SOMMARIO: 1. La nuova fattispecie prevista dall’art. 612-ter c.p. (c.d. “Revenge Porn”): questioni applicative. – 2. Le modifiche al codice di procedura penale ed i nuovi diritti della persona offesa, in qualità di “vittima di violenza domestica e di genere” (artt.1-3 ed artt.14-15, Legge 19 luglio 2019, n.69). – 3. Il fenomeno in rete: il ruolo nevralgico della Polizia delle Comunicazioni, tra funzione preventiva e funzione repressiva.
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– La nuova fattispecie prevista dall’art. 612-ter c.p. (c.d. “Revenge Porn”): questioni applicative
La legge 19 luglio 2019, n. 69 (G.U. 25/07/2019 n.173) entrata in vigore il 9 agosto del corrente anno, introduce importanti modifiche, di diritto sostanziale e procedurale, in favore delle vittime di violenza domestica e di genere, costituendo il naturale completamento alla normativa specifica già introdotta con legge 15 ottobre 2013, n. 119[1].
Il provvedimento legislativo è finalizzato a caratterizzare la fase procedimentale e processuale – attraverso una maggiore attenzione all’azione giudiziaria ma anche al momento di tutela della vittima dell’illecito – quando si tratti dei reati ricompresi nel più ampio ambito della c.d. “violenza domestica o di genere”, ovvero, in linea di massima, tutti quegli “(..) atti gravi ovvero non episodici di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva (..)”[2].
Sebbene l’intervento normativo sia destinato, prioritariamente, a rafforzare la tutela, processuale e sostanziale, della vittima di violenza domestica e di genere, la continuità delittuosa che lega la fattispecie degli “atti persecutori” con la nuova fattispecie di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (c.d. Revenge Porn) previsto dal nuovo art. 612-ter[3], ne impone una trattazione sistematica, che tenga conto delle problematiche giuridiche affrontate fino ad oggi, sia dagli operatori che della Giurisprudenza di Legittimità.
Preliminarmente deve osservarsi come, l’accessibilità alla rete internet e la straordinaria diffusività del mezzo telematico, hanno oramai influenzato, in maniera inesorabile, gran parte del nostro agire quotidiano, in guisa tale da condizionare anche le modalità con cui le persone si relazionano, tanto nell’ambito delle relazioni amicali che in quelle affettive. E proprio le potenzialità della rete, in termini di esponenziale diffusione e conseguente condivisione dei contenuti immessi nel web (la c.d. viralità delle immagini), ha portato alla luce la triste e riprovevole pratica della vendetta sessuale – c.d. revenge porn – consistente, appunto, nel vendicarsi dell’ex partner attraverso la diffusione o cessione, a mezzo internet, di video od immagini sessualmente espliciti che lo ritraggono.
Tale fenomeno, tristemente evidenziatosi nell’ ultimo decennio, aveva posto seri interrogativi, agli organi di Polizia e Giudiziari, in ordine alla tutela penale concretamente applicabile, spesso ritenuta del tutto insufficiente a contrastare l’odiosa condotta.
In effetti, il comportamento tenuto dal reo – prima dell’introduzione dell’articolo in commento – poteva ricadere in differenti fattispecie penali, con la conseguente problematica inerente il concorso apparente di norme ovvero la possibilità di ottenere un concorso formale di più reati: così, ad esempio, per il caso della ex partner, la quale, mossa da risentimento e da rancore nei confronti dell’ ex compagno per la fine della loro relazione sentimentale, tentava di screditarne la persona, attraverso una illecita diffusione di video e foto “hard” che lo ritraevano, magari ciò avvenendo all’interno dell’ambiente lavorativo.
Era evidente che la sola invocazione di una generica tutela della privacy, contenuta nel disposto di cui all’art. 167, d.lgs. n.196/2003 e s.m.i., non risultava affatto sufficiente a contenere – sul piano squisitamente punitivo – la pericolosità insita nel comportamento illecito realizzato, anche in considerazione della forte vulnerazione alla libertà morale che esso cagionava alla vittima di tale atto illecito. E proprio la potenziale continuità delittuosa con altre fattispecie penali, prima fra tutte quella degli “atti persecutori” di cui all’art.612-bis c.p. – idonea a far rientrare la condotta di illecita diffusione di immagini o video sessualmente espliciti, all’interno di un più ampio disegno criminoso di tipo stalkerizzante – ha portato il legislatore a collocare il nuovo reato all’interno del titolo XII, Capo I, sezione III, del codice penale, quindi all’interno dei “delitti contro la libertà morale”.
Tale collocazione non deve però confondere l’interprete in quanto, se da un lato il bene giuridico tutelato in via prioritaria è quello della libertà dell’individuo di autodeterminarsi, la natura della condotta illecita punita è da considerarsi plurioffensiva, in quanto essa va a ledere differenti beni della persona umana. Infatti, oltre al c.d. “onore sessuale” della persona offesa, vengono compromessi anche altri beni: così è per la reputazione, la privacy che viene lesa dall’illecita pubblicazione di contenuti afferenti la propria vita privata, fino ad arrivare al bene dell’integrità fisica personale, quando i comportamenti illeciti sovraespongano così tanto la persona, da comprometterne lo stato fisico di salute[4].
L’esigenza di una criminalizzazione ad hoc è stata rinvenuta nella profonda offensività del fatto-reato, in base al quale il reo – per le più svariate motivazioni, di rancore personale, per vendetta ovvero per recare puramente e semplicemente un danno – divulga video od immagini afferenti l’intimità del proprio partner o di altra persona, senza che questi abbia prestato il consenso alla diffusione o alla cessione dei contenuti che li ritrae.
