Il problema del giudice competente nel caso di controversie relative ai medici c.d. convenzionati si è posto all’indomani dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 80/98 con il quale il Legislatore è nuovamente intervenuto “in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa”.
Prima dell’entrata in vigore di tale normativa, infatti, il problema della giurisdizione non si poneva né per i medici dipendenti né per quelli c.d. convenzionati.
Infatti, quanto ai primi, le controversie erano conosciute, ai sensi dell’art. 7, 2 comma della L. 1034/71, dal Giudice Amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Circa i medici convenzionati, invece, la Corte di Cassazione, con una giurisprudenza più che consolidata, aveva sempre riconosciuto la competenza del giudice ordinario, in veste di giudice del lavoro, sulla scorta del carattere continuativo e coordinato delle prestazioni rese da questi ultimi, il quale consentiva di ricondurre la loro attività all’art. 409, 3 comma c.p.c.
Con l’entrata in vigore del citato D. Lgs. n. 80/98 il Legislatore, al pari di un’improvvisa folata di vento, ha rimesso in discussione tutte le certezze acquisite che sembravano ormai inossidabili.
Con l’art. 29 D. Lgs. cit. ha improvvisamente menomato il Giudice Amministrativo di un’importante e congenita fetta di giurisdizione –quella relativa al pubblico impiego – trasferendola, senza batter ciglio, al Giudice del Lavoro, nell’intento di affidare le controversie di tutti i lavoratori dipendenti, siano essi pubblici che privati, allo stesso Giudice. Questa scelta è, anche, il corollario di quel processo di privatizzazione che ha colpito il pubblico impiego con il D. Lgs. n. 29/93, con il quale il Governo – dando attuazione alla legge delega 23 ottobre 1992 n. 421 – ha connotato il rapporto di lavoro pubblico in maniera sempre più simile a quello privato. Di conseguenza, oggi, le controversie dei medici dipendenti sono conosciute dal Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro.
Il problema della giurisdizione per i medici convenzionati si è posto, invece, a causa della formulazione non troppo chiara dell’art. 33, 2 comma, lett. f) del D. Lgs. n. 80/98.
Tale norma, infatti, attribuisce alla competenza del Giudice Amministrativo le controversie “riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in materia di invalidità”.
Con l’entrata in vigore della norma suddetta ci si é chiesti se il giudice competente dovesse ritenersi ancora il giudice ordinario ovvero se, con la previsione suddetta, il Legislatore non avesse, invece, voluto trasferire al giudice amministrativo la conoscenza di queste controversie.
I dubbi sono stati acuiti, in proposito, dalla sentenza n. 41/2000 delle S.U. della Corte di Cassazione.
Con questa pronuncia la Suprema Corte si é espressa in ordine ad una richiesta di risarcimento danni avanzata da medici dipendenti i quali, ai sensi degli artt. 1, comma 10, l. 23 dicembre 1996 n. 662 e 4 d. l. 20 giugno 1997 n. 175, conv. in l. 7 agosto 1997 n. 272, avevano optato per l’attività intramuraria.
La mancata attivazione da parte della A.S.L. competente dell’attività suddetta aveva impedito ai medici di potere svolgere l’attività in questione con conseguenti danni economici oltre che di carriera.
Le S.U., nel caso in esame, hanno affermato la competenza del Giudice ordinario, ai sensi dell’art. 68 del D. Lgs. n. 29/93, così come modificato dall’art. 29 del D. Lgs. n. 80/98, proprio sulla considerazione che la pretesa risarcitoria trova la causa petendi nel rapporto di lavoro subordinato.
Su questo punto nulla quaestio.
I dubbi cui si faceva riferimento poc’anzi scaturiscono, invece, dal fatto che la Cassazione, seppure con obiter, ha, poi, affermato che l’art. 33 D. Lgs. n. 80/98, attiene a controversie che: “riguardano soggetti convenzionati, ossia medici non dipendenti, strutture ospedaliere, ecc., oppure quelle tra soggetti privati (ad es. gestore convenzionato ed altro soggetto privato), con effetti rivolti alla generalità e non al singolo utente”.
