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Considerazioni introduttive
Negli ultimi tempi si sta alimentando sempre più intensamente un forte dubbio circa la legittimità degli atti emessi dall’agenzia delle Entrate-Riscossione, che potrebbero essere considerati tutti, senza alcuna distinzione, invalidi.
Tanto, sembra essere la diretta conseguenza del fatto che nel 2016, a seguito della soppressione di Equitalia, è stato disposto il passaggio di tutto il personale in blocco nella neo-costituita Agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader). Questo passaggio ha avuto luogo in modo automatico, senza alcun concorso pubblico. Il punto è che, mentre Equitalia è nata come una società di capitali fondata su una struttura sostanzialmente privatistica, il nuovo ente della riscossione ha, invece, natura di ente pubblico e, a norma dell’art. 97 Costituzione, l’assunzione di personale di tutte le pubbliche amministrazioni deve avvenire per concorso.
In sostanza, il transito dei dipendenti e dirigenti di Equitalia nel nuovo ente pubblicistico, sta generando forti dubbi di legittimità costituzionale, alla luce del fatto che, di regola, «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso» (art. 97 della Costituzione). Il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica deve, infatti, avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, anche nel caso si tratti di un nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio, in quanto, anche il passaggio a una fascia funzionale superiore, comporta l’accesso a un nuovo posto di lavoro integrando una forma di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso.
E’ evidente come tanto non sia avvenuto durante la fase di passaggio di consegne tra i due enti e come tanto richieda un’approfondita analisi e un’attenta riflessione sulla liceità degli atti emessi dai funzionari dell’ader.
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L’agente della riscossione: cenni storici
La riscossione dei tributi rappresenta la fase principale del procedimento impositivo finalizzata alla concreta acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato. È l’insieme di atti autoritativi o fatti attraverso cui si attua l’obbligazione tributaria e rappresenta la fase finalizzata a consentire all’erario di incassare i tributi dovuti dal contribuente. Si tratta di una fase che sottostà al principio di tipicità, nel senso che gli obblighi di versamento in capo ai contribuenti e i poteri di riscossione, anche forzata, da parte dell’amministrazione finanziaria, seguono procedure ben precise, stabilite dalla legge. La riscossione è, infatti, disciplinata da diverse norme che, peraltro, hanno subito pesanti modifiche nel tempo; ad ogni modo, il nucleo centrale delle disposizioni applicabili in materia si ritrova nel D.P.R. n. 602 del 1973. Il sistema della riscossione segue, infatti, tre distinte modalità:
- La riscossione tramite ritenuta diretta: il versamento avviene tramite sostituto d’imposta;
- La riscossione spontanea o in autoliquidazione: l’obbligo di pagamento e il versamento sono adempiuti spontaneamente dal contribuente;
- La riscossione coattiva a mezzo ruolo: il versamento del tributo viene realizzato in modo coercitivo, mediante l’intervento di un soggetto terzo, l’agente della riscossione, rappresentato dal 1º luglio 2017 da Agenzia delle Entrate-Riscossione. Il nuovo ente ha sostituito Equitalia Spa ed è, quindi, subentrato, a titolo universale, nei rapporti fino a tale data.
Ciò posto, tracciando brevemente l’evoluzione storica di Equitalia, si osserva che prima delle modifiche introdotte nel 2005, le attività di riscossione per conto dello Stato erano delegate in concessione a circa 40 aziende di proprietà di istituti bancari e soggetti privati che, nell’area geografica di competenza, esercitavano ognuno in modo diverso la propria funzione. Questa situazione disomogenea ha prodotto per lungo tempo scarsi risultati, sia all’interno delle singole regioni sia a livello nazionale; pertanto, il gruppo Equitalia, nel perseguire l’obiettivo di garantire una maggiore efficacia del sistema della riscossione e significative riduzioni dei costi a carico dello Stato, ha portato a termine in circa otto anni una serie di operazioni societarie finalizzate a ridurre la frammentazione territoriale ereditata dal sistema degli ex-concessionari.
Più nel dettaglio, la riforma della riscossione è avvenuta con l’entrata in vigore dell’art. 3 del decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248), che al 1° comma ha disposto, con decorrenza dal 1° ottobre 2006, la soppressione del previgente sistema di affidamento in concessione a privati del servizio nazionale della riscossione e la sua riconduzione in ambito pubblico mediante la costituzione di un’apposita società denominata prima “Riscossione S.p.a.” E, successivamente, “Equitalia S.p.a” (partecipata per il 51% dall’agenzia delle Entrate, alla quale sono state affidate anche funzioni di coordinamento, e per il 49% dall’inps).