A tal proposito si osservi come, prima dell’introduzione della novella legislativa di cui all’art. 612-ter c.p., i medesimi comportamenti erano suscettibili di essere ricompresi in differenti incriminazioni, le quali spaziavano dal reato di diffamazione (art.595 c.p.), a quello di stalking (art.612-bis c.p.) o di lesione alla privacy (art.167, d.lgs. n.196/2003 e s.m.i.): ne è conferma una recentissima Sentenza della Corte di Cassazione, depositata appena il 10 luglio ultimo scorso[5], in cui è stato affrontato proprio il tema del c.d. revenge porn realizzato dall’imputato che, legato da precedente relazione affettiva con la persona offesa, senza il suo consenso, ne aveva diffuso via web le immagini intime presentandola, altresì, come disponibile a rapporti sessuali.
Ebbene, in quella sede, la Suprema Corte ha stabilito che i casi di diffusione via web di immagini intime ritraenti la persona offesa, potevano ricondursi a differenti ipotesi criminose, tra loro in concorso formale e non apparente. Ed in particolare si riconosceva il possibile concorso dei delitti di “atti persecutori” (art.612-bis c.p.), “diffamazione” (art. 595 co.3 c.p.) e “trattamento illecito dei dati” (art.167, d.lgs. n. 196/2003), laddove un medesimo comportamento fosse stato in grado di vulnerare, rispettivamente, i beni della libertà morale, della reputazione e dell’onore, nonché quello della riservatezza[6].
Veniamo quindi ad esaminare la nuova fattispecie di cui all’art.612-ter, rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, come introdotto dall’art.10, legge 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.
Il primo comma stabilisce che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”. Come si evince da una immediata lettura della norma, siamo in presenza di un reato comune, in cui il soggetto agente non deve necessariamente corrispondere a colui che realizza o produce i contenuti video o di immagine, in quanto può risultare anche colui che se ne sia appropriato con violenza o con altro metodo fraudolento (rilevando anche il mero possesso del materiale per “sottrazione”, come riportato dal testo);
Altrettanto immediata è l’osservazione per cui le condotte punibili dalla norma risultano molto eterogenee, in quanto non sempre corrispondenti ad una precisa finalità vendicativa del reo, il quale potrebbe aver agito anche per altre motivazioni, non esclusa la semplice curiosità di “vedere cosa accade” in seguito alla diffusione[7]. In altri termini, il primo comma non punisce la sola “revenge-pornography”, intesa in senso stretto, ma qualsiasi condotta rientrante nel disposto normativo (invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione)[8], purché il soggetto abbia contribuito alla realizzazione dei contenuti espliciti ovvero li abbia illecitamente sottratti.
Breve considerazione merita l’oggetto della condotta punita, ovvero le “immagini o video a contenuto sessualmente esplicito” che vengano divulgate in assenza di consenso della P.o. Innanzitutto, l’aggettivazione di “esplicito” data al contenuto illecito diffuso, rimanda ad un interpretazione particolarmente restrittiva del materiale “a contenuto sessuale” richiamato in norma, con ciò significando che potrà darsi rilievo giuridico alle sole immagini e video di chiaro contenuto osceno, cioè a quel materiale “(..) idoneo ad eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, sicché in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi ma anche corpi nudi con i genitali in mostra (..)”[9]. Diversamente opinando, l’area dell’illecito si estenderebbe arbitrariamente fino a ricomprendere anche la pubblicazione di persone in costume da bagno, in atteggiamenti ammiccanti o comunque indossanti abiti succinti, ciò che riteniamo confliggere proprio con l’aggettivo utilizzato dal legislatore. Questa interpretazione risulterebbe conforme anche al principio di sufficiente determinatezza della fattispecie penale che, in quanto corollario del più ampio principio di legalità, evita valutazioni giudiziarie delle condotte incriminate che potrebbero condurre a risultati non sempre uniformi[10].
Un ulteriore disamina riguarda il fatto-reato, che assume rilevanza penale fintantoché lo stesso venga commesso “senza il consenso delle persone rappresentate”, cioè in assenza del consenso espresso, liberamente prestato e non viziato (da errore, violenza o dolo), dell’avente diritto. È invece maggiormente problematica, in tale contesto delittuoso, l’ipotesi prevista dal combinato disposto degli artt. 50 e 59, comma quarto, c.p. (cioè il c.d. consenso putativo). Laddove il consenso si ritenga erroneamente supposto da parte del reo, sarà delicato compito del Giudice di merito valutare, secondo il suo prudente appressamento, i casi in cui, secondo comune esperienza e in base all’atteggiamento concreto, il soggetto agente possa essere scusato per aver fatto erroneo affidamento su un consenso mai prestato dalla persona offesa. Sicuramente, nel delitto in questione, si tratterà di ipotesi marginali, in quanto bisognerà dimostrare, in giudizio, di esser stati influenzati da un errore plausibile ad una persona media.
Il secondo comma dell’articolo 612-ter c.p. prevede, poi, che la medesima pena “(..) si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”.
La disposizione altro non fa che estendere la responsabilità penale – applicando le medesime pene di cui al comma primo dell’articolo – ai cosiddetti “secondi distributori”, ovvero a coloro che “avendo ricevuto o comunque acquisito” le immagini o i video osceni, li condividono o li diffondono, sempre in assenza del consenso della persona offesa, ma con il fine specifico di recare un nocumento alla stessa. Qui il legislatore, prende atto del fenomeno sociale, invero molto diffuso tra la popolazione giovanile, con cui le immagini e i video che ritraggono una determinata persona, vengono spesso condivisi e/o diffusi in rete con estrema semplicità, senza dar peso alle conseguenze che tale diffusione comporta.