Orbene, tale inciso, così poco chiaro e lapidario ha fatto sorgere legittimi interrogativi sulla sua corretta interpretazione poiché prima facie sembrerebbe riferirsi proprio ai c.d. medici convenzionati e per i quali, di conseguenza, sembrerebbe doversi affermare la giurisdizione del Giudice Amministrativo.
Tuttavia, questa interpretazione si presterebbe ad una contraddizione: per quale ragione il Legislatore, preoccupato di ricondurre ad unità in mano al Giudice Ordinario tutte le controversie, pubbliche e private, attinenti al rapporto di lavoro, dovrebbe rinunciarvi per le controversie relative ai medici c.d. convenzionati e trasferirle, quindi, al Giudice Amministrativo chiamato a conoscere, ai sensi dell’art. 33, 2 comma, lett. f) D. Lgs. n. 80/98, essenzialmente di pubblici servizi?
Orbene, le S.U. sono tornate sull’argomento e questa volta in maniera espressa hanno chiarito quanto sinteticamente affermato in obiter.
Con sentenza n. 532 del 3 agosto 2000, ancora una volta sono state chiamate a pronunciarsi su un regolamento preventivo di giurisdizione avente ad oggetto la controversia tra un medico convenzionato, addetto alla medicina dei servizi e la A.S.L., e hanno affermato la giurisdizione del Giudice ordinario in funzione di Giudice del Lavoro e l’estraneità alla fattispecie dell’art. 33, 2 comma, lett. f) del D. Lgs. n. 80/98.
In proposito, hanno richiamato la sentenza n. 71, del 30 marzo 2000, con la quale, facendo riferimento al citato art. 33, comma lett. f) le stesse hanno precisato la necessità di un’interpretazione restrittiva di questa norma, pena la riconducibilità alla stessa di controversie che solo latu sensu attengono al Servizio sanitario nazionale.
D’altra parte, ciò sarebbe confermato – continuano le S.U. – anche dalla nozione c.d. oggettiva di pubblico servizio accolta dal Legislatore del più volte citato D. Lgs. n. 80/98., la quale andrebbe intesa come quello che “si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare «direttamente» esigenze della collettività, requisito che non si verifica allorché l’attività stessa è destinata in via immediata a rifornire strutture che solo successivamente soddisfano esigenze della collettività: donde la conseguenza che la giurisdizione esclusiva ex art. 33, lettera f) del d. lgv. n. 80 del 1998 è limitata alle controversie inerenti al fatto in sé dell’erogazione del servizio sanitario pubblico, non anche alle attività che consentono l’erogazione stessa e che, quindi, rivestono soltanto rilievo strumentale ed interno”.
Sulla base di questi presupposti le S.U. fanno discendere come logica conseguenza la giurisdizione del Giudice Ordinario poiché i rapporti a convenzione con i medici liberi professionisti, pur esulando dall’ambito del pubblico impiego, costituiscono “…pur sempre negozi di rilevanza interna e strumentale, destinati a consentire all’ente stesso la provvista di mezzi necessari per lo svolgimento della sua attività…”.
Tali affermazioni sono state nuovamente ribadite con la recente sentenza n. 1241, del 7 dicembre 2000, con la quale le S.U. sono state chiamate a pronunciarsi su una controversia promossa da un medico convenzionato c.d. esterno, proprietario, cioè, di una struttura legata alla A.S.L. da un rapporto di accreditamento provvisorio. La Suprema Corte richiamando, ancora una volta, i principi affermati con la sentenza n. 71, del 30 marzo 2000, nonché con quella n. 72/2000, ha precisato che questi costituiscono “le linee generali dell’interpretazione delle suddette (nuove) disposizioni di legge (art. 33, 2 comma, lett. f) D. Lgs. n. 80/98 n.d.r.)”. Di conseguenza, quanto alla convenzione stipulata nell’ambito del Servizio sanitario nazionale tra una A.S.L. ed un medico libero professionista, le S.U. hanno asserito che: “Tale convenzione, pur non consentendo l’inserimento del medico nella struttura organizzativa dell’ente gestore del servizio con vincolo di dipendenza – perché trattasi di un rapporto di c.d. parasubordinazione – tuttavia integra un negozio avente rilevanza meramente interna e strumentale, l’attività del medico essendo solamente rivolta a permettere all’ente lo svolgimento del pubblico servizio. Ne deriva che la controversia, avente per oggetto l’adempimento delle obbligazioni nascenti dalla convenzione, non può essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo perché non attiene ad ” attività e a prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale”.
Da qui, si fa discendere la conferma dell’indirizzo giurisprudenziale con il quale le stesse, ormai da vari anni, hanno affermato che: “il rapporto c.d. convenzionale instaurato tra un medico libero professionista e un ente preposto all’assistenza familiare ha natura privatistica di rapporto di prestazione d’opera professionale, esercitata con i caratteri della continuità e della coordinazione. Pertanto, in relazione a tale rapporto, poiché l’ente pubblico opera nell’ambito esclusivo del diritto privato – senza essere titolare di alcun potere autoritativo (al di fuori di quello di sorveglianza) e senza poter incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti per il professionista dal suddetto rapporto – le iniziative ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi regolatori dell’esercizio della privata autonomia, con la conseguenza che la controversia con la quale il medico lamenti la lesione di proprie posizioni giuridiche soggettive appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che tale giurisdizione trovi deroga per il fatto che possa venire in discussione la legittimità di atti o provvedimenti amministrativi dell’ente, riguardo ai quali spetta all’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 all. E, il potere di sindacarne la legittimità ed eventualmente di disapplicarli”.
Le S.U. hanno precisato, infine, la persistente validità di codesti principi sia dopo la sentenza n. 292, del 17 luglio 2000, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, degli artt. 33 34 e 35 del D. Lgs. n. 80/98, che dopo l’intervento lampo del Legislatore il quale, con l’art. 7 della legge n. 205 del 21 luglio 2000 ha consentito la loro rinascita.
In ordine alle pronunce in esame, va, anzitutto, sottolineata la differenza tra le fattispecie sottoposte all’attenzione delle S.U. Nel caso preso in esame dalla sentenza n. 532/2000 viene in rilievo un’ipotesi di convenzionamento c.d. interno, nel senso che il medico convenzionato con la A.S.L. e addetto alla medicina dei servizi opera all’interno della struttura pubblica. Al contrario, con la sentenza n. 1241/2000 la controversia riguarda un medico convenzionato c.d. esterno proprietario di una struttura privata legata alla A.S.L. da un rapporto di accreditamento provvisorio.
La distinzione posta non é un sofisma, al contrario, costituisce un ineliminabile punto di partenza per analizzare in maniera approfondita le conseguenze che dalle stesse discendono in ordine alla giurisdizione.
Solitamente, quando si parla di medici convenzionati si fa riferimento ai medici liberi professionisti privati, proprietari di studi professionali i quali sono legati alla A.S.L. da un rapporto a convenzione, (oggi di accreditamento ex art. 8 D. Lgs. n. 502/92 n.d.r.). É la sussistenza di questo rapporto di accreditamento che consente agli assistiti, nel rispetto del principio di libera scelta del medico, di rivolgersi – invece che alla struttura pubblica – a questi medici c.d. convenzionati, i quali verranno, poi, remunerati dalla A.S.L. in base al numero di prestazioni rese e secondo il costo del c.d. ticket.
Questi medici, oltre a svolgere un’ attività per conto del S.S.N., svolgono al tempo stesso anche attività privata. Ciò avviene tutte le volte in cui i pazienti non sono muniti della c.d. impegnativa, (che garantisce il rimborso dalla A.S.L.) ma pagano per intero il prezzo della prestazione resa.
La loro attività di questi medici è, dunque, distinta, ma parallela al tempo stesso, a quella svolta dalla A.S.L.. È il caso, per esempio, dei medici specialisti radiologi, ginecologi, oculisti ecc. i quali sono liberi professionisti ed esercitano la loro attività in assoluta autonomia; si tratta, precisamente, di lavoratori autonomi a tutti gli effetti.
Quando si parla di medici a convenzione ci si riferisce, tuttavia, anche ai medici specialisti i quali, invece, operano esclusivamente per la A.S.L., la cui attività, cioè, è svolta per conto ed all’interno della struttura pubblica.
Si tratta, di professionisti cui la A.S.L. – stante la carenza di propri dipendenti – è costretta a rivolgersi (con le modalità della convenzione n.d.r.) per assolvere i propri servizi.
Sono quei medici specialisti (oculisti, neurologi, fisiatri, ecc.) che operano presso le strutture della A.S.L., e che gli assistiti trovano a disposizione nel caso in cui per curarsi scelgano la struttura pubblica. In questo caso – ed é quello che si vuole sottolineare – questi medici agiscono come longa manus della A.S.L. in virtù di un rapporto di immedesimazione organica.
Si tratta di medici che, a differenza di quelli privati di cui si è detto, svolgono la loro attività esclusivamente per l’ente di appartenenza, che, quindi, rappresentano nel momento in cui prestano l’attività lavorativa.
Tant’è che anche la loro remunerazione é diversa, infatti, vengono retribuiti non per la singola prestazione resa ma, mensilmente, con uno statino paga, una parte della loro remunerazione è destinata alla previdenza, sono tenuti a rispettare gli orari di lavoro, nel caso di assenza dal lavoro per malattia, subiscono il controllo del medico dell’I.N.P.S., sono cioè legati alla A.S.L. da un rapporto di c.d. parasubordinazione ex art. 409 n. 3 c.p.c.
Posta questa distinzione si può passare ad analizzare il problema della giurisdizione alla luce dell’art. 33, 2 comma, lett. f) del D. Lgs. n. 80/98, così come riformulato oggi dall’art. 7 della L. 205/2000.
Quanto ai medici convenzionati c.d. interni, è proprio la natura del rapporto che li lega alla A.S.L. che, avvicinandoli fino alla completa sovrapposizione ai medici dipendenti tranne che per la fonte del rapporto di lavoro, giustifica, senz’altro, la competenza del Giudice ordinario, in funzione di Giudice del lavoro.
Tale conclusione trova conferma nella fattispecie esaminata e nei principi affermati dalla Cassazione con la sentenza n. 532/2000.
Per quanto riguarda, invece, i medici convenzionati c.d. esterni – alla luce dell’attività svolta da questi ultimi e, in conformità ai principi enunciati dalle S.U. della Corte di Cassazione – si dovrebbe affermare la giurisdizione del Giudice Amministrativo, ai sensi dell’art. 7 della L. 205/2000 il quale ha riformulato nell’art. 33, 2 comma, lett. e) il vecchio art. 33, 2 comma , lett. f) del D. Lgs. n. 80/98.
Tuttavia, in merito sorgono dei problemi proprio a seguito di quanto affermato dalle S.U. con la sentenza n. 1241/2000, relativa ad una controversia promossa da un medico convenzionato c.d. esterno.
La Suprema Corte riafferma, come già detto, principi enunciati in riferimento a medici convenzionati c.d. interni, ma finisce per applicarli, poi, anche ad un medico convenzionato c.d. esterno compresa la conseguente cognizione del Giudice Ordinario.
A questo punto i dubbi interpretativi, purtroppo, si ripresentano e forse si moltiplicano: le S.U. hanno, intenzionalmente, ritenuto di attribuire anche in questo caso la cognizione al Giudice Ordinario? Se così fosse, in che termini spiegare il contrasto emergente dalla motivazione?
O forse, in ossequio al principio che errare humanum est, si dovrebbe ritenere che si é trattata di una valutazione fondata su un errore sulla persona (si é ritenuto, cioè, che si trattava di un medico interno e non esterno n.d.r.) e, di conseguenza, e coerentemente le S.U. non hanno fatto altro che confermare quanto già espresso con la precedente pronuncia?
A questo punto non può che dirsi: peccato! Si, peccato per l’opportunità persa, perché una pronuncia chiara anche in ordine ai medici convenzionati c.d. esterni avrebbe definitivamente eliminato ogni dubbio tranquillizzando gli operatori del diritto che avrebbero avuto la certezza, gli avvocati di proporre le controversie innanzi al Giudice effettivamente competente, e i Giudici di affermare o meno la propria giurisdizione su basi certe.
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