Il riassetto è stato portato avanti nell’ottica di rafforzare e meglio definire un’identità univoca di gruppo, con l’obiettivo di ottimizzare e armonizzare gli aspetti gestionali sul territorio, aumentare i volumi di riscossione, uniformare i processi e semplificare le relazioni con i contribuenti.
La prima riorganizzazione societaria ha interessato tutta l’Italia – ad esclusione della regione Sicilia, sul cui territorio il gruppo Equitalia non ha competenza – permettendo la riduzione delle società concessionarie da 38 a 16.
Nel 2008, inoltre, con lo scopo di gestire il FUG (Fondo Unico di Giustizia) e i proventi derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata, è stata istituita Equitalia Giustizia spa.
Il secondo passaggio organizzativo, deliberato nel 2010, ha consentito dal 1° gennaio 2012 di far confluire i 16 agenti della riscossione in sole tre società, Equitalia Nord spa, Equitalia Centro spa e Equitalia Sud spa, che hanno svolto la loro funzione operativa con il coordinamento e l’indirizzo della Holding Equitalia spa.
Il 17 febbraio 2016 è stata, poi, costituita la società Equitalia Servizi di riscossione spa, nella quale sono state concentrate le attività degli agenti della riscossione, attraverso la fusione per incorporazione delle suddette tre società: Equitalia Nord spa, Equitalia Centro spa e Equitalia Sud spa.
In sostanza, il gruppo Equitalia, società a totale capitale pubblico (51% Agenzia delle Entrate e 49% INPS), fino al 30 giugno 2017, ha svolto il suo ruolo istituzionale tramite Equitalia Servizi di riscossione spa ed ha esercitato la riscossione dei tributi sull’intero territorio nazionale (esclusa la regione Sicilia), mediante l’ausilio di:
- Holding Equitalia spa;
- Equitalia Servizi di riscossione spa;
- Equitalia Giustizia spa.
Conseguentemente, dal 1° Luglio 2017, con il D.L. n. 193/2016, l’assetto organizzativo e funzionale del sistema di riscossione è stato, dunque, completamente modificato mediante l’attribuzione dell’esercizio di riscossione a un ente pubblico economico appositamente istituito, denominato “Agenzia delle Entrate-Riscossione” (Ader).
Si osserva che il nuovo ente:
– è tenuto a svolgere il compito di attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali dei comuni, delle province e delle città da essi partecipate;
– è sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’economia e delle Finanze, che provvede a monitorarne costantemente l’attività secondo principi di trasparenza e pubblicità;
– è subentrato, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia;
– ha assunto la qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II e al titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;
– ha autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione;
– è sottoposto alle disposizioni del codice civile e delle altre leggi relative alle persone giuridiche private;
– si avvale del patrocinio dell’avvocatura dello Stato competente per territorio, ai sensi dell’articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (l’ente può stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti davanti al tribunale e al giudice di pace, salvo che, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, l’Avvocatura dello Stato competente per territorio, sentito l’ente, assuma direttamente la trattazione della causa. Per il patrocinio nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie continua ad applicarsi l’articolo 11 comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni secondo cui “l’ufficio del Ministero delle finanze nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata”).
In sostanza, il nuovo ente ha sostituito Equitalia Spa ed è, quindi, subentrato, a titolo universale, in tutti i rapporti costituitesi fino a tale data.
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La natura giuridica dell’agenzia delle entrate-riscossione
La prima conseguenza del passaggio di consegne tra i due agenti della riscossione è strettamente connessa alla natura del nuovo ente “Ader”, profondamente diversa da quella della precedente società Equitalia.
Equitalia, infatti, è stata una società di capitali e, in quanto tale, si è fondata su una struttura privatistica. Invero, sebbene l’Agenzia delle Entrate e l’Inps siano stati i suoi “soci” (rispettivamente al 51% e al 49%), essa è sempre stata formalmente terza rispetto al fisco e alla struttura pubblicistica statale.
Lo stesso non può dirsi, invece, con riferimento alla neo-costituita Agenzia delle entrate–Riscossione, che è un ente pubblico economico, parte integrante dell’amministrazione finanziaria dello Stato.
