Il Caso
Tizio ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Napoli, decidendo l’opposizione agli atti esecutivi dalla stessa proposta avverso un ordinanza di improcedibilità di un pignoramento presso terzi, pur accogliendo le ragioni dell’opponente, aveva disposto la compensazione delle spese processuali in considerazione della “particolarità e complessità delle questioni giuridiche poste a fondamento di un provvedimento preso d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, in presenza di una giurisprudenza di merito di legittimità molto contraddittoria sul punto, anche presso lo stesso Tribunale di Napoli”.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. – in relazione all’art. 24 Cost. – degli artt. 12 e ss. delle disposizioni sulla legge in generale nonché dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
La violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. è oggetto anche del secondo motivo di ricorso.
Le due doglianze, strettamente connesse, censurano la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha compensato le spese di lite tra le parti pur non ricorrendo le ipotesi dell’assoluta novità della questione trattata o del mutamento della giurisprudenza le quali soltanto, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. – così come modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 (applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dall’11 dicembre 2014) – avrebbero potuto legittimare un simile provvedimento.
La decisione della Corte
In via preliminare prima ancora di verificare se le ragioni ravvisate dal Tribunale di Napoli siano ascrivibili ad una delle due ipotesi tipiche previste dalla norma citata, la Corte ha rilevato che, con sentenza del 19 aprile 2018, n. 77, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 92 co. 2 c.p.c., nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente o per intero le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni diverse da quelle tipizzate dal legislatore.
Gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale retroagiscono fino al momento dell’introduzione nell’ordinamento della norma dichiarata illegittima e, di conseguenza, l’apprezzamento della sussistenza del vizio denunciato con il ricorso dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità.
Sulla base della suddetta premessa la Suprema Corte afferma che per la soluzione del caso in esame deve richiamarsi il seguente principio di diritto:
“Poiché gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo, nel caso in cui con un ricorso per cassazione sia denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162), che la Corte costituzionale, con sentenza 19 aprile 2018, n. 77, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, la valutazione della fondatezza o meno del ricorso deve farsi con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o addirittura la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del Giudice delle leggi”.
In applicazione di detto principio la Corte di Cassazione rileva che nel caso di specie le ragioni poste a fondamento della decisione del Tribunale di Napoli – ossia la complessità delle questioni giuridiche e la presenza di una giurisprudenza sia di legittimità che di merito molto contraddittoria anche all’interno dello stesso Tribunale – rispondono senza dubbio alle caratteristiche di gravità ed eccezionalità che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, giustificano la compensazione delle spese processuali.
Poiché, quindi, gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale retroagiscono fino al momento dell’introduzione nell’ordinamento della norma oggetto del sindacato, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato.
La disciplina delle spese di lite
L’art. 91 c.p.c. a norma del quale «il giudice, con sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa» sancisce, per il processo di cognizione, il principio della soccombenza.
Soccombente è la parte le cui domande non sono state accolte, sia pure per motivi diversi dal merito (e quindi anche per ragioni di ordine processuali) o quella che, non avendo proposto alcuna domanda, vede accolte le domande della controparte.
Tale principio, noto anche con il brocardo victus victori,[1] costituisce una specificazione della regola secondo cui «la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a danno di chi abbia ragione»[2] chiamando, quindi, colui il quale è stato dichiarato soccombente dal giudice al pagamento delle spese di lite e degli onorari di difesa.
La ratio di questa norma è, quindi, quella di «ristabilire un corretto riequilibrio del rapporto fra le parti, che non devono (o almeno non dovrebbero) subire un pregiudizio per il fatto di essere state costrette a convenire o per essere state convenute in giudizio quando il giudice abbia poi concluso riconoscendo il loro buon diritto».[3]
Il principio di soccombenza trova un limite nelle previsioni di cui all’art. 92 c.p.c. che consente al giudice di escludere la ripetizione di parte delle spese della parte vincitrice ove le ritenga eccessive o superflue e di condannare una parte – anche non soccombente – alle spese che abbia provocato per aver infranto il dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c.
Altro temperamento del principio di soccombenza, ispirato a ragioni di equità, discende dall’art. 92 co. 2 c.p.c. il quale prevede che il giudice possa compensare le spese in tutto o in parte, non solo in presenza di una soccombenza reciproca ma anche, stando alla modifica recentemente apportata dalla l. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, al ricorrere di profili di assoluta novità della questione trattata o di un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Tale comma è stato oggetto di molteplici modifiche: dapprima, infatti, con l’entrata in vigore della Legge 18 giugno 2009, n. 69 i giusti motivi della precedente formulazione sono stati sostituiti dalle gravi ed eccezionali ragioni (che hanno un significato più restrittivo qualificando così la compensazione come evento eccezionale) successivamente, ad opera della menzionata legge del 2014, l’art. 92 co. 2 c.p.c. è stato nuovamente riformato.
