l’azione penale”, e ciò proprio perché, puntando su questa ratio, è stata esclusa la sospensione del processo civile nei confronti delle – sole – parti diverse dall’imputato-danneggiante alle quali siano ascritti fatti differenti da quelli oggetto di accertamento nel processo penale (Cass., ord. 1 luglio 2005, n. 14074; ord. 16 marzo 2017, n. 6834 e 11 luglio 2018, n. 18202).
Il Supremo Consesso evidenziava al contempo che, quando, invece, i fatti siano i medesimi, il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651 e 651 bis c.p.p., si potrebbe produrre nei confronti del responsabile civile soltanto qualora il processo risarcitorio sia promosso nei suoi confronti da un danneggiato diverso da colui che abbia proposto l’azione civile nel processo penale: solo in questo caso, e se il responsabile civile sia stato regolarmente citato o abbia spiegato intervento in sede penale, il giudicato di condanna del danneggiante-imputato o quello del suo proscioglimento per particolare tenuità del fatto avranno effetto verso di lui nel giudizio di danno stante il fatto che, sulla pretesa del danneggiato costituitosi parte civile, si può decidere in sede civile soltanto se la parte civile sia uscita dal processo penale per revoca o estromissione e, poichè l’esodo della parte civile comporta che la citazione o l’intervento del responsabile civile perdono efficacia (a norma, rispettivamente, dell’art. 83, c. 6, c.p.p. e art. 85, c. 4 c.p.p.), viene meno la condizione pretesa dagli artt. 651 e 651 bis c.p.p. per la produzione degli effetti ivi previsti nei confronti del responsabile civile, ossia che il “responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto nel processo civile” così come a maggior ragione il vincolo non si può produrre nel caso in cui non vi sia coincidenza tra le parti civili nel processo penale e gli attori del processo civile, nel senso già specificato, e non siano stati citazione o intervento del responsabile civile nel processo penale il che esclude anche la possibilità che si possa determinare il vincolo previsto dall’art. 652, c. 1, c.p.p..
Non sarebbe poi possibile, ad avviso della Corte, disporre la sospensione del giudizio, in caso di litisconsorzio facoltativo, nei confronti del solo danneggiante-imputato, nei confronti del quale non sono richieste condizioni perchè si produca il vincolo derivante dalla sentenza di condanna, ex art. 651 c.p.p., o dalla sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 651 bis c.p.p., dato che l’autore del fatto illecito costituente reato, riconosciuto come responsabile e perciò condannato, ha sicuramente avuto la possibilità di partecipare al processo penale in qualità di imputato sicchè il suo diritto di difesa ha ricevuto piena garanzia per l’intero corso del processo fermo restando che, a escludere tale possibilità, sta la considerazione che le ipotesi di sospensione previste dall’art. 75, c. 3, c.p.p. rappresentano pur sempre una deroga rispetto alla regola generale che è quella della separazione dei giudizi e dell’autonoma prosecuzione di ciascuno di essi; infatti: la natura derogatoria della disposizione ne impone interpretazioni restrittive e, in virtù di quest’interpretazione restrittiva, occorre che tra i due giudizi vi sia identità, oltre che di oggetto, anche di soggetti, alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni (Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538) mentre, estendere l’applicazione di un’ipotesi derogatoria al caso in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, ad opinione degli ermellini, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l’interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione in aperta collisione con l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, presente nel nostro ordinamento ben prima dell’emanazione dell’art. 111. c. 2, Cost., e comunque assurta a rango costituzionale per effetto di esso tenuto conto altresì del fatto che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu 1 luglio 1997, Torri c. Italia), nel verificare il rispetto del diritto della parte civile alla ragionevole durata del processo di danno, garantito dall’art. 6.1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ha ritenuto che debbano essere computate cumulativamente la durata del processo penale, dal momento della costituzione di parte civile, e quella del successivo processo civile per la liquidazione del danno, e ciò a prescindere della natura del litisconsorzio che lega le parti, necessario o facoltativo che sia.
I giudici di piazza Cavour, per di più, stimavano non condivisibili le perplessità concernenti la tenuta sul piano costituzionale dell’opzione che esclude la sospensione, con riguardo alla posizione del danneggiante-imputato e al suo interesse a valersi dell’eventuale giudicato di assoluzione che riuscirà a conseguire atteso che la separazione e l’autonomia dei giudizi comportano che il giudizio civile sia disciplinato dalle sole regole sue proprie che largamente si differenziano da quelle del processo penale, non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche, in via d’esempio, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità che risponde, nel processo penale, al canone della ragionevole certezza (Cass., sez. un. pen., 10 luglio 2002, n. 30328; sez. un. pen., 24 aprile 2014, n. 38343 e 4 maggio 2017, n. 33749) e, in quello civile, alla regola del “più probabile che non” (tra varie, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576 e ord. 27 settembre 2018, n. 23197) sicchè non è meritevole di tutela in questi casi l’interesse del danneggiante di attendere gli esiti del processo nel quale egli sia imputato.
Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, i giudici di legittimità ordinaria postulavano il seguente principio di diritto: “In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75 c.p.p., comma 3, che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato”.
Da ciò se ne faceva discendere l’annullamento dell’ordinanza di sospensione disponendosi al contempo la prosecuzione del processo dinanzi al tribunale di Milano al quale veniva altresì demandato il compito di provvedere a regolare le spese.
Conclusioni
Questo arresto giurisprudenziale si appalesa di notevole importanza.
Difatti, nell’affermarsi che, in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75 c.p.p., comma 3, che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, ciò vuol significare, argomentando a contrario, che la sospensione non opera al di fuori dei casi di sospensione necessaria previsti da questa norma procedurale e pertanto, in detta ipotesi, se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile non è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione.
Siffatta decisione, dunque, non può non essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione processuale di questo genere.
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