Il riferimento è al c.d. “sexting”, cioè quella pratica consistente nello scambio di messaggi sessualmente espliciti, con foto o video che mostrano nudità od atti di autoerotismo che, seppure inizialmente limitati ad una stretta cerchia di persone, rischiano di essere diffuse in rete con grave danno per la riservatezza della persona ritratta[11].
Questo “secondo momento di diffusione” assume rilievo penale in quanto l’agente non contribuisce alla realizzazione dei contenuti osceni, ma si limita alla sua acquisizione ed alla successiva diffusione in danno della persona offesa[12]. L’altro elemento di differenziazione, attiene, poi, all’elemento soggettivo, poiché nella fattispecie in commento, il soggetto attivo del reato deve agire al deliberato fine di recare “nocumento della vittima”, quindi a titolo di dolo specifico. Infine, è facile intuire una certa continuità delittuosa sia con la fattispecie di cui all’art.612-bis c.p. sia con il fenomeno del c.d. cyber-bullismo.
Specie in quest’ultimo caso, la diffusione via web (es. tramite social network o chat di messaggistica istantanea) dei video o delle immagini oscene, viene a costituire l’atto più pericoloso, in quanto idoneo ad innescare quella “virale condivisione” capace di produrre danni irreparabili per la persona offesa. In proposito, l’estensione della punibilità prevista dal co.2, art.612-ter c.p., anche per i c.d. “secondi distributori”, si presta a divenire un importante deterrente ai fenomeni criminali su innanzi indicati.
Il terzo ed il quarto comma del nuovo articolo prevedono, inoltre, un aggravamento di pena nei casi in cui il reato: a) sia commesso dal coniuge, ancorché separato o divorziato, ovvero da persona che è o è stata legata alla persona offesa da una relazione affettiva; b) sia commesso in danno di una persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza[13]; c) sia commesso attraverso strumenti informatici o telematici (c.d. aggravante social).
Come è stato osservato, il reato di cui all’art.612-ter è destinato ad essere contestato, in giudizio, molto di più nella sua fattispecie aggravata che in quella base, questo perché il fenomeno attuale del c.d. “revenge porn” trova la sua connotazione principale – quindi la sua carica lesiva – proprio nell’uso della tecnologia, consentendo di amplificare il danno da reputazione sofferto dalla vittima, in maniera esponenziale[14].
Quanto alla condizione di procedibilità, il quarto ed ultimo comma dell’art.612-ter stabilisce che, eccezion fatta per il reato commesso in danno di una donna in stato di gravidanza o in condizioni di inferiorità fisica o psichica, ovvero quando è connesso con altro delitto procedibile d’ufficio, in tutti gli altri casi si procede a querela della persona offesa, la quale può proporla entro il termine di sei mesi[15]. Ricalcando la disposizione dell’ultimo comma dell’art.612-bis c.p., si stabilisce, infine, che “la remissione della querela può essere soltanto processuale”[16].
Rilevante è capire quale sia il rapporto normativo della nuova fattispecie di reato rispetto alle altre condotte illecite con cui essa pare possedere una diretta continuità criminale.
In via preliminare, ci sembra plausibile il concorso formale tra l’art.612-bis ed il nuovo art. 612-ter c.p., considerando che i beni giuridici protetti dalle rispettive norme incriminatrici non risultano totalmente sovrapponibili.
In particolare, mentre il delitto di “stalking”, costituendo un reato di danno, di tipo abituale che si compendia in una serie di atti lesivi, tra loro cumulativi o anche solo alternativi, è diretto a salvaguardare la persona contro un “turbamento dell’equilibrio mentale”[17], (quindi in sostanza a tutelarne la “tranquillità psicologica”)[18], la nuova fattispecie, non solo può realizzarsi attraverso un’unica condotta – seppure, beninteso con effetti altamente vulnerativi – ma tende a proteggere una pluralità di beni giuridici tra cui, oltre alla libertà morale, la reputazione e la riservatezza[19].
In seconda istanza, va chiarito il rapporto con la fattispecie di “pornografia minorile” di cui all’art.600-ter c.p.- Qualora il materiale scambiato coinvolga minori degli anni diciotto e venga realizzato direttamente dal soggetto agente, ovvero per finalità di commercio, la clausola di sussidiarietà contenuta nel primo comma dell’art. 612-ter c.p. imporrà l’applicazione del più grave reato, quindi dei commi primo e secondo dell’art. 600-ter c.p.
Maggiori difficoltà sorgono in ordine ai comportamenti di distribuzione, divulgazione, o cessione di materiale pedopornografico, per i quali i commi terzo e quarto dell’art.600-ter c.p, prevedono una pena inferiore rispetto alla nuova fattispecie: in tale caso, pur non potendosi invocare la clausola di sussidiarietà, con la relativa assorbenza verso la fattispecie punita con maggior rigore, riteniamo comunque applicabile – in base al principio del favor rei – la norma più favorevole, quindi i commi terzo e quarto dell’art. 600-ter c.p. [20].
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Le modifiche al codice di procedura penale ed i nuovi diritti della persona offesa, in qualità di “vittima di violenza domestica e di genere” (artt. 1-3 ed artt. 14-15, Legge 19 luglio 2019, n.69)
Se, da un lato, la legge n. 69/2019, ha il merito di aver criminalizzato l’odioso fenomeno del c.d. “Revenge Porn”, dall’altro, ha anche inteso ricomprenderne le condotte nel più ampio contenitore costituito dalla “violenza di genere”. In effetti, accanto ai reati tipici che connotano le violenze intra-familiari o quelle avvenute all’interno delle relazioni affettive (es. artt.572, 582, 612-bis c.p.), il legislatore – forse esaltandone la continuità delittuosa – ha voluto introdurre anche il predetto reato tra quelli a c.d. tutela rafforzata, cioè quelli in cui il ruolo attribuito alla persona offesa (in qualità di “vittima della violenza”) comporta una serie di adempimenti processuali specifici[21]. In particolare, viene stabilito:
a) l’obbligo di immediata informazione alla persona offesa; nel primo momento in cui l’autorità procedente entra in contatto con la persona offesa, essa è tenuta ad informarla sui diritti e facoltà inerenti il procedimento penale (es. facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione piuttosto che della possibilità di accedere al gratuito patrocinio), sulle strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia e centri antiviolenza, nonché sui servizi di assistenza alle vittime di reato (cfr. artt. 90-bis; 101 c.p.p.) [22];
b) obbligo di notiziare immediatamente il Pubblico Ministero; la polizia giudiziaria che accerti i reati di maltrattamento in danno di familiari e conviventi (572 c.p.), violenza sessuale (609-bis, 609-ter, 609-quater), corruzione di minorenne (609-quinquies), violenza sessuale di gruppo (609-octies), atti persecutori (612-bis), diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (612-ter), lesioni personali e lesioni permanenti al viso (582 e 582-quinquies p.) nelle ipotesi aggravate espressamente previste[23], è tenuta a darne immediata notizia al Pubblico Ministero, anche in forma orale (347 co.3 c.p.p. novellato)[24];
c) obbligo di immediata assunzione di informazioni; fatta eccezione per il c.d. “revenge porn”, quando si procede per uno dei reati afferenti la violenza domestica e di genere, il pubblico ministero, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, “salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”. (nuovo comma 1-ter, 362 c.p.p. introdotto dalla L. n. 69/2019); la scelta del legislatore di escludere l’art. 612-ter c.p. dall’applicazione della norma processuale, potrebbe rinvenirsi nella struttura stessa del reato, posto che – a differenza delle condotte di Stalking, di lesioni personali, o di violenza sessuale, che necessitano di un celere approfondimento investigativo, funzionale alla protezione della vittima – nel delitto di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, la vittima, anche se particolarmente vulnerata dal comportamento illecito, non corre un immediato ed effettivo rischio alla propria integrità fisica[25].
È comunque verosimile ritenere che, nella pratica di polizia giudiziaria, il reato in questione si manifesti, sovente, in concorso con le altre fattispecie delittuose ricadenti nel più ampio spetto della c.d. “violenza domestica o di genere”; ciò comporterebbe, stante la continuità delittuosa, proprio l’applicazione della norma esaminata;
d) obbligo di immediata comunicazione alla persona offesa, circa i provvedimenti di revoca o sostituzione delle misure cautelari[26] ovvero di scarcerazione o di cessazione della misura di sicurezza detentiva ovvero dell’evasione del condannato o dell’imputato in stato di custodia cautelare in carcere (artt. 90-ter e 299 co.2-bisp.p. ult. modif.); la modifica di queste due norme, rivela la ratio legis del provvedimento normativo, cioè oltre quella di assicurare, in tempi brevi, la prova del commesso reato, anche quella di tutelare la vittima, accrescendone i diritti processuali; infatti, se mentre prima della riforma, la persona offesa conosceva direttamente dei provvedimenti di revoca e di sostituzione delle misure cautelari solo “in mancanza del difensore”, ora il rapporto viene invertito, poiché essa è sempre informata, unitamente al difensore (se nominato); minori garanzie erano previste anche in sede di scarcerazione, cessazione della misura di sicurezza detentiva ovvero in caso di evasione, laddove la persona offesa poteva essere informata dei relativi provvedimenti solo quando ne avesse fatto richiesta. Con le modifiche apportate dalla legge n. 69/2019, tali informazioni alla P.O. divengono così obbligatorie[27].
e) obbligo del giudice penale di trasmettere, senza ritardo, al giudice civile la copia dei seguenti provvedimenti: ordinanze relative a misure cautelari personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, procedimento di archiviazione o sentenza; tale obbligo è previsto dal nuovo art.64 bisatt. c.p.p., quando ci si trovi in pendenza di procedimenti civili relativi alla separazione dei coniugi, all’esercizio della potestà genitoriale o comunque a cause inerenti ai figli minori di età, quindi nei casi in cui le valutazioni di carattere penale, nell’ambito della violenza domestica e di genere, possono incidere nella decisione del giudice civile;
f) in sede di applicazione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento, il relativo provvedimento va comunicato, oltreché ai servizi socio-assistenziali, anche alla persona offesa e al suo difensore (art. 282-quaterp.p., ult. modif.), con ciò realizzandosi un canale informativo importante che consente alla persona offesa anche di conoscere, in tempo reale, gli sviluppi cautelari della vicenda giudiziaria[28].
Si segnala, infine, che l’art.16 della legge in commento, apporta modifiche anche al comma 2-bis dell’art.275 c.p.p., stabilendo che per il reato previsto dall’art.612-ter c.p. non trova applicazione la regola generale del divieto di applicazione di misura cautelare in carcere, nel caso in cui il giudice ritenga che la pena, all’esito del giudizio, non sarà superiore a tre anni.
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Il fenomeno in rete: il ruolo nevralgico della “Polizia delle Comunicazioni”, tra funzione preventiva e funzione repressiva
La fattispecie penale introdotta dall’articolo 612-ter c.p., in vigore dal 9 Agosto 2019 rappresenta, quindi, un efficace deterrente contro il fenomeno del c.d. revenge porn, un odiosa pratica che l’ordinamento non considerava adeguatamente nella sua innata pericolosità: da un lato, per quanto riguarda le condotte in sé realizzate, particolarmente ignobili e deplorevoli sul piano giuridico (in quanto dirette a compromettere la libertà morale della persona offesa, magari già vulnerabile, attraverso il binomio ricatto-vendetta)[29] dall’altro, in considerazione degli effetti deleteri delle condotte antigiuridiche che ne erano alla base.