Con la novella del 2014, il legislatore, prevedendo che la compensazione possa essere disposta dal giudice oltre che nei casi di soccombenza reciproca solo in ipotesi di assoluta novità della questione o di mutamento della giurisprudenza, ha inteso tipizzare le ipotesi di compensazione delle spese e limitare la discrezionalità del giudice producendo, al contempo, effetti dissuasivi quanto all’inizio della lite o alla resistenza in giudizio.
I presupposti dell’ormai eccezionale potere di compensazione risiedono, ad opera della menzionata legge del 2014, nella sola assoluta novità delle questioni trattate e nell’eventuale ricorrere di un rivirement giurisprudenziale rispetto alle questioni dirimenti.
Recentemente, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza 19 aprile 2018 n. 77, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre gravi ed eccezionali ragioni.[4]
Con tale pronuncia, la Consulta ha ritenuto che un simile assetto normativo violi il principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., comma 1, nella misura in cui lascia fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa, il canone del giusto processo (art. 111 Cost., comma 1) e, altresì, il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost., comma 1) in quanto la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite, anche in qualsiasi situazione imprevista e imprevedibile, può costituire una remora ingiustificata per la parte che agisce o resiste in giudizio a far valere i propri diritti.
La sentenza della Corte ha sottolineato che la sostanza identificativa delle due ipotesi prese in considerazione dalla legge può ugualmente rinvenirsi in altre situazioni non meno gravi ed eccezionali e tuttavia non iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate e che, perciò, necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia (con connesso obbligo di motivazione della decisione di compensare le spese ex art. 111 Cost., comma 6).
La Corte Costituzionale, per tale ragione, ha affermato che le ipotesi prese in considerazione dalla legge debbano in realtà avere carattere paradigmatico e svolgere una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale di grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese che, in ogni caso, deve essere espressamente motivata pena la nullità della sentenza per violazione dell’art.132, comma 2, n. 4 c.p.c.
Recentemente, infatti, anche la Suprema Corte di Cassazione ha specificato in numerose pronunce[5] che “l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche.”
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Note
[1] L’espressione è stata coniata da CHIOVENDA G., Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1928, 46 ss.
[2] Così CHIOVENDA G., La condanna alle spese giudiziali, II, Roma, 1953, p. 147.
[3] Così E. M. BARBIERI, La concezione polifunzionale della responsabilità civile e l’art. 96 comma 3 c.p.c., in www.aulacivile.it, 2019.
[4] Sulla pronuncia in dottrina v. TRAPUZZANO C., Illegittima la compensazione delle spese nelle sole ipotesi tassative indicate, in Quot. Giur, 20.4.2018; VALERINI F., La Consulta amplia il perimetro della compensazione delle spese di lite, in Diritto & Giustizia, fasc.72, 2018, pag. 3; SPINELLI G., La corte costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc.3, 2018, pag. 719; SCALERA A., Illegittima la norma sulla compensazione delle spese di lite: si ritorna al passato?, in Ilprocessocivile.it, fasc., 20 aprile 2018; MATARESE M., Spese processuali: la Corte costituzionale boccia l’irragionevole tassatività delle ipotesi di possibile compensazione delle spese di lite, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.4, 2018, pag. 1211; DI GRAZIA R., Sulla compensazione delle spese giudiziali in caso di soccombenza totale, in Rivista di Diritto Processuale n. 1/2019; TEDIOLI F., La Corte Costituzionale estende il perimetro della compensazione delle spese giudiziali, in Studium Iuris n. 10/2018; LAFORGIA S., L’onore delle armi: note sul regime delle spese processuali alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018, in ADL n. 6/2018.
[5] Così Cass. civ. sez. VI-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598 nello stesso senso v. Cass. civ. sez. VI-lav 26 settembre 2018 n. 23059; Cass. civ. Sez. VI – 2, ord., 04 luglio 2019, n. 18010; Cass. civ. sez. V, ord. 15 maggio 2019, n. 12965; Cass. civ. sez. VI-lav., ord, 12 aprile 2019, n. 10369; Cass. civ. sez. VI-2, ord.,19 marzo 2019, n. 7698.
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