Con il presente articolo si intende studiare una modalità di neutralizzazione delle perdite nelle società di capitali[1], che per lungo tempo è stata ritenuta inammissibile e che, solo da pochi anni, è stata rivalutata da una parte importante della dottrina. Si inizierà delineando il significato giuridico di perdita in ambito di società di capitali, si indicheranno poi, in modo sintetico, le varie modalità offerte dall’ordinamento per renderle irrilevanti, per concentrarsi successivamente, in modo analitico, sull’aumento di capitale in presenza di perdite. Si metteranno quindi a confronto le teorie riguardanti quest’ultima modalità operativa, esaminando per ciascuna di esse criticità e punti di forza. Si concluderà, infine, soppesando le argomentazioni apportate dalle varie teorie, cercando di prendere posizione con riguardo a quella che più sembrerebbe adattarsi al panorama societario italiano.
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La nozione di “perdita” in ambito societario
Il termine “perdita” in diritto societario indica una minusvalenza che intacca in negativo il patrimonio sociale e che può essere rilevata al termine dell’attività sociale, a intervalli di tempo regolari con i bilanci di esercizio o, in caso di rilevanza della stessa, anche attraverso situazioni patrimoniali redatte con i criteri di redazione del bilancio di esercizio, predisposte all’occorrenza.
1.1. Le perdite “rilevanti”
Nel precedente capoverso si è fatto riferimento alla rilevanza delle perdite: infatti, nelle società di capitali non tutte le perdite sono rilevanti, in quanto per essere così definite devono mettere a rischio in modo serio, con le modalità di cui infra, l’entità del capitale sociale.
Il primo requisito, ma non l’unico, affinché una perdita possa essere potenzialmente rilevante è la sua incidenza sul capitale sociale; perché ciò avvenga, secondo l’orientamento prevalente[2], è necessario che la perdita incida sul patrimonio sociale, così da renderlo inferiore al valore del capitale. Affinché si verifichi tale prima condizione dovranno pertanto essere erose in via prioritaria tutte le riserve e tutti i valori, inclusi gli utili di esercizio[3], che rendono il patrimonio sociale superiore al capitale.
Se il primo requisito è stato definito in via giurisprudenziale e dottrinale, il secondo può essere trovato all’art. 2446 primo comma C.C. e riguarda l’incidenza della perdita sul capitale sociale che, per essere rilevante, deve superare il terzo del capitale stesso. In caso ricorrano entrambi i requisiti, il legislatore, stante la gravità delle circostanze, ha previsto quale obbligatorio l’intervento assembleare per prendere atto della situazione ed eventualmente porvi rimedio.
Le perdite possono assumere rilevanza ancora maggiore qualora, ai due requisiti sopra riportati, se ne aggiunga un terzo, sancito dall’art. 2447 C.C. e, precisamente, che il capitale, a seguito della perdita, risulti essere effettivamente inferiore al minimo legale. Vista la gravità di questa condizione, il legislatore, differentemente da quanto statuito all’art. 2446 C.C., ha previsto che in questa situazione l’intervento assembleare possa solo essere risolutivo della situazione e non meramente dilatorio.
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Opzioni operative in presenza di perdite
In caso di perdite incidenti sul capitale sociale il legislatore ha predisposto, e dottrina e giurisprudenza hanno integrato, delle modalità operative parzialmente differenti a seconda della gravità della situazione. In questo capitolo si intende offrire una panoramica di tali opzioni suddivise in base alla gravità della situazione societaria, premettendo che l’unico elemento comune a tutte le situazioni è rappresentato dal divieto[4], ex art. 2433 C.C., per la società di distribuire utili fino a che il capitale non sia stato reintegrato o ridotto corrispondentemente alla perdita.
2.1.Perdite non rilevanti incidenti sul capitale
La società verserà in questa situazione qualora le perdite abbiano interamente eroso le riserve e ogni ulteriore valore patrimoniale fino ad aggredire il capitale, ma il loro ammontare sia attestato a un importo inferiore al terzo del capitale stesso.
In questa situazione, la società potrà continuare regolarmente ad operare ma, come si è osservato, non potrà distribuire utili, sebbene nessuna attività venga posta a carico degli amministratori. Si precisa che tale situazione non è stata oggetto di specifica disciplina normativa e che quindi le modalità di neutralizzazione delle perdite applicabili a questa fattispecie sono state mutuate dalla dottrina, facendo riferimento alle casistiche più gravi, che saranno approfondite nei successivi paragrafi.
La dottrina ritiene che in tale situazione la società possa operare come segue:
- ignorare la situazione di perdita nella consapevolezza di non poter distribuire utili fino al ripianamento della stessa;
- ridurre il capitale nominalmente[5] e in via volontaria[6], al fine di adeguarlo al suo effettivo valore risultante dopo la perdita[7], riacquistando così la facoltà di distribuire eventuali utili nel futuro;
- operare attraverso versamenti a fondo perduto per ripianare la perdita[8];
- procedere all’aumento oneroso di capitale.
2.2. Perdite rilevanti ai sensi dell’art. 2446 C.C.
Qualora le perdite abbiano inciso sul capitale in misura superiore al terzo, la società verserà nella situazione disciplinata all’art. 2446 C.C.
Si tratta di una prima soglia di allerta fissata dal legislatore al fine di garantire ai terzi la corrispondenza tra capitale nominale e reale in quanto, diversamente, potrebbe esservi evidenza esterna di un valore a capitale rappresentativo di valori reali non più esistenti perché erosi dalle perdite[9].
In caso si verifichi tale situazione l’organo amministrativo sarà obbligato ad eseguire quanto previsto al primo comma dell’art. 2446 C.C., secondo le modalità e con le tempistiche già riportate in nota 5, e, nell’assemblea così convocata, si potranno assumere le seguenti decisioni:
- ridurre il capitale nominalmente e in via facoltativa[10], al fine di adeguarlo al suo effettivo valore risultante dopo la perdita[11], riacquistando così subito la facoltà di distribuire eventuali utili nel futuro;
- rinviare a nuovo le perdite, facoltà attribuita dall’art. 2446 comma primo C.C., che permette alla società di godere di un “anno di grazia”, nel quale verificare se la necessità di assumere opportuni provvedimenti perdura, rendendosi inevitabile, o viene meno, ad esempio in seguito a un risultato economico favorevole;
- effettuare dei versamenti a fondo perduto[12] volti a ripianare integralmente le perdite, o almeno a ricondurle sotto la soglia di guardia;
- trasformare[13] la società in un diverso tipo sociale per il quale l’entità della perdita non è rilevante. Tale possibilità, non espressamente prevista dal dettato dell’art. 2446 C.C., è invece prevista per una situazione di maggiore gravità, quale quella disciplinata dall’art. 2447 C.C. e, pertanto, è ritenuta essere applicabile anche alla fattispecie corrente[14];
- procedere all’aumento oneroso del capitale sociale fino a rendere non rilevante la perdita[15].
Qualora nella prima fase, l’assemblea decida di optare per il rinvio a nuovo delle perdite ed entro un esercizio sociale la situazione non dovesse essere migliorata, l’assemblea ordinaria, convocata per l’approvazione del bilancio[16], dovrà necessariamente operare la riduzione nominale del capitale sociale proporzionale alla perdita o attestare il ripianamento della stessa, totalmente ovvero al di sotto della soglia di guardia, a seguito di versamenti a fondo perduto, secondo le modalità illustrate alla lettera “c” del presente paragrafo. Qualora però l’assemblea fosse straordinaria, sarebbe riconosciuto a quest’ultima, secondo la miglior dottrina[17], la possibilità di adottare, anche in questa sede, modalità alternative di neutralizzazione delle perdite rilevanti e, in particolare, quelle rubricate alle lettere “d” ed “e” del presente paragrafo.
2.3. Perdite rilevanti ai sensi dell’art. 2447 C.C.
Nel caso in cui le perdite, oltre ad incidere per più di un terzo sul capitale sociale, riducano lo stesso a un valore inferiore al minimo legale, la società verserà nella situazione disciplinata dall’art. 2447 C.C., che rappresenta anche la situazione sociale più allarmante e grave con riferimento alle perdite.
In questo caso gli amministratori dovranno tempestivamente convocare l’assemblea straordinaria, seguendo la disciplina dell’art. 2446 comma 1 C.C. e secondo le modalità e con le tempistiche già riportate in nota 5, per assumere una delle seguenti decisioni:
- ridurre il capitale sociale nominalmente, al fine di adeguarlo al suo effettivo valore risultante dopo la perdita o a zero qualora la perdita stessa lo abbia eroso interamente o fosse addirittura superiore allo stesso, per procedere poi alla contestuale delibera di aumento, in modo da riportare il capitale sociale a un valore almeno pari a quello previsto quale minimo legale;
- effettuare dei versamenti a fondo perduto[18] volti a ripianare integralmente le perdite o almeno a ricondurle sotto la soglia di guardia;
- trasformare[19] la società in un diverso tipo sociale, per il quale l’entità della perdita non è rilevante. Tale possibilità è espressamente prevista dall’art. 2447 C.C.;
- prendere atto dell’attualità della causa di scioglimento prevista all’art. 2484 comma 1 numero 4 C.C. e provvedere alla nomina dei liquidatori[20];
- procedere all’aumento oneroso del capitale sociale[21] fino a rendere non rilevanti le perdite o, almeno, ridurre le stesse ad un ammontare inferiore al terzo, anche qualora il capitale sociale effettivo fosse inferiore al minimo legale[22].
3. Aumento oneroso di capitale in presenza di perdite non rilevanti
La dottrina quasi unanimemente[23] ritiene che in presenza di perdite non rilevanti ai sensi degli artt. 2446 e 2447 C.C. non sussista alcun divieto di procedere all’aumento oneroso del capitale sociale; anzi, i sostenitori di tale teoria ritengono che una tale operazione dovrebbe essere accolta con favore, in quanto andrebbe a ridurre proporzionalmente l’entità della perdita. I fautori di tale orientamento argomentano la loro tesi sulla base del fatto che, in primo luogo, il legislatore ha appositamente fissato una soglia di sicurezza per determinare la rilevanza o meno di una perdita; in secondo luogo, operando con un aumento di capitale, non si andrebbe ad occultare la perdita che rimarrebbe sempre visibile, stante la pubblicità dei bilanci depositati; in terzo luogo, non esiste un espresso divieto ad operare un aumento oneroso di capitale in presenza di perdite.
Si precisa che tale teoria è stata sviluppata antecedentemente a quella che si esaminerà al capitolo 5 e che pertanto si faceva strada in un ambiente grandemente contrario a questa modalità operativa, a prescindere dalla casistica. Corollario di ciò è che le argomentazioni portate da questa teoria dovranno essere ritenute ancora attuali, qualora si decida di aderire all’orientamento che nega la possibilità di un aumento oneroso di capitale in presenza di perdite rilevanti, mentre dovranno ritenersi superate qualora si aderisca alla nuova argomentazione della teoria contraria.
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Aumento oneroso di capitale in presenza di perdite rilevanti: teoria negatrice
Una importante parte della dottrina[24] e alcune pronunce giurisprudenziali[25] negano in maniera decisa che una società che presenti una perdita rilevante possa deliberare ed eseguire un aumento oneroso del capitale.
I sostenitori di tale teoria argomentano in questo modo sulla base del fatto che aumentare il capitale in presenza di perdite lederebbe sia il diritto di informazione, tutelato dagli articoli 2446 e 2447 C.C., sia l’interesse dei soci alla determinazione futura degli utili disponibili. Aumentare il capitale in presenza di perdite, secondo questo orientamento, produrrebbe effetti distorsivi del mercato attraverso l’occultamento di ingenti perdite già esistenti e, per farlo, utilizzerebbe lo strumento dell’aumento oneroso del capitale, il cui utilizzo dovrebbe essere appannaggio di società in attivo, in quanto orientato non a risolvere una problematica legata alle perdite ma a rendere più solida la posizione della società nel mercato.
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Aumento oneroso di capitale in presenza di perdite rilevanti: teoria favorevole
Recentemente la dominante teoria, che negava la possibilità di aumentare il capitale sociale in presenza di perdite rilevanti, è stata messa in discussione da una incisiva massima elaborata dal Consiglio Notarile di Milano[26], la quale, riprendendo dei minoritari orientamenti giurisprudenziali e dottrinali[27], arriva ad ammettere questa nuova modalità per neutralizzare le perdite rilevanti.
La posizione dei sostenitori di tale teoria è argomentata come segue:
- è ormai ampiamente riconosciuta la possibilità di effettuare un aumento oneroso di capitale in presenza di perdite non rilevanti e, anche, di operare più volte in questo modo, al fine di contenere una perdita senza che ne derivi ai soci o ai terzi un pregiudizio informativo: infatti, della perdita vi sarà sempre evidenza nel bilancio;
- con l’aumento in presenza di perdite non si occulta una minusvalenza, bensì si ottiene un miglioramento del patrimonio sociale, similmente a quanto avverrebbe in caso di conseguimento di utili, miglioramento di cui potrebbero giovarsi anche i terzi;
- i provvedimenti previsti dagli articoli 2446 e 2447 C.C. non sono tipizzati, come riconosce l’orientamento dottrinale maggioritario che ha sempre cercato di ampliarli, e, in questo panorama, anche un aumento oneroso del capitale dovrebbe essere ritenuto lecito, in quanto orientato a rafforzare economicamente la società;
- anche in caso di perdite rilevanti con l’aumento oneroso del capitale non si avrebbe un pregiudizio informativo per soci o terzi, in quanto, l’operazione, adottata in tali situazioni, non esimerà gli amministratori dal compiere le attività loro demandate dagli articoli 2446 e 2447 C.C.;
- l’aumento oneroso di capitale in condizioni di perdite rilevanti rappresenterebbe una soluzione più nitida rispetto ai versamenti a fondo perduto[28]: infatti, mentre con la prima soluzione vi sarebbe idonea e tempestiva pubblicità dell’operazione al Registro Imprese, con la seconda, gli effetti sarebbero osservabili solo con il bilancio di esercizio, non essendo i versamenti a fondo perduto idonei ad autonoma pubblicità;
Dopo aver esaminato le argomentazioni a sostegno di questo orientamento, è opportuno sottolineare un profilo di criticità dello stesso, al quale però i sostenitori della teoria offrono una soluzione. Infatti, sebbene l’esecuzione potenzialmente non tempestiva[29] dell’aumento oneroso di capitale non desti particolari problemi qualora le perdite non siano rilevanti o nei casi in cui ci si trovi nell’assemblea convocata ex art. 2446 comma 1 C.C., nel caso in cui l’aumento debba essere deliberato in sede di assemblea straordinaria ex artt. 2446 comma 2 e 2447 C.C., il problema della tempestività dell’esecuzione dell’aumento potrebbe tornare in rilievo; ciò in quanto, le decisioni assunte in sede di assemblea ex artt. 2446 comma 2 e 2447 C.C. sono previste dal legislatore come dirimenti della posizione critica della società con riguardo alle perdite.
Stante la problematica di tempestività, i sostenitori della presente teoria hanno però argomentato sostenendo che lo stesso problema esiste in caso di riduzione ex art. 2447 C.C. e contestuale aumento al minimo legale; problema per il quale si è ritenuto possibile, secondo la dottrina prevalente, stabilire, quale termine massimo per l’esecuzione dell’aumento, quello previsto come termine minimo per l’esercizio dell’opzione da parte dei soci, senza che ciò determini mancanza di tempestività nell’intervento[30].
Infine, è opportuno osservare quali caratteristiche dovrebbe avere l’aumento in questione e quali accortezze dovrebbero essere assunte per massimizzare gli effetti di tale soluzione operativa.
In caso di perdite non rilevanti l’aumento potrà essere anche scindibile mentre, nei casi previsti dagli articoli 2446 primo e secondo comma e 2447 C.C., l’aumento dovrà essere previsto come inscindibile, almeno fino al valore di capitale idoneo a determinare la fuoriuscita della società dalla soglia di allarme, e, nei casi previsti dagli articoli 2446 comma secondo e 2447 C.C., le delibere di aumento potranno essere opportunamente corredate, nel primo caso, da una delibera di riduzione del capitale per l’intero valore della perdita, condizionata sospensivamente alla mancata efficacia dell’aumento di capitale mentre, nel secondo caso, da una delibera, sottoposta alla medesima condizione, riguardante la nomina dei liquidatori.
- Conclusioni
Si è avuto modo di affrontare una panoramica sul tema delle perdite nelle società di capitali e delle modalità con cui queste possono essere rese non rilevanti. Da tale analisi è risultato evidente come la tendenza dottrinale sia stata quasi sempre orientata ad ampliare le modalità per rendere irrilevanti le perdite, con l’unica eccezione dell’aumento oneroso di capitale, con riguardo al quale, fino al recente intervento del Consiglio Notarile di Milano, vigeva un granitico scettiscismo.
Partendo da tali basi, è possibile sicuramente riconoscere argomentazioni sostenibili ad entrambi gli orientamenti dottrinali: pertanto può ritenersi che la soluzione della diatriba non possa e non debba passare semplicemente dall’adesione, anche critica, all’uno o all’altro orientamento ma debba essere contestualizzata in un ampio respiro liberale, che nelle ultime decadi ha soffiato ancora più intensamente sul diritto societario italiano, riconoscendo sempre all’autonomia contrattuale delle parti il ruolo di deus ex machina.
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[1] Gli articoli codicistici citati saranno unicamente quelli disciplinanti la Spa, stante la quasi integrale sovrapponibilità di questa disciplina, con riguardo all’argomento trattato, a quella delle Srl;Note
[2] In giurisprudenza: Cass. Civ., 6 novembre 1999 n. 12347; Cass. Civ., 2 aprile 2007 n. 8221; in dottrina: Nobili-Spolidoro, “La riduzione del capitale sociale, in Trattato Colombo-Portale” diretto da Colombo-Portale, Torino 1993, 285 ss; Ventoruzzo-Sandrelli, “Riduzione del capitale sociale. Artt. 2445-2447, in Il Codice Civile. Commentario” diretto da Piero Schlesinger, Milano 2013, 34; contra, App. Milano, 6 febbraio 1996, per la quale la perdita dovrebbe sempre rilevare sul capitale nominale, anche in presenza di riserve, a meno che una delibera assembleare non abbia statuito che la copertura delle perdite debba avvenire utilizzando le riserve;
[3] Così in giurisprudenza: Cass. Civ., 23 marzo 2004 n. 5740; App Milano, 19 settembre 2000; Trib. Roma 4 febbraio 2000; in dottrina: Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G.9, “Copertura perdite e utile di periodo”, pubbl. settembre 2005-motivato settembre 2011; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 68, “Copertura delle perdite e rilevanza degli “utili di periodo” (artt.2446,2447,2482 bis e 2482 ter C.C.)”, 22 novembre 2005; Comitato Notarile della Regione Campania, massima n.6, “Riduzione del capitale per perdite: situazione patrimoniale”; contra, App. Napoli 13 giugno 2000; Trib. Roma 8 novembre 1999;
[4] Si precisa che più che di un divieto dovrebbe parlarsi, seguendo l’orientamento maggioritario in riferimento alla modalità di imputazione delle perdite sul capitale, di una impossibilità, infatti, non vi potrebbero essere utili fino a che la perdita non sia stata completamente ripianata o il capitale conseguentemente ridotto;
[5] Giurisprudenza e dottrina maggioritarie, Cass. Civ., 13 gennaio 2006 n. 543; Campobasso, “Diritto commerciale, 2, Diritto delle società”, Torino 2009, sostengono che si tratti di una riduzione nominale volontaria da eseguirsi rispettando ugualmente il dettato dell’art. 2446 C.C. con riguardo alla necessità:
- di una situazione patrimoniale aggiornata;
- di una relazione sulla situazione patrimoniale predisposta dall’organo amministrativo e sottoposta all’organo di controllo affinché possa sollevare le osservazioni necessarie;
- che la relazione degli amministratori e le eventuali osservazioni rimangano depositate presso la sede sociale negli otto giorni che precedono l’assemblea;
[6] Genghini-Simonetti, “Le società di capitali e le cooperative”, seconda edizione tomo II, Padova 2015, 873;
[7] La giurisprudenza: App. Trieste 13 maggio 1993; Trib. Napoli 10 dicembre 1998; e la dottrina: Forte-Imparato, “Aumenti e riduzioni di capitale”, Napoli 1998, 210; Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G. 7, “Riduzione parziale delle perdite”, pubbl. settembre 2004, ritengono che la riduzione nominale del capitale per perdite, in ogni fattispecie, non possa essere che integrale; contra, Ridella-Mari, “Riflessioni a margine della massima n. 122 del Consiglio Notarile di Milano”, in Società, n. 3 2012, 346 ss, i quali sostengono la minoritaria teoria che una parziale riduzione nominale del capitale sociale per perdite sia ammissibile in quanto operazione speculare a quella di aumento in presenza di perdite;
[8] Tale soluzione non è mai ritenuta preferibile in quanto, così operando, verrebbero occultate delle perdite ai terzi, così: Genghini-Simonetti, op. cit., tomo II, 734;
[9] Forte-Imparato, op. cit., Napoli 1998, 199;
[10] Tale modalità di riduzione nominale è definita facoltativa per differenziarla da quella operabile in caso di perdite non rilevanti, che è stata definita volontaria. È necessario differenziare le fattispecie in quanto: mentre la prima si inserisce in un meccanismo obbligato che rende la riduzione, al momento in cui l’assemblea prende contezza della perdita, una mera facoltà tra tante opzioni eleggibili, la seconda si inserisce in un meccanismo prettamente volontaristico che, senza alcun obbligo di legge, porta gli amministratori a convocare un’assemblea e i soci a deliberare una riduzione nominale possibile ma non richiesta né necessaria;
[11] Si veda quanto riportato in nota 7;
[12] Si veda quanto riportato in nota 8, con la precisazione che tale pratica è stata più volte, in questa fase di presa d’atto della perdita, ritenuta legittima dalla Suprema Corte, così: Cass. Civ., 6 ottobre 1976 n. 3266; Cass. Civ., 8 giugno 1979 n. 3253; Cass. Civ., 3 dicembre 1980 n.6315;
[13] Si ritengono consentite anche le altre operazioni straordinarie, fusione e scissione, qualora la perdita non costituisca un impedimento alla fattispecie concreta;
[14] Forte-Imparato, op. cit., 214;
[15] Questa modalità potrà essere attuata qualora si riconosca fondatezza alla tesi esposta al capitolo 5, in caso contrario non potrà essere presa in considerazione;
