MODALITÁ DI PRODUZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE. NEL T.U. DI SEMPLIFICAZIONE.

Redazione 02/02/01
Margherita Rubino
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Con il T.U. sulla semplificazione, l’evoluzione legislativa della materia giunge al termine di un lungo e tortuoso percorso iniziato con la L. 15/68, proseguito con la L. 241/90 (artt. 18 e 30) e con il recente D.P.R. 403/1998.
L’intento principale del legislatore è quello di ricomprendere in un testo organico e onnicomprensivo la normativa previgente, ma il decreto non ha solo valore compilatorio perché introduce alcune rilevanti innovazioni in recepimento delle osservazioni avanzate dalla dottrina e dagli operatori.
Per ben comprendere la portata del T.U. se ne deve evidenziare il particolare “valore” normativo.
L’art. 2 comma 1 del D.P.R. 403/98 stabiliva che le norme regolamentari si applicavano fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge.
L’interpretazione prevalente della norma, tuttavia, era stata quella di attribuire significato di eccezione alla semplice previsione della produzione di documentazione o certificazione contenuta in una legge (confr. Art. 17 L. 68/99, art. 13 L. 53/2000 ecc.).
La semplificazione, invece, dovrebbe operare proprio nei casi in cui una norma o la P.A. richiedano certificati ed atti notori, permettendo all’interessato di produrre in sostituzione proprie dichiarazioni.
L’art. 47 del T.U. contiene una disposizione analoga, ma è evidente che essa da sola non è in grado di impedire il fiorire di eccezioni alle regole di semplificazione, così come era accaduto in passato.
A porre rimedio provvede la L. 50/99 “legge di semplificazione 1998” di cui il T.U. costituisce attuazione.
L’art. 7 della legge detta le regole da seguire nell’emanazione dei testi unici e, al comma 6, stabilisce che le disposizioni contenute in un testo unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito, mediante l’indicazione precisa delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
Dunque, il legislatore ha inteso attribuire alle norme contenute nel T.U. valore di principi generali validi anche per le richieste documentali contenute in leggi successive anche di rango superiore, salve le eccezioni espressamente previste che, per essere tali, devono indicare in modo esplicito la fonte che intendono derogare.
L’entrata in vigore della nuova disciplina, perciò, dovrebbe limitare le eccezioni alle regole di semplificazione: gli operatori ed i cittadini sapranno di poter accettare/produrre dichiarazioni sostitutive in luogo dei certificati qualunque sia la terminologia usata dal legislatore.
La speranza è che se ne ricordino anche i ministeri chiamati ad emanare le circolari esplicative delle nuove leggi.

PRINCIPALI INNOVAZIONI

1. MODALITÁ DI PRESENTAZIONE DELLE ISTANZE (e dichiarazioni sostitutive di atto notorio)
Il T.U. ha voluto dettare una regola chiara eliminando i dubbi che si erano avuti in passato cui, talvolta, erano conseguite prassi non corrette.

Ripercorriamo brevemente quanto disponeva la disciplina ora abrogata per comprendere meglio le nuove disposizioni del T.U.
Secondo la pregressa normativa le istanze erano di regola a firma semplice. Richiedevano l’autentica o, in alternativa, le modalità ad essa sostitutive (previste dalla L. 127/97 come riformata sul punto dalla L. 191/98) solo ove l’autentica era prescritta, prevista dalla legge (art. 20 L. 15/68 ora abrogato).

Il nuovo sistema delineato dagli artt. 21 e 38 del T.U. prevede:

A) l’eliminazione dal nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’autentica della sottoscrizione salvo che l’istanza sia presentata a soggetti diversi dalla P.A./ gestori di pubblici servizi, vale a dire a soggetti privati, o consista in una delega a terzi per la riscossione di benefici economici presso una P.A. (art. 21).
L’autenticità della sottoscrizione è ora garantita con le modalità di cui all’art. 38.
In tali casi è da ritenere, secondo le conclusioni cui si era giunti vigente la pregressa disciplina, che il pubblico ufficiale non solo non sia tenuto a procedervi, ma addirittura che non sia legittimato a farlo.
È interessante rilevare che sul punto il T.U. realizza una vera rivoluzione copernicana.
Vigente la L. 15/68, infatti, il funzionario non poteva procedere ad autentica delle istante destinate ai privati (occorreva il notaio).
Secondo il disposto dell’art. 21 comma 2 del T.U., al contrario, egli risulta legittimato, oltre che per le deleghe alla riscossione di benefici economici presso la P.A., per le istanze (e dichiarazioni sostitutive) rivolte ai privati sempre che costoro non decidano di utilizzare gli strumenti di semplificazione.
E’ evidente che l’innovazione – che modifica lo stesso concetto di istanza, non più solo domanda rivolta alla P.A. finalizzata all’emanazione di un provvedimento amministrativo – può determinare conseguenze di segno opposto alle finalità proprie della semplificazione.
Il funzionario pubblico potrà essere richiesto di autenticare istanze e dichiarazioni sostitutive rivolte ai privati, senza neppure potersi opporre la limitazione, contenuta nell’ormai abrogata L. 15/68, della necessaria prescrizione dell’autentica in norma di legge.
Potremmo così assistere ad una nuova massiccia richiesta di autenticazioni di atti da produrre a privati con conseguente nuovo intasamento degli uffici pubblici competenti.

B) Che l’istanza debba essere sempre presentata secondo le seguenti modalità (art. 38 T.U.):

sottoscritta dell’interessato in presenza del dipendente addetto.
Anche se non precisato, in tal caso il dipendente è tenuto ad accertate l’identità del sottoscrittore (ma non a conservare copia del documento di riconoscimento, come prescritto dall’art. 45 per l’acquisizione di dati mediante esibizione);

sottoscritta e presentata unitamente a copia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia del documento è inserita nel fascicolo.
Secondo quanto in precedenza evidenziato dalla funzione pubblica, è ammissibile che l’istanza sia presentata da un terzo munito di fotocopia del documento di riconoscimento del dichiarante.
La ratio è nel fatto che fornire ad un terzo la fotocopia del proprio documento equivale, in buona sostanza, a dargli delega.
Le istanze e la copia del documento possono essere anche inviate, oltre che per posta:
per via telematica. Via e-mail.
Come si è giustamente fatto notare, la possibilità di utilizzare tale sistema richiede che il cittadino disponga di uno scanner per poter riprodurre il documento. È un costo aggiuntivo che penalizza.
per fax (art. 38 comma 1).
È positivo che sia stato espressamente previsto questo sistema d’invio delle istanze, della cui ammissibilità in passato si poteva dubitare: l’ufficio, infatti, riceveva solo una copia non autenticata senza che l’eccezione alla regola generale della necessità dell’autentica della copia medesima fosse stata espressamente sancita (v. sub 8).
L’uso del fax era ricompreso nell’ambito dell’invio telematico, ma questo sistema di trasmissione poteva, e può, essere utilizzato solo ove vi sia certezza in ordine alla fonte di provenienza (confr. art. 43 comma 6 e successivo punto c).
L’espressa previsione dell’art. 38 comma 1, pertanto, consente di legittimare definitivamente l’uso del fax anche da parte dei privati.

c) le istanze inviate per via telematica sono validamente sottoscritte mediante la firma digitale o quando il sottoscrittore sia identificato dal sistema informatico con l’uso della carta d’identità elettronica (art. 38 comma 2).
È una modalità di presentazione nuova introdotta dal T.U. destinata, in futuro, a soppiantare gli altri mezzi di presentazione delle istanze.

La nuova regola ha il pregio di uniformare le procedure così che non è più necessario chiedersi se l’istanza sia soggetta o meno ad autentica al fine di individuarne le modalità di presentazione.
Tuttavia la scelta del legislatore lascia perplessi perché per l’istanza, rispetto alla regola generale (semplice sottoscrizione) che trovava applicazione salvo eccezioni, rappresenta un aggravio di formalità e non una semplificazione.

2. SOGGETTI

L’art. 2 estende in via generale, ed una volta per tutte, le regole sulle modalità di produzione di atti e documenti ai gestori di pubblici servizi.

La novità di maggior rilievo riguarda i privati cui è estesa la disciplina sulle modalità di produzione di atti e documenti, ove vi consentano; nonché le norme concernenti i documenti informatici e la firma digitale (art. 2 comma 1).
In realtà le regole di semplificazione relative alle modalità di produzione di atti e documenti sono state già estese dalla L. 340/2000 “legge di semplificazione 1999”.
Sarà così possibile che banche, assicurazioni ecc. non richiedano più la produzione di certificati o l’autenticazione di firme ai loro utenti.
È da dire che la reale portata dell’innovazione è tutta da dimostrare: i privati infatti sono solo facoltizzati all’uso di tali strumenti.
Ora, se il consenso del cittadino utente è in larga parte scontato (perché mai dovrebbe preferire presentare un certificato in luogo di una dichiarazione sostitutiva?), non altrettanto si può dire per i soggetti che tali dichiarazioni dovrebbero ricevere.
Infatti, al fine di disciplinare le modalità di verifica delle autocertificazioni ricevute (che comunque non possono consistere nell’accesso diretto agli archivi pubblici. Confr. art. 71 comma 4 in rapporto all’art. 43), è stabilito che i privati stipulino convenzioni con le P.A. certificanti.
Tali convenzioni potrebbero essere onerose, giacché l’art. 43 comma 4 impone la gratuità solo per gli accertamenti d’ufficio/controlli operati da altre P.A., ed è presumibile che lo siano anche allo scopo di calmierare le richieste di controllo che potrebbero essere rilevantissime in quanto per i privati non opera la previsione che limita l’accertamento ad un campione delle dichiarazioni ricevute.
In altre parole, non si comprende perché i soggetti privati dovrebbero decidersi ad applicare gli strumenti di semplificazione addossandosi un onere economico che attualmente ricade sul cittadino. Ciò tanto più ora che, con l’art. 21 comma 2, possono richiedere l’autentica delle sottoscrizioni delle istanze o dichiarazioni con costi per i loro utenti minori rispetto al passato giacché non è più necessario rivolgersi ad un notaio.

3. DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI ATTO NOTORIO E DI CERTIFICAZIONE.

Tradizionalmente la dichiarazione sostitutiva di atto notorio è la dichiarazione con cui l’interessato dichiara fatti stati o qualità personali che siano a sua diretta conoscenza, ma non documentabili a mezzo di certificazioni.
Il concetto è ora più ampio giacché l’art. 47 comma 2, accogliendo le conclusioni cui si era giunti già vigenti la pregressa disciplina, stabilisce che deve utilizzarsi la dichiarazione sostitutiva di atto notorio anche per attestare stati, fatti e qualità personali certificabili dalla P.A. nel caso in cui siano relativi a terze persone.
Così una stessa situazione può formare oggetto di autocertificazione o di dichiarazione sostitutiva di atto notorio a seconda che sia relativa alla persona del dichiarante o a soggetto terzo. Ad es., la situazione reddituale, pur prevista dall’art. 46 del T.U., rientra nell’ambito dell’autocertificazione se è quella relativa al dichiarante, se invece si estende ad altri componenti il nucleo familiare, per il reddito di tali ulteriori soggetti la dichiarazione dell’interessato avrà natura di dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
In tal modo si è voluto semplificare tutte quelle procedure, ad es. l’attribuzione di sovvenzioni economiche, che richiedono la documentazione di situazioni anche di soggetti legati da vincoli di parentela o comunque di convivenza con il dichiarante e che altrimenti sarebbero rimaste escluse dalle procedure che si esaminano.
In tali ipotesi risulta particolarmente utile la predisposizione di un modulo unico che contenga entrambi i tipi di autodichiarazione.

Il T.U. prevede anche un caso di dichiarazione sostitutiva di atto notorio che non riguarda stati, fatti o qualità personali.
Ex art. 19 infatti essa può anche essere utilizzata per dichiarare la conformità di copia di atti conservati o rilasciati da una P.A. o di pubblicazioni.