Il nuovo ente, pertanto, ha natura ibrida poiché, da un lato, ha la finalità di garantire la continuità e la funzionalità dell’attività di riscossione per conto dello Stato e, dall’altro – dovendo acquistare le azioni di Equitalia s.p.a. E di Equitalia Giustizia s.p.a., come previsto dal comma 11 del citato art.1 del D.L. n.193/2016 e dovendo stipulare un proprio atto aggiuntivo alla convenzione di cui all’art. 59 del Dlgs n. 300/1999, come previsto al successivo comma 13-, ha rilevanti caratteristiche di natura non pubblicistica.
Il predetto ente ha, infatti, una disciplina molto simile all’agenzia del demanio che anch’essa, con il d.lgs n. 173/2003, è stata trasformata in ente pubblico economico e, come tale, è stata dotata di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione.
Le ragioni di tale organizzazione si ritrovano nel fatto che, come previsto dal comma 9 del suddetto art. 1 del D.L. n.193/2016, a tale ente è stato trasferito “il personale delle società del Gruppo Equitalia, in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto con contratto di lavoro a tempo indeterminato e determinato fino a scadenza, senza soluzione di continuità e con la garanzia di conservazione della posizione giuridica, economica e previdenziale maturata alla data del trasferimento, ferma restando la ricognizione delle competenze possedute, ai fini di una collocazione organizzativa coerente e funzionale alle esigenze dello stesso ente”: da tale articolo si evince che il personale ha mantenuto lo stesso trattamento economico e di carriera notevolmente più favorevole di quello dei dipendenti dell’agenzia delle Entrate, proprio in virtù della sua provenienza dal settore bancario.
Da tanto consegue che, mentre Equitalia era una società a struttura privatistica, il nuovo ente della riscossione ha natura di ente pubblico, per espressa disposizione della stessa legge e questo comporta un problema di legittimità costituzionale, posto che, ai sensi dell’art. 97 Cost., l’assunzione di personale di tutte le pubbliche amministrazioni deve avvenire per concorso e il principio vale ancor di più per i dipendenti che assumono la qualifica di dirigenti. Se questo non avviene, secondo giurisprudenza pacifica, il rapporto che si instaura è nullo. Ne discende che, in tali ipotesi, viene meno il titolo che consente l’attribuzione di poteri e funzioni in particolare ai dirigenti e cioè, a quei soggetti a cui, secondo l’art. 4 D.Lgs. N. 165/2001, spetta il compito di adottare gli atti che impegnano le pubbliche amministrazioni verso l’esterno. Non solo, l’art. 52 dello stesso decreto stabilisce che è nulla (e quindi priva di effetti) l’attribuzione in via di fatto delle funzioni dirigenziali.
Da tanto, ne consegue la necessità di operare un’approfondita analisi circa la liceità degli atti emessi dai funzionari dell’ader che non hanno partecipato, né tantomeno superato, alcun concorso pubblico.
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Consiglio di stato: ordinanza 28 luglio 2017, n. 3213
Il problema su delineato, relativo alla natura pubblicistica dell’ader e al necessario superamento di un concorso pubblico da parte dei sui funzionari, è stato da ultimo sollevato dall’associazione Dirpubblica (Federazione del Pubblico Impiego), che ha chiesto l’annullamento degli atti di attribuzione indiscriminata e senza concorso delle funzioni dirigenziali del nuovo ente di riscossione.
Ebbene, nel corso del procedimento amministrativo azionato da Dirpubblica, è intervenuta un’importante decisione del Consiglio di Stato, l’ordinanza n. 3213/2017, con cui è stato affermato che le questioni sollevate dalla suddetta associazione presentavano profili di “evidente fondatezza”.
In buona sostanza, il Consiglio di Stato, ha ritenuto (sebbene in sede cautelare e sommariamente) che le doglianze di Dirpubblica (in specie quelle di carattere costituzionale) fossero degne di un possibile accoglimento e, pertanto, “tenuto conto dell’evidente rilievo pubblico della controversia, che investe l’esercizio di una funzione essenziale per lo Stato”, ha invitato il TAR a convocare il Collegio per discutere la causa. In tale sede, il Consiglio di Stato ha fatto, altresì, un esplicito richiamo alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che già in altre occasioni ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni legislative che hanno consentito l’attribuzione delle funzioni dirigenziali a funzionari che non avevano superato un concorso pubblico.