[16] In questo caso si ritiene che non debbano essere rispettati gli obblighi e le tempistiche dell’art. 2446 comma 1 C.C., bensì quelli propri del procedimento di approvazione del bilancio ex art. 2429 C.C., così Genghini-Simonetti, op. cit., 891;
[17] Genghini-Simonetti, op. cit., 890; Gli autori ritengono che l’attribuzione, da parte dell’art. 2446 comma 2 C.C., della competenza a ridurre il capitale sociale all’assemblea ordinaria costituisca una importante deroga all’art. 2365 C.C., deroga che non può peraltro essere estesa ad altre delibere alternative o aggiuntive assunte nella medesima occasione e, per le quali, qualora comportino modifiche statutarie, sarà sempre necessaria l’assemblea straordinaria;
[18] Si veda quanto riportato in nota 8, con la precisazione che tale pratica è stata più volte, nella procedura ex art. 2447 C.C., ritenuta legittima dalla giurisprudenza: App. Roma 21 gennaio 1999; Trib Genova 12 febbraio 2002;
[19] Si ritengono consentite anche le altre operazioni straordinarie, fusione e scissione, qualora la perdita non costituisca un impedimento alla fattispecie concreta;
[20] Così facendo si permetterà agli amministratori di procedere alla pubblicizzazione della causa di scioglimento al Registro Imprese, come previsto all’art. 2484 comma 3 C.C., permettendo così che la società entri in liquidazione;
[21] Questa modalità potrà essere attuata qualora si riconosca fondatezza alla tesi esposta al capitolo 5, in caso contrario non potrà essere presa in considerazione;
[22] Ritenendo i criteri di rilevanza delle perdite, come esaminati, tra di loro distinti è evidente come, procedendo al solo aumento di capitale, non vi sia la necessità sia di ridurre le perdite sotto il terzo sia di permettere che il capitale effettivo sia superiore al minimo legale ma soltanto che sia rispettato il primo requisito, essendo questo da solo sufficiente ad evitare il ricorrere delle situazioni di cui agli articoli 2446 e 2447 C.C., così: Consiglio Notarile di Milano, massima n. 122, “Aumento di capitale in presenza di perdite” (artt.2446,2447,2482 bis e 2482 ter C.C.)”, 18 ottobre 2011;
[23] Forte-Imparato, op. cit., Napoli 1998, 212; Atlante, “Società di capitali: aumento a pagamento del capitale in presenza di perdite inferiori al terzo”, Studio n. 14-2008/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 23 gennaio 2008; contra: Trib. Verona 22 novembre 1988; Platania, “La riforma del diritto societario”, a cura di Lo Cascio, Milano 2006, 449;
[24] Forte-Imparato, op. cit., Napoli 1998, 214; Gommellini, “Artt. 2446-2447, in Commentario Romano al nuovo diritto delle società”, diretto da Floriano d’Alessandro, volume secondo tomo II, Padova 2011, 909; Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G.19, “Aumento di capitale in presenza di perdite rilevanti ai sensi di legge”, pubbl. settembre 2007;
[25] App. Trieste 13 maggio 1993; Trib. Verona 22 novembre 1988; Trib. Ancona 13 gennaio 2009;
[26] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 122, op. cit.;
[27] Trib. Roma 10 settembre 1984; Nobili-Spolidoro, op. cit., 322 ss;
[28] Soluzione ammessa, sebbene ritenuta non preferibile in caso di perdite rilevanti, dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie;
[29] Di norma un aumento oneroso di capitale, ai sensi dell’art. 2441 C.C., deve essere offerto in opzione ai soci ai quali deve essere concesso un termine, non inferiore a quindici giorni dalla pubblicazione dell’offerta, per esercitare il loro diritto, termine che potrà essere coincidente o meno con quello finale di sottoscrizione dell’aumento;
[30] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 38, “Azzeramento e ricostituzione del capitale sociale in mancanza di contestuale esecuzione dell’aumento” (artt.2447 e 2482 ter C.C.)”, 19 novembre 2004; Ventoruzzo-Sandrelli, op. cit., 118; Nobili-Spolidoro, op. cit., 402;
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