In ogni caso le dichiarazioni sostitutive, anche ove riguardino situazioni di soggetti terzi, devono essere rese nell’interesse del dichiarante.
Tale principio risponde ad elementari esigenze di certezza del diritto (ciascuno è titolare esclusivo della propria sfera giuridica salvo espresse limitazioni di legge) e di rispetto della altrui privacy.
Il T.U. introduce, però, una deroga espressa con l’art. 4 comma 2 di cui si tratterà in seguito (v. sub 4).

Quanto alle autocertificazioni.
L’art. 46 comma 2 riproduce le situazioni autocertificabili contenute nell’art. 2 L. 15/68 (richiamato dal D.P.R. 403/98) e quelle aggiuntive elencate nell’art. 1 D.P.R. 403/98 con alcune modifiche. Alcune di queste costituiscono solo una razionalizzazione dell’elencazione, altre invece rappresentano vere novità. In particolare:
sono state aggiunte tra le situazioni autocertificabili l’appartenenza agli ordini professionali (lett. j), lo stato libero (lett. e), il godimento dei diritti civili (lett. d);
sono state eliminate due situazioni non certificabili dalla P.A.: qualità di casalinga (art. 1 lett. c del .P.R. 403/98) e iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo (art. 1 lett. e del .P.R. 403/98).
Quest’ultima novità è particolarmente significativa.
L’Autocertificazione si riappropria della natura giuridica sua propria e torna ad essere la dichiarazione utilizzabile per sostituire solo dati certificabili dalla P.A..

Inoltre, in tal modo si elimina uno degli argomenti più rilevanti addotti a sostegno della pretesa tassatività delle situazioni autocertificabili, che attribuiva un significato fuorviante anche alla natura residuale delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio (attuale art. 47): se le situazioni oggetto di autocertificazione attengono anche a dati non certificabili dalla P.A., risulta rafforzata l’idea che l’elencazione di tali situazioni costituisca un numerus clausus.
In altre parole, è ora più agevole affermare che tutto ciò che è certificabile dalla P.A. è automaticamente autocertificabile, salvo divieto di legge: in tal senso il combinato disposto dell’art. 46 lett. i), previsione che già da sola vale ad affermare la sostituibilità di qualunque certificato, e dell’art. 49 che contiene l’elencazione, questa sì tassativa, dei certificati che non possono essere oggetto di autocertificazione.
È un importante affermazione di principio anche se priva di grande rilevanza pratica perché incide esclusivamente sulla classificazione delle dichiarazioni sostitutive e non anche sulla loro stessa ammissibilità.
Le conseguenze, quindi, restano circoscritte alle modalità di presentazione, anch’esse oggetto di un’innovazione che indirettamente finisce per ridurre ulteriormente le differenze concrete tra i due tipi di dichiarazione.
Come detto, infatti, il T.U. ha imposto la sottoscrizione in presenza del dipendente addetto o l’invio unitamente alla copia fotostatica del documento di riconoscimento – vale a dire quelle formalità in passato previste solo in sostituzione dell’autentica di firma – non soltanto per le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ma anche per le istanze ( v. sub 1).
La mera sottoscrizione del dichiarante è ora limitata alle sole autocertificazioni. Ne consegue per tali ultime dichiarazioni che:

a) se l’interessato consegna l’autocertificazione personalmente, il dipendente addetto a ricevere la documentazione non è tenuto ad accertare l’identità personale del dichiarante, non dovendo tale sottoscrizione essere apposta in sua presenza;
b) di per sé, l’autocertificazione non richiede di allegare la fotocopia del documento di riconoscimento neanche ove sia presentata da un terzo o sia inviata per posta, per via telematica o fax.

Tuttavia, poiché le dichiarazioni si inseriscono in un procedimento, sono strumentali ad un’istanza, le formalità richieste per quest’ultima si “imporranno” su quelle necessarie per le connesse dichiarazioni anche ove per queste ultime le formalità previste siano minori, com’è per l’autocertificazione.
Di fatto, dunque, l’autocertificazione conserva autonomo rilievo solo nel caso in cui essa non venga consegnata contestualmente all’istanza (e non si accompagni ad una dichiarazione sostitutiva di atto notorio).

