(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 54)
Il fatto
La Corte di appello di Firenze confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia il 13 luglio 2016, che a sua volta aveva affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di appropriazione indebita.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi: a) violazione di legge e vizio di motivazione poiché la Corte aveva ricostruito la vicenda anche sulla base delle dichiarazioni dell’imputato il quale aveva ammesso di avere trattenuto la somma ottenuta per la vendita del bracciale della persona offesa ma aveva spiegato di avere avuto necessità di destinare il denaro ricavato alla cura di una grave patologia sicché poteva ritenersi applicabile, quantomeno in via putativa, la scriminante dello stato di necessità; b) vizio di motivazione poiché l’imputato per le sue precarie condizioni di salute appariva meritevole della concessione delle attenuanti generiche.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
Si osservava a tal proposito come fosse noto che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per riconoscere in favore dell’imputato una scriminante incombe su quest’ultimo fermo restando che, da un lato, l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti (Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016 – dep. 29/08/2016), dall’altro che, in tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato (Sez. 6, n. 4114 del 14/12/2016 – dep. 27/01/2017).
Orbene, declinando tali principi di diritto rispetto al caso in questione, gli ermellini facevano presente che se il collegio di secondo grado aveva rilevato che, dalla documentazione medica prodotta dalla difesa, risultavano esclusivamente esami svolti in strutture mediche pubbliche e prescrizioni con l’indicazione di esenzione del pagamento ticket sicché l’invocato stato di necessità, legato alle presunte spese sostenute in relazione alla propria patologia, non poteva ritenersi sussistente neanche in via putativa in quanto non era stata data neppure dimostrazione delle asserite spese sostenute in relazione alla malattia dell’imputato, il ricorrente, dal canto suo, non si era confrontato con questa specifica argomentazione essendosi limitato a reiterare pedissequamente le medesime censure già formulate con l’atto di appello senza confrontarsi con le argomentazioni rese dalla Corte territoriale che aveva fornito al riguardo esaustive e corrette risposte.
In ordine al secondo motivo di ricorso, la Cassazione rammentava che se in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 – dep. 22/09/2017), la Corte di appello, nel caso in esame, aveva affermato come la scarna documentazione sanitaria in atti non consentisse di apprezzare la gravità della patologia dell’imputato e la sua influenza sulla commissione del reato, anche in relazione al tempus commissi delictì, e avesse correttamente escluso che la patologia del B. potesse ritenersi automaticamente idonea al riconoscimento delle attenuanti generiche trattandosi, ad avviso della Corte, di una motivazione congrua e non manifestamente illogica rappresentativa della discrezionalità del giudice di merito e, pertanto, in quanto tale, non sindacabile in sede di legittimità ordinaria.
Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente condivisibile.
In tale decisione, difatti, avvalendosi di quanto già postulato dalla Cassazione nel passato, è stato affermato che l’esimente dello stato di necessità non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti rilevandosi al contempo che l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.
Tal che ne discende che lo stato di bisogno economico non è sufficiente di per sé per potersi invocare questa scriminante essendo invece necessario che si provi che non si poteva evitare tale stato attraverso la commissione di comportamenti penalmente irrilevanti fermo restando che, nel caso di stato di necessità putativa, l’erronea supposizione, in ordine alla configurabilità di questa causa di liceità, deve fondarsi su elementi di fatto tangibili atti a comprovare siffatta erronea supposizione.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale pronuncia, proprio perché chiarisce compiutamente ambedue tali tematiche giuridiche, di conseguenza, non può che essere positivo.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento