riferimenti normativi: artt. 907 c.c., 1102 cc;
precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7269 del 27/3/2014; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 955 del 16/01/2013; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1261 del 11/02/1997;
La vicenda
Un condomino, conveniva in giudizio dinanzi al tribunale il proprietario di un’unità immobiliare posta al piano sottostante dello stesso caseggiato, richiedendo che fosse condannato alla rimozione di una costruzione eseguita (un pergolato) nell’area scoperta di loro proprietà esclusiva in violazione delle distanze di cui all’art. 907 c.c. (cioè 3 metri), oltre al risarcimento del danni subiti.
Lo scopo dell’azione legale era quello di neutralizzare l’effettivo intento del costruttore, e cioè di realizzare una copertura per la struttura costituita ab origine da travi installate e radicate nel suolo, copertura che poi in corso di causa era stata effettivamente posta in essere.
Il convenuto deduceva però l’infondatezza della domanda, in quanto entrambe le unità immobiliari erano collocate nello stesso condominio, dovendosi quindi escludere l’applicazione delle norme sulle distanze legali, mentre si riteneva applicabile l’articolo 1102 c.c. secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini il pari uso.
Il tribunale rigettava la domanda, ma la corte d’appello accoglieva condannando il condomino – costruttore a rimuovere la tettoia ed i pali di sostegno sino al rispetto della distanza legale di cui all’art. 907 c.c., con condanna altresì al risarcimento del danno.
I giudici di secondo grado in primo luogo ritenevano ammissibile la richiesta di arretramento della copertura posta in essere in corso di causa in sostituzione dell’originario pergolato di cui era stata però richiesta la demolizione.
In tal senso doveva escludersi che la domanda di rimozione della copertura costituisse una domanda nuova.
Quanto alla violazione dell’art. 907 c.c., osservava che sebbene entrambi gli appartamenti facessero parte di un edificio condominiale, il manufatto di cui si chiedeva l’arretramento era stato collocato su di una porzione di proprietà esclusiva dell’appellato ed in pregiudizio di due vedute esercitate dall’appartamento in proprietà esclusiva dell’attore.
Secondo la corte d’appello non appariva pertinente quindi il richiamo alla previsione di cui all’art.1102 c.c., atteso che la costruzione non era avvenuta su suolo comune, ma su terreno di proprietà esclusiva del convenuto.
Risultava invece pienamente applicabile l’art.907 c.c., avendo l’attore acquisito, per l’originaria conformazione dello stabile condominiale, un diritto di veduta in appiombo sul terreno del convenuto, quest’ultimo nel costruire la copertura avrebbe dovuto assicurare il rispetto della distanza di cui all’art.907 c.c., a nulla rilevando che la costruzione stessa fosse stata autorizzata da parte del comune.
La copertura andava quindi fatta arretrare sino alla distanza di tre metri, spettando all’attore anche il diritto al risarcimento del danno.
La questione poi è stata sottoposta alla cassazione.
La questione
L’articolo 907 c.c. è applicabile in ambito condominiale? Il proprietario di un appartamento ha diritto di esercitare, dalle proprie aperture, la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio?
La soluzione
I giudici supremi hanno confermato l’irrilevanza del completamento dell’opera abusiva in corso di causa.
Inoltre hanno notato come il pergolato sia stato posto non su di un’area comune, ma a copertura di un’area scoperta annessa di proprietà esclusiva, con la conseguenza che non è invocabile la diversa previsione, di cui all’art.1102 c.c., che attiene al concorrente godimento della cosa comune.
Secondo la Cassazione invece la controversia deve avere la sua soluzione in base alla sola applicazione dell’art. 907 c.c.
In particolare si è notato che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi, conseguentemente, alla costruzione di altro condomino, che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto.
In ogni caso, secondo i giudici supremi il condomino – costruttore non può giustificarsi invocando la tutela della privacy, avendo l’art. 907 c.c. già operato il bilanciamento tra l’interesse alla riservatezza ed valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita.
Del resto, l’esigenza in ogni caso di tutela della privacy, nonché l’incolumità personale anche da sporadici episodi di caduta di piccoli utensili, può essere avviata con altri manufatti aventi eguale funzione protettiva, ma facilmente amovibili e anche meno stabili.
Le riflessioni conclusive
L’art. 907 c.c. pone un divieto assoluto a costruire a distanza inferiore ai tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione venga realizzata a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto sulla sua idoneità o meno ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta; pertanto, quando si è acquistato il diritto multidirezionale di avere vedute sul fondo del vicino, il proprietario di questo, nell’installazione di una struttura (pergolato, veranda ecc.), deve rispettare le distanze in verticale e in appiombo, secondo le disposizioni di cui all’art. 907 c.c., per consentire le vedute dirette, oblique, e in appiombo e quindi tenersi a distanza di tre metri sotto la soglia dell’appartamento sovrastante.
La violazione del diritto di veduta del proprietario di un’unità immobiliare si determina quando viene realizzata una “fabbrica”, a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma.
In altre parole anche una tettoia priva del carattere di stabilità può costituire un manufatto capace di incidere negativamente sull’esercizio del diritto di veduta, comportando, quindi, un ostacolo alla fruizione di aria e luce nella zona di rispetto.
In tal caso è possibile ottenere l’arretramento o la demolizione del manufatto e, naturalmente il risarcimento danni.
Si deve considerare infatti che in caso di violazione delle distanze tra costruzioni si determina l’asservimento di fatto del fondo del vicino o la limitazione di una servitù a suo favore, sicché il danno deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria.
Si tenga conto che il risarcimento sarà modesto se la pur illecita realizzazione del manufatto a distanza di meno di tre metri dalla soglia della veduta comporta soltanto una ben modesta limitazione del diritto di prospetto (in appiombo) e un modesto vantaggio per il costruttore (il discorso riguarda, ad esempio, una modesta tettoia in canne).
Un caso particolare
Merita di essere ricordato che sono state ritenute legittime alcune pensiline realizzate – non a distanza legale – con copertura costituita da lastra in policarbonato e materiale elegante e in armonia con le caratteristiche strutturali e le linee estetiche del fabbricato.
Si è infatti notato che tali manufatti svolgevano una funzione di obiettiva utilità per il condomino al piano terra e, d’altro lato, che il pericolo alla sicurezza del primo piano era da escludere, attesa la fragilità della lastra in policarbonato che sola avrebbe potuto fornire una base di appoggio per accedere all’appartamento degli attori, mentre il materiale trasparente delle pensiline non impediva l’esercizio della veduta in appiombo.
È importante però che le coperture trasparenti in policarbonato siano mantenute in condizioni di pulizia dai condomini che le hanno realizzate in adempimento degli obblighi loro imposti a garanzia di una civile convivenza e di un corretto svolgimento dei rapporti di vicinato (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 22092 del 25/10/2011).
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