La diseducazione nell’uso del web, accostata a falsi valori sociali, tra i quali il c.d.“culto dell’immagine”, ha in qualche modo agevolato la condivisione – soprattutto tramite social network o chat di messaggistica istantanea – di contenuti sessualmente espliciti, senza il consenso della persona ritratta. L’atto del “condividere” o del “diffondere”, magari allegando il contenuto illecito ad un messaggio di chat ovvero attraverso la pubblicazione su un profilo appositamente creato (fake profile), costituiscono senza dubbio alcuno, condotte di pericolo concreto che possono ledere, anche in maniera irreversibile, i beni della reputazione e della libertà morale della vittima del reato.
In proposito, basti pensare che la Giurisprudenza di Legittimità[30], prima dell’entrata in vigore della legge n.69/2019, sottolineava come la condotta di diffusione in rete di immagini intime ritraenti la persona offesa, potesse ricondursi a differenti ipotesi criminose, poiché ascrivibile ad un comportamento pluri-offensivo, in grado di vulnerare contemporaneamente i beni della libertà morale, della reputazione e dell’onore, nonché quello della riservatezza[31].
Il corpus normativo, benché orientato a rafforzare la posizione processuale e sostanziale, della vittima di violenza domestica e di genere, delinea – come illustrato in precedenza – una chiara continuità delittuosa tra la nuova fattispecie di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” prevista dall’art. 612-ter c.p. (art.10, L. cit.) e quella relativa agli “atti persecutori” di cui all’art.612-bis c.p.
Preso atto di una spiccata “continuità criminale”, oltre alla forte connotazione informatica che distingue le citate condotte illecite [32], sembra quanto mai necessario – specie nella fase investigativa, su cui peraltro ha voluto incidere fortemente il legislatore – avvalersi della competenza specialistica della Polizia delle Comunicazioni, una delle quatto specialità della Polizia di Stato, ad altissima vocazione investigativa nel campo informatico.
Attraverso una pluriennale esperienza, maturata nel contrasto alla pedopornografia e nei reati a sfondo sessuale commessi on-line, la Polizia delle Comunicazioni ha acquisito una specifica sensibilità e professionalità nella gestione dei rapporti con le vittime di reato, ciò che l’ha resa un vero e proprio “baluardo della sicurezza informatica”.
E grazie anche all’esperienza investigativa maturata nel campo del c.d. Cyber-stalking[33], la Polizia delle Comunicazioni risponde alla nuova sfida, rappresentata dal contrasto al c.d. revenge porn, cioè alla condivisione non consensuale di materiale pornografico sui social e sul web, non solo sul versante repressivo, ma anche su quello della prevenzione.
A tal proposito, va ricordato come “(..) la repressione è un tassello ma la battaglia va condotta anche e soprattutto sul piano culturale (..)[34], in quanto proprio le campagne di prevenzione e di informazione (specie quelle dirette agli adolescenti e alle loro famiglie) consentono di coltivare e di promuovere quei comportamenti virtuosi che evitano o quantomeno rendono difficoltose le condotte illecite accennate.
Già da tempo la Polizia di Stato – Specialità “Polizia delle Comunicazioni”, nell’ambito delle proprie specifiche attribuzioni, espleta numerose attività di prevenzione e comunicazione, realizzate nelle principali città italiane e nelle scuole di ogni ordine grado[35], finalizzate proprio a “mettere in guardia” i giovani dai rischi della rete e quindi dai comportamenti inopportuni che mettono in pericolo chi naviga.
Benché la repressione della condotta non risulti, ancora, del tutto immediata, in quanto il testo della norma risulta, dal punto di vista tecnico-giuridico, ancora perfettibile in ordine agli strumenti di contrasto (primo fra tutti l’immeditato oscuramento da imporre ai Server Providers)[36], sicuramente l’aver introdotto una nuova fattispecie penale, unitamente ad una adeguata campagna di sensibilizzazione, contribuirà ad agevolare la quotidiana lotta per la legalità, quindi a combattere crimini ignobili come il “revenge porn”.
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Note
[1] Cfr. Rel. n. III, 03.2013, Uff. Mass. Cass., in www.cortedicassazione.it; in dottrina, MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, in Itinerari di diritto penale (collana diretta da Fiandaca – Musco – Padovani – Palazzo), 2010;
[2] L’unica definizione normativa è presente dell’art.3, comma primo, L. n. 119/13, con specifico riferimento alle misure di prevenzione adottate dal Questore in una fase, per l’appunto, antecedente la realizzazione dell’illecito vero e proprio. Tuttavia, l’analisi sistematica delle norme recentemente introdotte sia dalla L. n. 119/2013 che dalla L. n.69/2019, consente di individuare un nucleo di reati astrattamente riconducibile a tale definizione, in quanto accomunati da una medesima disciplina processuale oltre che essere tutti indirizzati alla persona offesa, in qualità di vittima, all’interno di un rapporto relazionale ultimato od in itinere; così, ad esempio, si rifletta su:
- obbligo di immediata informazione alla persona offesa (90-bis; 101 c.p.p.): al momento dell’acquisizione della notizia di reato, la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero devono informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e del diritto di accedere al patrocinio a spese dello Stato (recentemente esteso alla persona offesa dei reati di cui agli artt. 572, 583 bis e 612 bis c.p. a prescindere dalle condizioni di reddito), oltreché a fornire l’ “informativa alla persona offesa” contente tutti i diritti e facoltà di legge, nonché le informazioni riguardanti le strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia e centri antiviolenza, nonché le informazioni sui servizi di assistenza alle vittime di reato. – cfr. G. DI GIUSEPPE, Il contrasto alla violenza di genere nella legge 15.10.2013 n.119.– L’attuale sistema punitivo e le problematiche applicative; in www.diritto.it.
- obbligo di immediata notizia di reato (347 co.3 c.p.p. modificato dalla L.ult.cit.): la polizia giudiziaria, infatti (oltre ai gravi delitti previsti dall’art. 407, co.2, lett. a), nn. 1-6) qualora accerti reati di maltrattamento in danno di familiari e conviventi (572 c.p.), violenza sessuale (609-bis, 609-ter, 609-quater), corruzione di minorenne (609-quinquies), violenza sessuale di gruppo (609-octies), atti persecutori (612-bis), diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (612-ter), lesioni personali e lesioni permanenti al viso (582 e 582-quinquies c.p.) nelle ipotesi aggravate (ai sensi degli artt. 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1; 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p.), deve darne immediata notizia al Pubblico Ministero, anche in forma orale;
- obbligo di immediata assunzione di informazioni ad opera del pubblico ministero (nuovo comma 1-ter, art. 362 c.p.p. modificato dalla L.ult.cit.): ad eccezione del reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (612-ter), tutte le fattispecie elencate, ricadenti nel catalogo dei reati afferenti la violenza domestica e di genere, impongono al P.M. di assumere, entro 3gg dall’iscrizione della notizia di reato, “(..) informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza (..) ”;
- obbligo di procedere immediatamente ad atti delegati (nuovo comma 2-bis e 2-ter, art.370 c.p.p. modif. L.cit.): la polizia giudiziaria procede immediatamente al compimento degli atti delegati dall’A.G. e mette a disposizione del Pubblico Ministero, la documentazione dell’attività effettuata, il tutto “senza ritardo”.
[3] Introdotto dall’art.10, legge 19 luglio 2019, n. 69.
[4] Riteniamo non possa escludersi una lesione diretta di tale bene, al pari di quanto accade nella fattispecie di cui all’art.612-bis c.p.. La pratica giudiziaria, infatti, conosce di episodi in cui, seppure non siano stati ravvisati gli elementi costituitivi del reato di stalking, le condotte perpetrate in danno della vittima, hanno portato quest’ultima ad una vera e propria sofferenza psicofisica, rientrante in un vero e proprio “quadro clinico”. Pertanto riteniamo corretto inglobare, all’interno dei beni giuridici tutelati dalla norma, non solo la libertà morale (o di auto-determinazione) ma anche quella fisica (o di integrità personale) che, egualmente, può risultare lesa dalla diffusione illecita di contenuti “hot”, specie ove il veicolo prescelto per la diffusione sia quello dei social-media, strutturalmente idonei a diffondere, in modo esponenziale sul web, qualsiasi contenuto. – Cfr. G.M.CALETTI, “Revenge porn” e tutela penale, Prime riflessioni sulla criminalizzazione specifica della pornografia non consensuale alla luce delle esperienze angloamericane, 78 ss., in Dir. pen. contemp.– Riv. trim., 3/2018.
[5] Cass., V sez., n. 30455/2019.
[6] Considerato che la vasta ed indeterminata platea dagli utenti della rete individuava la persona offesa quale persona disponibile ad incontri sessuali con sconosciuti, il comportamento che era stato posto in essere dal reo risultava concretamente idoneo a turbarne le condizioni esistenziali, tanto da far rientrare tale condotta nel comportamento persecutorio di cui all’art. 612-bis c.p.
Quanto poi al concorso tra la fattispecie ex art.595 c.p. e quella di cui all’art.167 codice privacy, la Suprema Corte precisa come il bene giuridico protetto dalle rispettive norme non è affatto corrispondente né sovrapponibile, in quanto: a) nel reato di diffamazione, si tende a tutelare la reputazione dell’individuo, quindi il buon nome, il riconoscimento sociale di cui esso gode in un determinato momento storico ed in una determinata cerchia sociale; b) nel reato di trattamento illecito dei dati personali, il bene giuridico tutelato dalla norma, si identifica nella riservatezza, cioè nella tutela di una sfera minima di intimità, che possa garantire all’individuo di potere escludere tutte le indebite interferenze da parte degli estranei che non vi abbiano titolo; in questo senso, spiega la Corte, il delitto in questione si pone a protezione di un aspetto interiore dell’individuo, mentre nella diffamazione si va a tutelare l’aspetto esteriore della persona, identificato nel suo c.d. “buon nome”.
[7] Si pensi al noto e tragico caso di Tiziana Cantone, giovane ragazza dell’hinterland napoletano, che si suicidò nel settembre 2016, in seguito alla diffusione, senza il suo consenso, di video hot che la ritraevano; Cfr, La morte di Tiziana, il pm chiede il processo per l’ex compagno, in Il Mattino, versione online, 20 maggio 2018, in www.ilmattino.it.