4. PERSONA CHE NON SA O NON PUÓ FIRMARE
L’art. 4 comma 1 del T.U. detta le formalità per raccogliere la sottoscrizione di chi non sa o non può sottoscrivere.

Il dipendente addetto accerta l’identità del dichiarante (anche nel caso di autocertificazione), attesta che la dichiarazione è stata a lui resa dall’interessato e fa menzione della causa di impedimento a sottoscrivere.

È necessario precisare che la norma trova applicazione nei casi di analfabetismo o impedimento fisico alla sottoscrizione.
Per l’impedimento “mentale” è, invece, applicabile l’art. 5 nel caso di incapacità legale.

Tuttavia sul punto è interessante esaminare l’art. 4 comma 2.
La norma, che introduce una rilevante novità, stabilisce che ove l’interessato si trovi in una situazione di impedimento temporaneo, per ragioni connesse allo stato di salute, la dichiarazione nel suo interesse è sostituita dalla dichiarazione, contenete espressa indicazione dell’esistenza dell’impedimento, resa dal coniuge o, in sua assenza, dai figli o, in mancanza di questi, da altro parente in linea retta o collaterale fino al terzo grado, resa al pubblico ufficiale, previo accertamento dell’identità del dichiarante (sostituto).
Si tratta di un’eccezione (l’unica) al principio secondo cui le dichiarazioni sostitutive, anche ove riguardino situazioni altrui, devono essere rese nell’interesse proprio: del dichiarante.
Come già accennato in altra parte, tale principio risponde ad elementari esigenze di certezza del diritto e di rispetto della altrui privacy.

La specifica previsione del comma 2 non è di facile interpretazione.
Se, infatti, l’impedimento temporaneo per ragioni connesse allo stato di salute è riferito all’impossibilità di firmare, come dovrebbe giacché di questo si occupa complessivamente l’art. 4, la previsione derogatoria del comma 2 può apparire ingiustificata perché l’ipotesi disciplinata sarebbe già ricompresa in quella ben più ampia del comma 1: nel caso di chi non può firmare. Tra le due ipotesi vi è un rapporto di genus a species.
Per dare autonoma rilevanza alla disposizione, allora, l’impedimento temporaneo potrebbe intendersi riferito all’impossibilità dell’interessato di recarsi di persona presso l’ufficio pubblico per assolvere le formalità stabilite dal comma 1.
In sostanza, così interpretata la norma consentirebbe di non ricorrere necessariamente ad un notaio.
Se questo è vero – ma perché allora dare rilevanza al solo impedimento temporaneo? – sarebbe stato forse preferibile stabilire che in tali casi la P.A. debba/possa assicurare il servizio domiciliare, come d’altronde accade in diverse realtà locali.

Non dovrebbero esservi altre possibilità di interpretazione: in particolare, si ribadisce che l’art. 4 dove essere riferito al solo impedimento fisico e non a quello giuridico, causato da uno stato di incapacità sia pure non legalmente dichiarata (incapacità naturale = art. 428 c.c.).
In tale ultima ipotesi il dipendente dovrebbe rifiutare di ricevere la sottoscrizione.
Il pubblico ufficiale, infatti, non può accettare la dichiarazione di chi non è in grado di comprendere le proprie azioni.

Invece, pare proprio che la reale portata della disposizione sia da ritrovare in casi di tale tipo.
L’esperienza sviluppata in questi anni, infatti, ha messo in evidenza che vi sono casi in cui l’impossibilità di ricevere la sottoscrizione di chi è in stato di incapacità naturale innesca problemi che assumono rilevanza sociale.
Ci si riferisce in particolare alle persone rese incapaci dall’età o dalle malattie e che i familiari per ragioni pur condivisibili non intendono far interdire o inabilitare.
Quali rimedi offre la normativa in tali casi?
Per i dati certificabili dalla P.A. vi è la possibilità di richiedere l’acquisizione d’ufficio.
Si potrebbe, poi, anche far presentare la dichiarazione dal familiare munito del documento d’identità dell’interessato – sottoscrittore, ma si tratta con tutta evidenza di un espediente più che di un rimedio.
Più in generale, vigente la pregressa disciplina molte amministrazioni avevano adottato la soluzione di far dichiarare il dato dal congiunto dell’incapace, utilizzando la figura della dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Anche questo rappresentava un espediente, poiché in ogni caso la dichiarazione doveva essere resa dal dichiarante nel proprio interesse.

Il legislatore del T.U., di fatto, ha finito col dare un supporto normativo a quest’ultima prassi che, in certa misura, esonera sia i prossimi congiunti dell’interessato che il funzionario pubblico da palesi falsi.
L’intento è lodevole, ma l’espressa copertura normativa così concessa può prestarsi a pericolosi abusi.

La disposizione, in ogni caso, non può essere utilizzata per le deleghe alla riscossione di denaro ed in particolare delle pensioni perché, come visto, l’art. 21 comma 2 per esse richiede l’autentica della firma: l’interessato deve sottoscrivere in presenza dell’ufficiale ricevente.

Per espressa previsione del comma 3, le disposizioni dell’art. 4 non si applicano alle dichiarazioni fiscali.
È comprensibile che il legislatore abbia inteso escludere la possibilità concessa ai congiunti dal comma 2 per una materia così particolare, ma francamente non si comprende la ragione della non applicabilità del primo comma.
Praticamente si impedisce ad es. ad un analfabeta di presentare la dichiarazione dei redditi. Costui dovrà necessariamente recarsi da un notaio?

5. VERIFICHE.
L’art. 71 del T.U. stabilisce che le amministrazioni procedenti sono tenute a procedere a idonei controlli, anche a campione, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive.
L’obbligo sussiste anche in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47.
Quest’ultima è una precisione ulteriore rispetto al disposto dall’art. 11 del D.P.R. 403/98 che è stata inserita, accogliendo le conclusioni cui si era comunque giunti, per fugare ogni questione.
Il sistema “a campione”, infatti, richiama procedure di selezione delle dichiarazioni da verificare di tipo oggettivo (ad es. per sorteggio) e vi era chi dubitava che si potesse derogare a tali sistemi in caso di dubbio. Il T.U. chiarisce la questione.

Vi è , dunque, l’obbligo delle verifiche e ove il responsabile del procedimento non provveda (del tutto), è da ritenere che sorga a suo carico responsabilità penale per violazione dei doveri d’ufficio. La norma non lo prevede, ma l’art. 73 esonera (la P.A. e) il dipendente pubblico da ogni responsabilità per gli atti emanati sulla base di dichiarazioni false salvi i casi di dolo o colpa grave: la totale assenza di controlli può sicuramente configurare la colpa grave.

Non sorgerà responsabilità, comunque, ove l’amministrazione procedente abbia correttamente inoltrato le richieste relative, senza essere riuscita ad ottenere risposta perché la struttura competente non ha fornito i dati richiesti.
Sul punto il T.U. introduce una novità.
L’art. 72, infatti, stabilisce che le amministrazioni certificanti individuano e rendono note le misure organizzative per l’efficiente, efficace e tempestiva esecuzione dei controlli medesimi e le modalità per la loro esecuzione. La mancata risposta alle richieste di controllo entro 30 giorni costituisce violazione dei doveri d’ufficio.
In sostanza, nel caso di mancata risposta o semplice ritardo è sancita la responsabilità dell’amministrazione certificante.
In tal modo il legislatore ha inteso assicurare la celerità del procedimento di controllo affinché non risultino dilatati i tempi di assunzione del provvedimento finale da parte dell’amministrazione procedente.

