Il fatto
Il Giudice di pace di Verbania, con decreto, revocava il decreto di archiviazione emesso nel procedimento a carico di F. G. A., sottoposto ad indagini in relazione al delitto di cui all’art. 595, comma 2, cod. pen., commesso in pregiudizio di Z. D., per consentire al difensore della persona offesa, già regolarmente avvisata della richiesta di archiviazione presentata dall’Ufficio del Pubblico Ministero, di essere a sua volta portato a conoscenza della richiesta medesima, quale domiciliatario ex lege.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania denunciandone l’abnormità per indebito regresso del procedimento nella fase delle indagini preliminari e conseguente stasi di esso e rilevando, non solo come l’unico rimedio consentito contro il decreto di archiviazione emesso dal Giudice di pace sarebbe consistito nel ricorso per cassazione ma anche come, nel caso al vaglio, non si sarebbe neppure determinata una violazione del contradditorio, atteso che la parte offesa aveva ricevuto personale comunicazione della richiesta di archiviazione.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva il ricorso fondato per le seguenti considerazioni.
Gli ermellini osservavano prima di tutto come, alla stregua degli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza della Cassazione in ordine alle categorie dell’abnormità strutturale, intesa come invalidità che affligge il provvedimento che si ponga, per la sua singolarità, al di fuori del sistema organico della legge processuale, e dell’abnormità funzionale, quale vizio che affligge quel provvedimento che, pur non essendo estraneo al sistema, determini, comunque, la stasi del procedimento (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 26/01/2000, omissis, Rv. 215094; Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014 – dep. 20/01/2015, omissis, Rv. 262275), andasse riconosciuta l’abnormità del provvedimento censurato e ciò, sia in considerazione dell’assenza di una previsione che consenta la revoca del decreto di archiviazione, sia in ragione della carenza, in capo al giudice per le indagini preliminari, di poteri di impulso in ordine all’azione penale espressamente riservati alla pubblica accusa cui si associa, in particolare, in ipotesi di archiviazione, il venir meno in capo allo stesso pubblico ministero del potere di esercitare l’azione penale, già consumatosi, e ripristinabile solo con il verificarsi di specifiche circostanze previste dal codice di rito (Sez. 3, n. 35440 del 01/07/2016, omissis; Rv. 268001; Sez. 4, n. 33691 del 05/07/2016, omissis, Rv. 267485).
Si denotava a tal proposito come in tal senso deponesse l’orientamento maggioritario espresso dalla giurisprudenza di legittimità cui si deve l’affermazione del principio di diritto secondo il quale è abnorme il provvedimento con il quale il giudice delle indagini preliminari, a seguito di una istanza della persona offesa, revoca un decreto di archiviazione pronunciato “de plano”, essendo tale tipologia di provvedimento suscettibile di modificazione solo a seguito di un’ istanza di riapertura delle indagini del pubblico ministero, ovvero di una decisione di annullamento, in sede di legittimità, per violazione del contraddittorio (Sez. 6, n. 14538 del 18/03/2015, omissis, Rv. 263114; Sez. 5, n. 32676 del 11/03/2015, omissis Rv. 264348; Sez. 2, n. 21806 del 07/02/2014, omissis, Rv. 259569; Sez. 6, n. 41393 del 09/10/2012, omissis, Rv. 253739; Sez. 5, n. 35920 del 05/07/2010, omissis, Rv. 248414; Sez. 4, n. 11854 del 05/03/2010, omissis, Rv. 246543; Sez. 4, n. 26876 del 13/06/2006, omissis, Rv. 234813) rilevandosi al contempo come fosse stato fatto presente che il giudice, nel revocare il decreto di archiviazione, esercita una sorta di jus poenitendi del tutto eccentrico rispetto al sistema dal momento che la revocabilità dei provvedimenti è prevista in ipotesi tassative quali quelle che emergono dal combinato disposto degli artt. 190, comma 3, 495, comma 4, o 299 cod. proc. pen. e, così facendo, si erge a garante della posizione dell’offeso, pretermesso dal contraddittorio sacrificando, tuttavia, quella dell’indagato che <<anche in ragione della sua tutela costituzionale, non deve dipendere da imprevisti ripensamenti» (Sez. 6, n. 41393 del 09/10/2012, omissis, Rv. 253739).