Più nel dettaglio, il Consiglio di Stato ha rilevato un’effettiva violazione della Carta Costituzionale e, pur non potendo sospendere la procedura del passaggio dei dipendenti da Equitalia ad Agenzia delle Entrate-Riscossione, a causa dell’importanza di tale funzione, ha sostanzialmente espresso un giudizio negativo nel merito. Il Consiglio di Stato, infatti, ha citato due delle più recenti sentenze con cui la Corte Costituzionale ha ribadito il principio della necessità del pubblico concorso. Si tratta delle sentenze n. 37/2015 e n. 248/2016 che riguardano rispettivamente il famoso scandalo dei 787 funzionari elevati “motu proprio” al rango di dirigenti senza bandi o gare e i dipendenti di una disciolta Associazione agricola fatti entrare nei ranghi regionali calabresi. Le vicende de quibus sono sfociate nelle suddette pronunce della Consulta con cui è stata dichiarata l’illegittimità delle proroghe che, a loro volta, hanno generato un contenzioso infinito fra tentativi di sanatoria e nuove bocciature amministrative.
Più nel dettaglio, la sentenza n. 37/2015 ha dichiarato l’illegittimità delle proroghe ripetute in serie per gli incarichi dirigenziali dei funzionari delle Entrate e dichiarato l’illegittimità di alcune norme che avevano permesso il conferimento di mansioni dirigenziali senza concorso ad alcune centinaia di funzionari dell’agenzia delle Entrate.
La seconda sentenza n. 248/2016 ha cancellato, invece, una leggina con cui nel 2009 la Regione Calabria ha provato a far entrare nei ranghi regionali i dipendenti di una disciolta «Associazione di divulgazione agricola»; tanto, sulla scorta del fatto che «la regola costituzionale della necessità del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni va rispettata anche da parte di disposizioni che regolano il passaggio da soggetti privati ad enti pubblici».
Ebbene, facendo propri tali presupposti, il Consiglio di Stato, con l’Ordinanza n. 3213/2017, ha implicitamente ribadito il principio già espresso dalla Consulta in base al quale l’assunto costituzionale del pubblico concorso va rispettato anche da parte di disposizioni che regolano il passaggio da soggetti privati ad enti pubblici.
Ora, facendo migrare tale approdo giurisprudenziale alla fattispecie de qua, emerge ancora più intensamente come durante la fase di passaggio di consegne tra Equitalia e Ader sia stata del tutto ignorata la regola del concorso pubblico. Invero, tale regola per l’accesso alle pubbliche amministrazioni (art. 97, quarto comma, Cost.) Va rispettata anche dalle disposizioni che disciplinano il passaggio di personale da soggetti privati a enti pubblici ed eventuali deroghe alla regola del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni devono essere giustificate solo da una specifica esigenza di interesse pubblico, non potendo bastare a tal fine né l’interesse alla difesa dell’occupazione, né quello dell’ente ad avere il personale necessario allo svolgimento di funzioni già attribuite a enti disciolti.
In definitiva, il quadro attuale ha consentito la possibilità di far migrare i funzionari di Equitalia dal settore privato a quello del pubblico impiego (alle dipendenze del Mef) anche in mancanza del previo espletamento di un pubblico concorso o di una procedura selettiva tendenzialmente equipollente e, in tal senso, la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3213/2017 (in linea con quanto già sancito, in precedenti analoghi dalla Corte Costituzionale) costituisce certamente un campanello d’allarme che non può essere ignorato dall’amministrazione finanziaria e dalla collettività.
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Inapplicabilità dell’art. 42 dpr 600/1973 e del principio del “funzionario di fatto”
Alla luce di quanto rilevato, è quantomai necessario chiarire che, in passato, nei casi analoghi succitati, l’amministrazione finanziaria, nel tentativo di provare la liceità degli atti sottoscritti dai propri dirigenti non legittimati, ha fatto ricorso tanto all’art. 42 del Dpr 600/1973, quanto al principio del “funzionario di fatto”.
Più nel dettaglio, con riferimento all’art. 42 del Dpr 600/1973, si rileva che il co.1 sancisce che “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.
Sul punto, occorre precisare che nel diritto tributario non esiste una norma generale che disciplini la sottoscrizione degli atti impositivi, ma esistono, al più, solo norme speciali per determinati tributi e per specifici atti.
Per gli avvisi di accertamento, difatti, si fa ricorso all’art. 42 del DPR 600/73, che disciplina l’accertamento delle imposte dirette e che richiede, a pena di nullità, la sottoscrizione (sostituibile dalla indicazione a stampa, come sopradetto), del Capo dell’ufficio, ovvero del Direttore Provinciale, o del Funzionario della carriera direttiva da lui delegato[1].
Orbene, in questo modo, in passato, l’amministrazione finanziaria, richiamando tale norma, ha di fatto cercato di giustificare la validità dei propri atti di accertamento sottoscritti dai propri funzionari che seppur non dirigenti, risultavano opportunamente delegati. Tuttavia, è pressoché evidente come questa soluzione non possa essere trasferita anche al caso di specie, posto che l’art. 42 del Dpr 600/73 attiene alle sole imposte dirette e non anche agli atti della riscossione che, invece, ricadono nel campo di applicazione della normativa generale che non disciplina alcun tipo di delega di sottoscrizione. Di fatto, per gli atti della riscossione è necessaria la firma dei dirigenti, senza possibilità di delega alcuna, posto che per tali atti non esiste una norma che disponga che siano firmati dal funzionario competente delegato.
Ancora, con riferimento al principio del “funzionario di fatto”, anch’esso già richiamato in passato dall’amministrazione finanziaria per giustificare i propri atti illegittimi, si ritiene che, nel caso oggetto del presente elaborato, non possa trovare terreno fertile, in quanto di per sé insufficiente a giustificare la validità dei suddetti atti della riscossione.
Più nel dettaglio, il funzionario di fatto, cristallizza una figura giuridica che si presta a comprendere diverse fattispecie di esercizio dell’azione amministrativa da parte di soggetti privi della relativa legittimazione (carenza dell’atto di nomina o dell’atto di assegnazione, nullità degli stessi o loro sopravvenuta inefficacia o, infine, loro sopravvenuto annullamento). Le due generali casistiche dalle quali origina la figura del funzionario di fatto, sono l’usurpazione della pubblica funzione e la c.d. Ingerenza autorizzata che si caratterizza per la sussistenza di un atto di assegnazione rivelatosi, tuttavia, invalido. La cd. Teoria del funzionario di fatto comporta il riconoscimento della legittimità degli atti compiuti dal funzionario di fatto e “trova vita solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia immediata e diretta” (cds, sez. IV, 20 maggio 1999 n. 853) e, inoltre, è invocabile solo a vantaggio dei terzi medesimi. Tale figura, infatti, assolve alla duplice esigenza di salvaguardare la continuità della azione amministrativa e di tutelare l’affidamento del soggetto terzo che, in buona fede e incolpevolmente, ha ritenuto legittimo l’esercizio della pubblica funzione.
La ratio del riconoscimento giuridico della figura del funzionario di fatto e della giuridica rilevanza dell’attività dal medesimo compiuta è, pertanto, da ravvisare nell’esigenza di garantire continuità all’azione amministrativa e nella prospettiva di tutelare l’affidamento del terzo.
In sostanza, la conservazione della validità e dell’efficacia dei provvedimenti posti in essere dal funzionario di fatto, rinviene la propria ratio nella volontà di salvaguardare gli effetti favorevoli già riconosciuti al terzo che ha deciso di affidarsi in buona fede alla pubblica amministrazione. Il tema del legittimo affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione pone, infatti, la necessità di contemperare due interessi spesso contrapposti. Da una parte, quello del privato, che vuole mantenere quel vantaggio che l’azione amministrativa gli ha garantito; dall’altra parte, quello vantato dalla stessa P.A. alla realizzazione dei principi di buon andamento e imparzialità, a cui deve essere ispirata l’azione amministrativa in base all’articolo 97 della Costituzione.
In tale tematica, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla giurisprudenza sovranazionale, tanto che oggi il principio del legittimo affidamento, pur non essendo espressamente contemplato nei trattati dell’unione Europea, viene ritenuto un principio cardine del diritto europeo; in ciò è risultata decisiva l’opera della Corte di Giustizia (tra le altre Corte di Giustizia, sentenza 3 Maggio 1978, causa C-12/77) che, ispirata soprattutto dall’elaborazione della giurisprudenza tedesca, ormai afferma pacificamente che il principio della tutela dell’affidamento costituisce jus receptum a livello sovranazionale. Peraltro, nel nostro ordinamento il legittimo affidamento trova origine nella clausola generale di buona fede. La buona fede è un dovere che impone a qualunque individuo l’obbligo di comportarsi lealmente nel compimento di atti giuridicamente rilevanti, in modo da tutelare la posizione del soggetto con cui si entra in contatto.