[8] “(..) Il primo nucleo di condotte (inviare, consegnare, cedere) sembra fare riferimento, non senza sovrapposizioni, alle ipotesi di trasferimento (non per forza attraverso la rete) delle immagini tra due persone. Non di rado la vendetta si consuma attraverso l’invio dei materiali intimi ad una persona determinata (ad es. il datore di lavoro della persona ritratta, un familiare, il nuovo partner) nella speranza che lo scandalo pregiudichi il futuro professionale o le relazioni più strette della persona ritratta nelle immagini. Capita altresì che il processo di diffusione abbia inizio da una prima, ingenua, cessione ad un amico. La pubblicazione, invece, potrebbe ricorrere nei casi in cui le fotografie o i video vengano “postati” su siti pornografici, social network e su altre piattaforme online; mentre la diffusione sembra richiamare la distribuzione senza intermediari ad un’ampia platea di destinatari, ipotesi che si verifica negli inoltri nelle chat di messaggistica istantanea, nelle mailing list, negli strumenti di condivisione peer to peer (..)”; così G.M.CALETTI, “Revenge porn”. Prime considerazioni in vista dell’introduzione dell’art. 612-ter c.p.: una fattispecie “esemplare”, ma davvero efficace?, 2019, in www.penalecontemporaneo.it.
[9] Così Cass., V sez., n. 8285/2009, riguardo al delitto di pornografia minorile.
[10] Tale interpretazione ci pare, peraltro, conforme al rigoroso trattamento punitivo ed alla ratio legis portata dalla norma, che vuole punire i soli comportamenti di diffusione o di pubblicazione che abbiano a ritrarre momenti di intimità della propria persona, purché “sessualmente espliciti”. In proposito, seppur con riguardo al delitto di pornografia minorile ex art.600-ter c.p., cfr. Cass, sez.III, n. 10981/2010.
D’altra parte, in caso di illecita diffusione delle foto od immagini che non ritraggano la persona in atteggiamenti sessualmente allusivi o comunque in atteggiamenti sessuali espliciti, potrà sempre trovare applicazione l’art. art.167, d.lgs. n.196/2003 (codice della privacy), in tal modo anche evitando un eccessivo rigorismo penale.
Sul punto, si confrontino anche le interessanti riflessioni di G.M.CALETTI, Op.cit. §3.
[11] Per un approfondimento, cfr. Cass., III sez., n. 11675/2016.
[12] “(..) Il discrimine è costituito dalle modalità con le quali l’agente è entrato in possesso delle immagini che ha successivamente divulgato: nel caso del primo comma, è richiesto che egli abbia contribuito alla loro realizzazione o che le abbia «sottratte», mentre al secondo comma è disciplinato il caso in cui il diffusore le abbia ricevute o acquisite in altro modo (..)”; cfr. G.M.CALETTI, Op.cit. §3.
[13] In questo caso la pena è aumentata da un terzo alla metà.
[14] “(..) A differenza degli atti persecutori, che possono prescindere da tali strumenti, la carica offensiva del “Revenge porn” si fonda in gran parte proprio sull’uso delle tecnologie digitali, che lo rendono al contempo estremamente semplice da realizzare (bastano pochi “click”…) e devastante nelle conseguenze. È vero che possono darsi sporadici casi di divulgazione delle immagini che non passano attraverso Internet o mediante strumenti informatici – del resto il “Revenge porn” esisteva già prima dell’avvento delle tecnologie dell’informazione e che queste lo radicassero nella società – ma è statisticamente di gran lunga più probabile la contestazione della fattispecie aggravata che di quella base” ; così G.M.CALETTI, Op.cit.
[15] Tale termine è quello più elevato previsto dall’art.609-septies c.p. per i reati di violenza sessuale.
[16] “La progressiva evoluzione della norma sembra peraltro suggerire che l’implicita intenzione del legislatore sia stata quella di affidare al giudice il compito di svolgere una verifica effettiva sulla spontaneità della eventuale remissione della querela. Non va per contro dimenticato come per il combinato disposto degli artt. 152 c.p. e 340 c.p.p. è remissione processuale della querela anche quella resa alla polizia giudiziaria o mediante procuratore speciale, talchè lo strumento cui la novella si è affidata per prevenire eventuali illeciti condizionamenti non sembra particolarmente funzionale allo scopo, a meno di non voler interpretare la formula normativa nel senso che per remissione processuale si sia voluto intendere soltanto quella effettuata dinanzi al giudice, ma, come evidenziato, questa lettura potrebbe apparire come una ingiustificabile forzatura di un dato testuale non equivoco”;
Rel. n. III 03.2013, Uff. Mass. Cass., 4, in www.cortedicassazione.it.
[17] “il reato di stalking, previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., costituisce un reato di evento e di danno; l’evento, in relazione ai connotati tipici del delitto in esame, è di tipo psichico e consiste nel turbamento dell’equilibrio mentale di una persona le cui conseguenze sono costituite, alternativamente, ma eventualmente anche cumulativamente: a) nel grave e perdurante stato di ansia e paura cagionato alla persona offesa; b) nel timore di danni a sé stessa o a persona vicina; c) nel cambiamento delle proprie abitudini di vita”; Così Cass., Sez. V, n. 14391/2012.
[18] A. CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida al diritto, 2009, vol. 19, 52.
[19] Vi è da aggiungere, peraltro, che nessuno degli eventi richiesti dall’art.612-bis c.p. sono, invece, richiesti dal nuovo articolo in commento.
[20] Sorgono, peraltro, dubbi di legittimità costituzionale per violazione del canone di ragionevolezza e proporzionalità della pena inflitta, laddove si pensi che la condotta di “divulgazione” prevista dal nuovo articolo 612-ter c.p., in ordine alle immagini e video hot ritraenti soggetti maggiorenni, viene punita più severamente di quella riguardante la pedopornografia (cioè con una pena che va da uno a sei anni di reclusione).
[21] Il legislatore, rispetto tali reati, ha voluto determinare una sorta di “immediatezza investigativa” , funzionale sia all’applicazione delle misure cautelari in protezione della vittima che alla cristallizzazione degli elementi probatori. Ciò in quanto tutti gli istituti modificati dalla norma incidono, appunto, sull’indagine-procedimento e non anche sul processo: dato atto che l’art.132-bis disp.att. c.p.p., inerente la priorità assoluta nella trattazione dei processi non ha visto alcuna modifica legislativa, si ritiene, infatti, che la legge n.69/2019 abbia voluto incidere unicamente nella fase delle indagini e non sugli istituti processuali.
[22] Un chiaro ed al contempo esaustivo schema di informativa (rispondente a quanto richiesto dall’art.90-bis c.p.p.) è reperibile al seguente URL: http://www.procura.enna.it/allegatinews/A_9789.pdf
[23] E precisamente ai sensi degli artt. 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1; 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p.
[24] Si fa notare che, fino all’entrata in vigore della legge, l’obbligo di immediata comunicazione della notizia di reato era sancito esclusivamente per i gravi delitti previsti dall’art. 407, co.2, lett. a), nn. 1-6 c.p.p.
[25] Secondo un’altra lettura, tale esclusione sembrerebbe irragionevole, laddove si rifletta che l’articolo 3 della legge n. 69/2019, ricomprende il medesimo art. 612-ter tra quei reati per cui la polizia giudiziaria è tenuta ad effettuare immediati atti d’indagine delegati, mettendone a disposizione del P.M. e “senza ritardo”, la relativa documentazione (nuovo comma 2-bis e 2-ter, art.370 c.p.p.).
[26] Provvedimenti previsti dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p.
[27] Si rammenta che anche la richiesta di revoca o di sostituzione della misura (sempreché essa non venga proposta in sede di interrogatorio di garanzia) “… deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio” (art.299, co.3 c.p.p.); tale obbligo informativo, introdotto dall’art.2, co. 1, lett. b), L. n. 119/13, viene associato al nuovo diritto, riconosciuto al difensore ed alla persona offesa, di poter depositare delle memorie scritte, entro i due giorni successivi alla notifica della richiesta, così garantendo la possibilità, per la vittima del reato, di instaurare un inedito contraddittorio nella fase cautelare. Per un approfondimento, sia dato rimandare a G. DI GIUSEPPE, op. cit.
Per completezza espositiva, si ricorda che la nuova legge n.69/2019 modifica anche l’art.659 c.p.p, in materia di esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza. In particolare, si prevede che il pubblico ministero, avvalendosi della polizia giudiziaria, debba dare immediata notizia, alla persona offesa ed al suo difensore, della scarcerazione del condannato.
[28] La n. 119/13, operando la modifica all’art. 281 quater c.p.p., ha anche previsto che qualora l’imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza, il responsabile del relativo servizio socio-assistenziale “ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice” ai fini della sostituzione della misura cautelare con una meno gravosa. Si è, quindi, inserito un ulteriore canale di informazione che consente al P.M. di vagliare tutte quelle situazioni in cui “le esigenze cautelari risultano attenuate” nel senso dell’art.299 co.2 c.p.p.
[29] Peraltro le condotte non erano neanche ben definite dall’ordinamento in quanto, come ampiamente
[30] Cass., V sez., n. 30455/2019.
[31] Come detto nel precedente §, si riconosceva il possibile concorso dei delitti di “atti persecutori” (art.612-bis c.p.), “diffamazione” (art. 595 co.3 c.p.) e “trattamento illecito dei dati” (art.167, d.lgs. n. 196/2003). La sentenza richiamata, altro non fa che colmare – attraverso una lettura giurisprudenziale del comportamento illecito –l’imperante esigenza di tutela penale rispetto ad un fenomeno altamente pericoloso per la vittima del reato.
[32] Cfr. nota n°14 del presente lavoro.
[33] Con tale termine si intende l’illecito utilizzo del mezzo informatico – attraverso le sue differenti forme comunicative (social network, chat, newsletters) – che si concreti in una condotta finalisticamente orientata alla «minaccia» o alla «molestia» di una persona, in modo tale da provocare uno degli eventi voluti dalla norma penale; condotta normativamente impressa nell’art.612-bis, comma secondo, codice penale.
[34] Così N.CIARDI, Direttore del Servizio Centrale Polizia Postale e delle Comunicazioni, nell’articolo on-line “Stupri virtuali, revenge porn e minacce: «In rete troppa violenza contro le donne»; in www.messagero.it; con riguardo al fenomeno del c.d. cyber-stalking – strettamente connesso a quello del c.d. revenge porn – si mette in luce anche la pericolosità delle condotte realizzate attraverso il web, come quella del Cyber-controllo, “ (..) un pedinamento virtuale che non ha limiti ed è particolarmente invasivo (..)”.
[35] Oltre alle campagne itineranti come quella di “una vita da social” che coinvolge migliaia e migliaia di studenti delle scuole medie e superiori, invitate a visitare il truck della Polizia Postale e delle Comunicazioni, numerose ed altamente qualificate sono le iniziative messe in campo sul territorio. In proposito, basti pensare che la 6^edizione della campagna “una vita da social” ha coinvolto quasi trecentocinquantamila studenti, quarantamila genitori e trentamila insegnanti di circa tremilacinquecento Istituti Scolastici (dati 2018, Riv. Polizia Moderna, 4.2019).
[36] Sarebbe stato opportuno introdurre una disposizione simile a quella dell’art. 2, Legge 29 maggio 2017, n. 71, in materia di Cyberbullismo, al fine di consentire, alla persona offesa, di richiedere al Service Provider l’immediato oscuramento, rimozione o blocco di qualsiasi dato ritenuto offensivo. Con la possibilità ulteriore, per esempio, di potersi rivolgere al Garante della Privacy in caso di inerzia, onde ottenere un oscuramento per ordine d’autorità.
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