La responsabilità dell’ente da reato e la costituzione di parte civile
Tesi che si basa sulla natura giuridica della responsabilità dell’ente
Per offrire soluzione alla questione un primo orientamento muove dalla qualificazione della responsabilità dell’ente. Si è ritenuto, cioè, che la costituzione di parte civile possa essere ammessa solo qualora la responsabilità dell’ente abbia natura penale e non amministrativa.
Qualificando la responsabilità dell’ente come di natura penale, in base all’art. 185, comma 2, c.p., nel caso in cui dal reato sia derivato un danno, sorge l’obbligo di risarcirlo sia in capo al colpevole, sia in capo a coloro che a norma del codice civile sono tenuti a rispondere del fatto.
Viceversa, sulla scorta della qualificazione come amministrativa della responsabilità dell’ente, si nega che la società possa essere considerata responsabile ai sensi dell’art. 185 c.p. In tal caso, infatti, non sarebbero applicabili gli artt. 185 c.p. ed il 74 c.p.p., che presuppongono l’esistenza di un reato (non potendo invece l’illecito dell’ente farsi rientrare in tale categoria).
Tesi che prescinde dalla natura giuridica della responsabilità dell’ente
In base ad una tesi che prescinde dalla natura giuridica della responsabilità dell’ente si giunge a conclusioni opposte.
A sostegno di tale impostazione, innanzitutto si rileva la logica essenzialmente riparatoria del d.lgs. 231/2001, contenente una disciplina che ha il fine precipuo portare alla rimozione delle conseguenze dannose e delle cause che hanno determinato o consentito la commissione del crimine.
Per tale via, appare senz’altro coerente ammettere la costituzione di parte civile nel procedimento penale, così da consentire e agevolare la riparazione a favore del danneggiato.
Sarebbe così possibile interpretare in maniera estensiva l’art. 185 c.p., sino a comprendere l’illecito amministrativo dell’ente.
Del resto, l’art. 34 d.lgs. 231/2001 contiene una clausola generale di rinvio alle norme del codice di procedura penale, in quanto compatibili. Proprio alla luce della logica riparatoria del d.lgs. 231/2001, tra queste norme compatibili vi sarebbero l’art. 74 c.p.p. e le altre norme che disciplinano la costituzione di parte civile.
Corroborerebbe tale conclusione la considerazione che la costituzione di parte civile – secondo la tesi in discorso – sarebbe l’unica via che danneggiato potrebbe percorrere rispetto all’ente all’interno del processo penale: l’ente non potrebbe essere considerato responsabile civile, giacché tale figura ricorre quando taluno debba rispondere civilmente per il fatto dell’imputato. Nell’ipotesi in discorso l’ente ha invece un titolo diretto di responsabilità: non risponde civilmente per fatto altrui, ma per fatto proprio.
Soluzione offerta dalla giurisprudenza di legittimità
La Corte di Cassazione (v. ad es. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 2251/2010) ha chiarito che la soluzione della questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile non dipende dalla natura giuridica della responsabilità dell’ente, potendo risolta attraverso considerazioni differenti.
Si osserva che nel d.lgs. 231/2001 è assente qualsiasi riferimento alla parte civile, in ogni parte del procedimento e si ritiene che detta assenza non può essere intesa come una palese svista del legislatore, bensì piuttosto come una scelta consapevole. Argomentando diversamente, si opererebbe (non un’operazione ermeneutica, ma) una inammissibile manipolazione addittiva del decreto.
Del resto, gli artt. 27 e 54 del d.lgs. 231/2001 che disciplinano la responsabilità patrimoniale dell’ente ed il sequestro escludono le obbligazioni civili dal proprio oggetto. Del pari, è esclusa la parte civile dal novero dei soggetti abilitati a chiedere il sequestro.
Non si può allora sostenere che la mancata considerazione della costituzione di parte civile nell’impianto del d.lgs. 231/2001 sia una mera svista.
Occorre poi considerare i tratti caratterizzanti della responsabilità dell’ente.
Affinché la responsabilità dell’ente sussista è necessaria non solo la commissione del reato da parte dell’agente, ma anche la commissione del crimine nell’interesse o a vantaggio dell’ente, nonché la sussistenza della c.d. colpa di organizzazione. È del tutto evidente, alla luce di tali peculiarità, che la persona giuridica risponde per qualcosa di diverso dal reato.
Ne deriva che in relazione alla responsabilità dell’ente non possono applicarsi, in assenza di espresso richiamo, gli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., che si applicano al reato.
La differenza tra l’illecito dell’ente ed il reato esclude la possibilità di riferire il rinvio operato dall’art. 34 d.lgs. 231/2001, agli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. Queste ultime norme sarebbero da qualificarsi come incompatibili in quanto presuppongono una responsabilità per danni da reato.
Ai fini della soluzione della questione non hanno rilevanza gli artt. 12, 17 e 19 d.lgs. 231/2001, che prevedono misure premiali per l’ente che risarcisca il danno prodotto dal reato. Semplicemente, tali disposizioni si inseriscono nella logica essenzialmente riparatoria del sistema delineato dal d.lgs. 231/2001. L’obbiettivo della disciplina è che l’ente prevenga il reato e, qualora non sia stato in grado di prevenirlo, elimini le cause che ne hanno determinato o agevolato la commissione. Ciò però non aggiunge nulla sul piano delle tecniche processuali utilizzabili.
Conclusivamente, (i) la mancata previsione della costituzione di parte civile nell’impianto del d.lgs. 231/2001, nonché (ii) la diversità del crimine rispetto all’illecito amministrativo, ostano al riconoscimento dell’applicazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. con riferimento alla responsabilità dell’ente.
Né si potrebbe sostenere che negare la possibilità di costituirsi parte civile nel processo contro l’ente possa comportare un inammissibile vuoto di tutela.
Sul piano sostanziale, escludere l’ammissibilità della costituzione di parte civile in relazione alla responsabilità dell’ente non significa negare l’idoneità dell’illecito amministrativo a cagionare un danno (ad esempio, ex art. 2043 c.c.). Dunque, il diritto costituzionale di difesa risulta pienamente rispettato ove si consideri che il danneggiato può proporre azione risarcitoria nel processo civile o chiamare in causa l’ente quale responsabile ex art. 83 c.p.p. nel giudizio penale
Sul piano processuale, in tema di rapporti tra processi, la regola è la separazione e non il simultaneus processus. La trattazione congiunta di più controversie costituisce, infatti, un’eccezione al generale principio della loro autonomia.
Sebbene la proposizione di un autonomo processo civile può essere considerata un onere a carico del danneggiato, questo non appare eccessivo, dato che costituisce il mezzo normale per far valere il diritto al risarcimento del danno.
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