La necessità di tutelare l’affidamento ingenerato dalla propria condotta costituisce una delle più importanti applicazioni del principio di buona fede: ne consegue, pertanto, che il legittimo affidamento è espressione di uno dei principi più importanti riconosciuti nel nostro ordinamento.
Orbene, alla luce di tanto, emerge inequivocabilmente come la figura del funzionario di fatto non possa trovare applicazione nel caso di specie, posto che si tratta di atti pregiudizievoli per il cittadino e per i quali, a monte, non si è concretizzato alcun principio di affidamento da parte della collettività nei confronti della pubblica amministrazione.
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Osservazioni conclusive
In conclusione, alla luce di quanto rilevato, si ribadisce che in seguito alla soppressione di Equitalia – società privata di riscossione – e al passaggio in blocco del personale ad Agenzia delle entrate-Riscossione – ente pubblico economico di nuova costituzione-, inizia a prendere forma la concreta ipotesi di nullità di tutti gli atti emessi dal nuovo ente della riscossione, stante il problema della legittimità del transito del personale e dei dirigenti, dal vecchio al nuovo soggetto, senza concorso e quindi in contrasto con quanto sancito dall’art. 97 della Costituzione.
Il tutto avvalorato dal Consiglio di Stato che, con l’Ordinanza n. 3213/2107, ha fornito un’indicazione netta sulla probabile fondatezza del ricorso presentato da Dirpubblica, (con riferimento all’univoco orientamento della giurisprudenza, anche costituzionale, circa l’illegittimità dell’assunzione di personale pubblico senza concorso), dall’impossibilità di ricorrere all’art. 42 del dpr 600/1973 e alla evidente inapplicabilità del principio del “funzionario di fatto”.
Ora, della legittimità di tutti questi atti è, dunque, lecito dubitare, poiché posti in essere da soggetti che potrebbero versare in una condizione di radicale carenza di attribuzioni: il che espone questi stessi atti a una condizione di radicale nullità, ai sensi dell’art. 21 septies della Legge n. 241/1990.
Pertanto, emerge inequivocabilmente la necessità di decidere in fretta sulla legittimità di tutta l’operazione. Questo perché, si ribadisce, tutti i dirigenti attualmente in forze presso il nuovo ente di riscossione non sono stati assunti mediante pubblico concorso, ma solo attraverso un mero passaggio diretto dalla soppressa società di diritto privato Equitalia, alla neo-costituita Agenzia delle Entrate-Riscossione (ente strumentale dell’agenzia delle Entrate, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del MEF, al quale sono attribuite le funzioni relative alla riscossione nazionale).
In definitiva, a fronte del fatto che i dipendenti delle soppresse società del gruppo Equitalia svolgano presso la neoistituita Ader un rapporto di lavoro a suo tempo instaurato secondo modalità privatistiche, è quantomai evidente che se qualunque contribuente dovesse decidere di impugnare un qualsiasi atto di riscossione, potrà sollevare valide eccezioni in termini di legittimazione ad agire da parte dell’ader, rilevando da un lato, la nullità degli atti della riscossione in quanto non sottoscritti da dirigenti assunti a seguito di pubblico concorso e, dall’altro, la violazione dell’art. 97 della Costituzione stante l’evidente contrasto con il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
a cura di Avv. Maurizio Villani e Avv. Federica Attanasi
Note
[1] La nullità dell’Avviso di accertamento prevista dal cit. art. 42 per le imposte dirette è estesa anche all’IRAP, atteso il rinvio di cui all’art. 25, primo comma, D.lgs n. 446/97, all’IVA, stante il rinvio di cui all’art. 56, primo comma, DPR n. /72 (v. anche Cass. 14942/2013), nonché all’imposta di registro per il rinvio disposto dall’art.52/3 del DPR n. 131/86, e alle imposte sulle successioni, ipotecarie e catastali, per il rinvio di cui agli artt. 49 del Dlgs n. 346/90 e 13 del Dlgs n. 347/90.
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