Volume consigliato
Si evidenziava tuttavia come vi fosse un diverso orientamento nomofilattico secondo il quale è da escludere l’abnormità del provvedimento di revoca del decreto di archiviazione poiché tale provvedimento non solo non crea alcuna stasi del procedimento ma, anzi, si pone in coerenza con il potere (dovere) del giudice di rinnovare l’atto nullo e con il potere di riapertura delle indagini (Sez. 5, n. 45161 del 28/09/2010, omissis, Rv. 249124; Sez. 2, n. 40229 del 28/09/2005, omissis, Rv. 232982; Sez. 6, n. 41994 del 28/09/2004, omissis, Rv. 230180) tenuto conto altresì del fatto che il suddetto provvedimento fonderebbe la propria giustificazione in ragioni di economia processuale – riconducendo la procedura di archiviazione nel suo corretto paradigma processuale – e, come tale, risulterebbe attuativo dei principi costituzionali di efficienza processuale e di ragionevole durata del processo.
Orbene, a fronte di questi due differenti indirizzi interpretativi, i giudici di piazza Cavour, nella decisione in commento, decidevano di aderire a quello maggioritario ossia quello che depone per l’abnormità della revoca del decreto di archiviazione che, rammentava la Corte in questa pronuncia, trova largo seguito anche in dottrina valorizzando, per un verso, la norma di cui all’art. 414 cod. proc. pen. che prevede un’ espressa disciplina per la riapertura delle indagini su istanza del pubblico ministero e, per altro verso, il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione che governa il vigente ordinamento processuale il quale si esprime, nella materia de qua, nella ricorribilità per cassazione del decreto di archiviazione nullo per violazione del contraddittorio, nonché l’inesistenza di un principio generale di revoca degli atti del giudice cui è riconosciuto un potere di ripensamento nei soli casi espressamente e tassativamente individuati da una norma di legge deducendosi al contempo che il giudice delle indagini preliminari – nel caso di specie il giudice di pace -, quale giudice ad acta, con la pronuncia del decreto di archiviazione, si spoglia del procedimento, con la conseguenza che l’eventuale revoca del decreto di archiviazione sarebbe adottata in una situazione di carenza di potere che determinerebbe, tra l’altro, un’indebita regressione del procedimento.
Ciò posto, si evidenziava oltre tutto come, nel caso di specie, non si fosse neppure verificata una violazione del contraddittorio posto che vige il principio di diritto secondo cui la notifica effettuata a mani della persona offesa, anziché presso il difensore, è valida in quanto idonea a garantire la conoscenza dell’atto, e ciò avviene in conformità alla “ratio” dell’art. 33 disp. att. cod. proc. pen. il quale – disponendo che il domicilio della persona offesa dal reato che abbia nominato un difensore si intende eletto presso quest’ultimo – ha inteso soddisfare esigenze di speditezza e di economia processuale e non già creare un assetto di garanzie a tutela della persona offesa (che risulterebbe di più ampio spessore rispetto a quello delineato dal legislatore nei confronti dell’imputato) tenuto conto altresì del fatto che questo principio è conforme al criterio generale elaborato dalla giurisprudenza, in materia di notifiche, in virtù del quale alla certezza legale è pari ordinata la certezza storica (Sez. 6, n. 1574 del 29/03/2000, omissis, Rv. 217132).
Tal che se ne faceva conseguire la necessità di riaffermare il principio di diritto secondo il quale non dà luogo a nullità l’omessa notifica di un atto al difensore di fiducia nominato dalla persona offesa, domiciliatario ex lege ai sensi dell’art. 33 disp. att. cod. proc. pen., ove l’atto medesimo sia notificato a mani proprie di quest’ultima (Sez. 6, n. 10718 del 23/02/2016, omissis, Rv. 266506; Sez. 3, n. 24062 del 13/05/2010, P.O. in proc. L, Rv. 247794).
Conclusioni
La sentenza in esame è sicuramente condivisibile in quanto si allinea lungo il solco di un orientamento nomofilattico che, seppur non uniforme, afferma in via prevalente che è abnorme il provvedimento con il quale il giudice delle indagini preliminari, a seguito di una istanza della persona offesa, revoca un decreto di archiviazione pronunciato “de plano”.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, come appena scritto, è positivo fermo restando che sarebbe auspicabile, tenuto conto della sussistenza di un diverso approdo ermeneutico, seppur minoritario, che su tale questione intervengano le Sezioni Unite.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento