precedenti giurisprudenziali: Cass. pen., Sez. 3, Sentenza n. 23800 del 27/3/2019; Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 2347 del 20/01/2016; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12599 del 22/5/2013; Trib. Milano, Sez. pen., sentenza n. 10343 del 24/9/2018.
La vicenda
Un amministratore di condominio è imputato del reato di appropriazione indebita aggravata commessa ai danni di un caseggiato che amministrava.
Il reato è divenuto procedibile a querela in forza del D.Lgs. n. 36/2018.
L’art. 10 del D.Lgs. 36/18 ha infatti abrogato il terzo comma dell’art. 646 c.p., che prevedeva la procedibilità d’ufficio per il reato di appropriazione indebita nel caso in cui ricorresse l’aggravante dell’art. 61 n. 11 c.p., cioè l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità.
Tale provvedimento, entrato in vigore il 9 maggio 2018, trasforma quindi alcuni reati da procedibili d’ufficio a procedibili a sola querela di parte.
Sono entrate in vigore anche le disposizioni transitorie di rimessione in termini (articolo 12 del Dlgs n. 36 del 2018) che permettono alle persone offese dal reato di presentare querela, qualora non l’avessero già fatto: il nuovo termine è di 3 mesi e decorre dalla notifica alle parti della comunicazione della cancelleria del Tribunale.
Alla luce di quanto sopra il Tribunale ha disposto che le parti in causa, cioè i condomini, fossero informati della facoltà di esercitare il diritto di querela nei termini dei tre mesi.
Del resto il reato contestato era quello previsto dall’articolo 646 c.p. che punisce, appunto «a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro, chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso».
A seguito della comunicazione del Tribunale, tempestivamente il nuovo amministratore del condominio presentava querela, ma l’atto veniva considerato dal giudice inesistente, poiché l’amministratore risultava privo del relativo potere in assenza di un’espressa autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale.
Il giudice monocratico ha notato come il condominio degli edifici non sia un soggetto giuridico dotato di una personalità distinta da quella dei suoi partecipanti ma uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini; di conseguenza la volontà di presentare querela per un fatto lesivo di uno di questi interessi comuni deve esprimersi attraverso tale strumento di gestione collegiale.
La questione
La presentazione di una querela per reati commessi ai danni dei condomini rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio spettanti per legge all’amministratore di condominio?
La soluzione
La querela presentata dal nuovo amministratore, è stata considerata dal Tribunale inesistente poiché l’amministratore risultava privo del relativo potere in assenza di una espressa autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale.
Il giudice monocratico ha notato come il condominio degli edifici non sia un soggetto giuridico dotato di una personalità distinta da quella dei suoi partecipanti ma uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini; di conseguenza la volontà di presentare querela per un fatto lesivo di uno di questi interessi comuni deve esprimersi attraverso tale strumento di gestione collegiale.
In altre parole si è notato che l’amministratore esplica, come mandatario dei condomini, soltanto le funzioni esecutive, amministrative, di gestione e di tutela dei beni e servizi a lui attribuite dalla legge, dal regolamento di condominio o dall’assemblea, ex artt. 1130 e 1131, comma 1, cod. civ. ed esclusivamente nell’ambito di queste ha la rappresentanza dei condomini e può agire in giudizio. Anche quando concerne un fatto lesivo del patrimonio condominiale, la querela non rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
Le riflessioni conclusive
Il fondamento della previsione della procedibilità a querela della persona offesa è tradizionalmente ricondotto, nelle diverse concezioni proposte, ai due ambiti della verifica di un’effettiva offensività del reato, rimessa in determinati casi al giudizio del soggetto passivo (la vittima), o del rispetto della sfera privata della parte offesa nel perseguimento di taluni illeciti penali.
Ognuna di queste dimensioni presuppone l’attribuzione alla persona offesa di valutazioni e scelte di particolare impegno e complessità.
Nel caso che la vittima del reato sia un soggetto collettivo quale è il condominio di un edificio, la presentazione della querela riguarda necessariamente la totalità dei componenti nella sua espressione istituzionale, rappresentata dall’assemblea.
Laddove è prevista la procedibilità a querela della persona offesa, si lascia infatti a quest’ultima una valutazione di particolare impegno e complessità.
È vero, infatti, che quando la vittima del reato non è un singolo ma una “comunità”, è necessaria una piena e completa deliberazione da parte del soggetto passivo nella sua interezza. Decisione che, nel caso del condominio, può essere presa soltanto dell’assemblea, vale a dire l’organismo che rappresenta istituzionalmente la totalità dei componenti.
In primo luogo, quindi, si deve escludere che il singolo condomino possa esercitare una facoltà di questo genere con riferimento alla propria quota millesimale delle parti comuni dell’edificio.
Così quando la violazione di domicilio riguarda una parte comune dell’edificio, il singolo condominio non è legittimato a presentare la querela.
Di conseguenza è stata annullata la condanna a due mesi di reclusione contro un malintenzionato che si era introdotto di nascosto nel sottoscala di un fabbricato: l’azione penale non poteva essere esercitata perché non era valida la querela presentata dal condomino che aveva sorpreso “l’intruso” nei locali di proprietà comune.
È infatti escluso che il singolo proprietario dell’appartamento sia legittimato ad agire grazie alla titolarità delle quote millesimali: non è possibile alcuna applicazione “frazionata”, rispetto all’oggetto del reato, della facoltà di aprire un giudizio penale (Cass. pen., sez. V, 26/11/2010, n. 6197).
Ciò premesso bisogna considerare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il condominio negli edifici non è un soggetto giuridico dotato di una personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, ma uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini, attraverso il quale deve esprimersi la volontà di sporgere querela; ne consegue che la presentazione di quest’ultima in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio condominiale presuppone uno specifico incarico conferito all’amministratore dall’assemblea dei condomini (così, tra le tante, Cass. pen., sez. VI, 20/01/2016, n. 2347; Cass. civ., sez. II, 22/05/2013, n. 12599; Cass. pen., sez. II, 05/01/2001, n. 3031).
In altre parole, anche quando riguarda un fatto lesivo del patrimonio condominiale, la querela non rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio e, poiché costituisce un presupposto della validità dell’azione penale e non un mezzo di cautela processuale o sostanziale e il relativo diritto compete in via strettamente personale alla persona offesa dal reato, deve escludersi che – in assenza dello speciale mandato – tale diritto possa essere esercitato da un soggetto diverso dal suo titolare.
Quand’anche l’amministratore sporgesse una querela (e non una semplice denuncia), in assenza della necessaria autorizzazione del condominio, la stessa non varrebbe pertanto ad integrare la condizione di procedibilità occorrente in relazione al reato procedibile a querela.
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