6. RESPONSABILITÁ PENALE E REGOLARIZZAZIONE.
L’art. 76 stabilisce che le dichiarazioni sostitutive si considerano fatte a pubblico ufficiale e che il rilasciare dichiarazioni sostitutive mendaci comporta responsabilità penale (art. 489 c.p.).
Il comma 4 prevede un inasprimento della sanzione, assente nella pregressa disciplina, nel caso in cui la dichiarazione mendace sia finalizzata ad ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l’autorizzazione all’esercizio di una professione o arte.
In tal caso il giudice, nei casi più gravi, può comminare la sanzione aggiuntiva della temporanea interdizione dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

Il funzionario che riscontri la non veridicità della dichiarazione ha l’obbligo di denunciare il fatto alla procura della repubblica.
La denuncia è un atto dovuto e la sua omissione comporta responsabilità penale del dipendente.
Il T.U., sul punto, ha introdotto un’importante precisazione all’art. 71 comma 3.
Se nella dichiarazione si riscontrano delle irregolarità o omissioni che non costituiscono falsità, il funzionario invita l’interessato alla regolarizzazione. Se questa non avviene il procedimento non ha seguito.

L’obbligo di denuncia sussiste, dunque, solo nel caso in cui il funzionario riscontri falsità della dichiarazione, altrimenti si potrà procedere a regolarizzazione della procedura.
Ovviamente la norma, decisamente opportuna perché evita atteggiamenti eccessivamente rigidi (ed il proliferare di denuncie non fondate), merita un chiarimento.
Il dipendente non è giudice ed a questi solo compete l’accertamento della sussistenza del profilo soggettivo del reato ( che richiede, comunque, l’elemento del dolo): l’alternativa tra denuncia e regolarizzazione non deve basarsi su un’analisi di questo tipo.
La norma deve invece essere letta alla luce del principio sancito dall’art. 6 L. 241/90 di cui costituisce applicazione: il responsabile del procedimento può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete.
Le regolarizzazione pertanto dovrà essere richiesta in tutti i casi di dichiarazioni erronee o incomplete.
Il regolamento sullo sportello unico, pur con le molte particolarità che lo contraddistinguono, aiuta a specificare meglio: l’obbligo di denuncia (e le sanzioni amministrative) non sussistono nei casi di errore od omissione materiale suscettibili di correzioni o integrazioni (art. 6 commi 7 e 11 D.P.R. 447/98).
Deve trattarsi di meri errori o omissioni materiali, che cadono sulla dichiarazione.

7. RICHIESTA DI CERTIFICATI.

In materia, il T.U. contiene una delle più rilevanti novità sancendo il divieto di chiedere certificazioni in luogo dell’autocertificazione (art. 43 comma 1) e sanzionando il comportamento del dipendente con la violazione con il reato di violazione dei doveri d’ufficio (art. 74 comma 2 lett. a).

La pregressa disciplina, infatti, conteneva solo un generale divieto per il pubblico dipendente di rifiutare la produzione di dichiarazioni sostitutive (art. 3 comma 4 L. 127/97 per le autocertificazioni, art. 3 comma 3 del D.P.R. 403/98 per le dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio. Entrambi abrogati).
Con riguardo alla richiesta di certificati, sussistevano invece solo alcuni specifici divieti.
Da ciò si era desunto che a fronte del generale divieto di rifiutare le autodichiarazioni, non operava invece per la P.A. un generale divieto di richiedere le certificazioni.
Dunque, salvo i casi di divieto espresso, essa poteva legittimamente continuare a richiedere al cittadino la produzione di certificati, limitando la portata della semplificazione all’obbligo di menzionare nei bandi e regolamenti la sostituibilità a mezzo di dichiarazioni dei certificati richiesti (anch’esso spesso disatteso, o adempiuto in modo lacunoso).

Il T.U. chiarisce definitivamente che la P.A. deve ottenere le informazioni necessarie attraverso gli strumenti di semplificazione (anche in ossequio al divieto di aggravare il procedimento sancito dall’art. 1 comma 2 l. 241/90), ed in particolare attraverso l’acquisizione d’ufficio.

La portata della innovazione è notevolissima, ad es., per tornare all’esempio dei bandi deve oggi ritenersi illegittima (e sanzionata penalmente) anche la semplice richiesta di comprovare tramite certificati la sussistenza delle condizioni di ammissione.
La P.A. non può più cavarsela introducendo la formuletta di rito relativa alla possibilità di utilizzare in alternativa le dichiarazioni sostitutive. Deve chiedere direttamente l’autodichiarazione (e predisporre il relativo specifico modulo) in alternativa all’acquisizione d’ufficio.

Per completezza di esposizione si evidenzia che, anche con il T.U., non sussiste un divieto per i cittadini che lo vogliano di produrre i certificati sostituiti.
I certificati, insomma, non scompaiono dal mondo giuridico.
Ovviamente, poiché le certificazioni hanno per lo più un costo perché soggette ad imposta di bollo (salvo esenzione) e devono essere richieste alle diverse P.A. competenti è di tutta evidenza che il cittadino potrebbe indursi spontaneamente a produrre tali certificati solo nel caso in cui egli già disponesse, per motivi suoi propri, di un certificato ancora valido.
Deve perciò trattarsi di un certificato, salvo che leggi o regolamenti non stabiliscano una validità superiore, rilasciato nei 6 mesi dal suo utilizzo (salvo che attesti fatti non soggetti a modificazioni) o, su dichiarazione dell’interessato che i dati non hanno subito variazioni, anche certificazioni scadute ove si tratti di certificati anagrafici, certificazioni dello stato civile, estratti e copie integrali degli atti di stato civile (art. 41).

8. PRESENTAZIONE DI COPIE.

Il T.U. introduce una innovazione di rilievo, francamente necessaria, anche in materia di presentazione di copie.
Si tratta di una formalità trasversale a tutte le forme di semplificazione disciplinate e, quindi, gioca un ruolo fondamentale per la riuscita della riforma sulla semplificazione nel suo complesso almeno fino al definitivo avvento della firma elettronica, della costituzione degli archivi informatici e della rete informatica di collegamento tra tutte le P.A..

La pregressa disciplina sulla semplificazione era assai poco innovativa con riguardo alla produzione di copie: salvo che per le ipotesi espressamente previste dalla legge (dichiarazione sostitutiva di atto notorio per le pubblicazioni, e per titoli nelle procedure concorsuali, fotocopia del documento di riconoscimento da allegare) le copie potevano essere prodotte solo in forma autenticata.
Ne conseguiva che la produzione alla P.A. di un documento, salva espressa deroga, doveva avvenire in originale o in copia autenticata nei modi di legge.
Si erano avute anche pronunce giurisprudenziali secondo cui la produzione di copia semplice nei casi in cui ciò non era consentito, comportava che il dato richiesto non potesse ritenersi comprovato perché quella copia non aveva giuridicamente alcun valore certificativo.
Questo incideva di fatto anche sulle modalità di invio di istanze e dichiarazioni sostitutive attraverso mezzi che si traducevano per la P.A. nel ricevimento di una copia non autenticata (es. fax) ancorché ne fosse certa la fonte di provenienza (v. sub 1).

L’art. 19 del T.U. conferma la possibilità di dichiarare la conformità all’originale delle pubblicazioni, dei titoli di studio e la estende ad ogni atto o documento o rilasciato da una P.A., nonché alle copie dei documenti fiscali conservate obbligatoriamente dai privati.

Le modalità saranno quelle dell’art. 47 che a sua volta richiama l’art. 38.
La previsione dell’art. 19, in sostanza, consente di “sbrigare” le pratiche senza bisogno di recarsi presso l’ufficio pubblico anche quando è necessario produrre una copia di documento.
Benché non riprodotta la norma del D.P.R. 403/98 che lo prevedeva, è da ritenere che la dichiarazione possa essere resa in calce alla copia senza bisogno di separato modulo. Si eviteranno così i rischi connessi alla necessità di abbinamento tra modulo e copia.

La previsione esclude gli atti “privati” (non rilasciati dalla P.A.) salvo che si tratti di pubblicazioni e titoli di studio/di servizio o siano conservati dalla P.A. (quindi già prodotti in originale in altro procedimento. Ad es. dichiarazione di furto).
Per gli atti esclusi permane l’obbligo di autenticazione (con conseguente necessità del bollo, salvo esenzioni, e di recarsi fisicamente presso l’ufficio pubblico).

Vi è però un’espressa eccezione: per i documenti fiscali l’autodichiarazione di conformità non è soggetta alle limitazioni suindicate.

6.2.2000

Redazione

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