L’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive realizzate dalla collettività condominiale sulle parti comuni e’ illegittimo se indirizzato nei confronti del condominio invece che nei confronti dei singoli condomini

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T.A.R. Lombardia – II sez. – sentenza n. 1764 del 29-07-2019

riferimenti normativi: art 1117 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. U, Sentenza n. 10934 del 18/4/2019; Cass., Sez. U, Sentenza n. 19663 del 18/9/2014; T.A.R. Piemonte, Sez. II, Sentenza n. 1223 del 5/10/2016

La vicenda

In un condominio, in difformità al provvedimento edilizio originario, venivano abusivamente ricavati nel sottotetto dell’edificio vani accessori distinti per ogni singola unità immobiliare, fruibili tramite scala di accesso interna.

Nel corso di un sopralluogo il Comune accertava la realizzazione delle opere abusive che, pur non implicando un aumento di volume fisico dell’edificio, consentivano un utilizzo abitativo-accessorio dei sottotetti, non consentito dalla normativa edilizia.

Di conseguenza ordinava al condominio la demolizione degli interventi abusivi realizzati in totale/parziale difformità o con variazioni essenziali al provvedimento edilizio originario, facendo presente che in caso di inottemperanza vi sarebbe stata l’eventuale acquisizione dell’area al patrimonio comunale.

Il condominio chiedeva al TAR competente per territorio l’annullamento del provvedimento, rilevando, tra l’altro, come l’ordine di demolizione non andasse indirizzato al condominio ma ai singoli condomini (difetto di legittimazione passiva).

In ogni caso i condomini chiedevano ed ottenevano la sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Il Comune, ritualmente intimato, non si costituiva in giudizio.

La questione

L’ordine di demolizione dei vani accessori realizzati abusivamente nel sottotetto comune è legittimo se viene indirizzato nei confronti del condominio?

La soluzione

Il TAR, nel riconoscere le ragioni del condominio, ha ricordato come l’art. 1117 c.c. stabilisca che le parti comuni dell’edificio sono oggetto di proprietà comune dei condomini; di conseguenza i giudici amministrativi hanno notano che il condominio non vanta alcun diritto reale sulle stesse.

Secondo una consolidata giurisprudenza, anche successiva alle modifiche introdotte nel codice civile dalla legge n. 220 del 2012 (Riforma del condominio), il condominio è rimasto un mero ente di gestione, privo di personalità giuridica.

Secondo il TAR, quindi, è pacifico che le parti comuni dell’edificio non sono di proprietà dell’ente condominio, ma dei singoli condomini.

Ne consegue che la misura volta a colpire l’abuso realizzato sulle parti comuni deve essere indirizzata esclusivamente nei confronti dei singoli condomini, in quanto unici comproprietari delle stesse.

L’ordine di demolizione rivolto al condominio risulta quindi illegittimo, in ragione del difetto di legittimazione passiva dello stesso con riguardo alla repressione degli abusi edilizi.

Di conseguenza i giudici amministrativi hanno annullato l’atto impugnato, condannando il comune al pagamento delle spese di giudizio in favore dei condomini.

Le riflessioni conclusive

Secondo la giurisprudenza precedente alla riforma del condominio, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa dei diritti connessi alla detta partecipazione, nè, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata (Cass., sez. II, 26/03/2015, n. 6186).

Dopo la legge di riforma del condominio, le Sezioni Unite hanno affermato che, se è pur vero che nel corso dei lavori preparatori di tale legge si era tentato senza successo di introdurre la previsione espressa del riconoscimento della personalità giuridica del condominio, non possono ignorarsi alcuni “indizi”, che vanno nella direzione della progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica (Cass., civ., Sez. Unite, 18/09/2014, n. 19663).

Un’altra recentissima decisione delle Sezioni Unite però ha ribadito che il legislatore ha respinto in sede di riforma dell’istituto la prospettiva di dare al condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni (Cass., civ., Sez. Unite, 18/09/2019, n. 10934).

Si può quindi ancora affermare che le parti comuni dell’edificio non sono di proprietà dell’ente condominio, ma dei singoli condomini.

Ne consegue che la misura volta a colpire l’abuso realizzato sulle parti comuni deve essere indirizzata esclusivamente nei confronti dei singoli condomini, in quanto unici comproprietari delle stesse (T.A.R. Piemonte, sez. II, 5 ottobre 2016, n. 1223).

Del resto, deve ritenersi che anche quando l’atto sanzionatorio venisse formalmente indirizzato al condominio, in realtà esso sarebbe efficace proprio nei confronti dei condomini, come detto unici titolari del diritto di proprietà sulle parti comuni.

Per quanto sopra si può affermare che il singolo proprietario di un alloggio inserito in un contesto condominiale può effettivamente ritenersi legittimo destinatario della misura sanzionatoria volta alla repressione degli abusi commessi sulle parti comuni.

Certo si potrebbe obiettare che il singolo proprietario non è legittimato ad intervenire sulle parti condominiali, né che non si può pensare di addossare solamente a lui tutte le spese necessarie per eseguire l’intervento di ripristino.

E’ peraltro ovvio che se il proprietario destinatario dell’ordine dimostra di aver fatto tutto quanto in suo potere per ottemperare alle richieste del Comune (ad esempio, sollecitare la convocazione dell’assemblea affinché questa deliberi in proposito), non potranno essere a lui addossate le conseguenze derivanti dalla mancata esecuzione del provvedimento, ed anzi egli potrà agire nei confronti degli altri proprietari per ottenere il risarcimento dei danni causati dalle loro condotte.

Del resto anche nella comunione ordinaria il singolo proprietario non può eseguire interventi che alterino la destinazione della cosa (cfr. art. 1102, comma primo, c.c.); ma come detto, quando ricorre tale fattispecie, la giurisprudenza non dubita della legittimità dell’ordine rivolto ad un solo partecipante (e ciò sebbene l’ordine abbia talvolta addirittura ad oggetto la completa demolizione del bene).

In ogni caso il singolo condomino a cui è stato inviato l’ordine di demolizione dell’abuso sulle parti comuni non può difendersi sostenendo di non essere il materiale autore dell’abuso realizzato da un precedente proprietario.

Secondo la giurisprudenza, infatti, l’acquirente del bene subentra nella posizione del proprio dante causa anche per quanto riguarda i rapporti che nascono a seguito della realizzazione di un abuso edilizio; pertanto, se l’autore dell’abuso è il precedente proprietario, l’acquirente subentra nella posizione illecita di quest’ultimo (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 30 giugno 2015, n. 8736, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 13 agosto 2013, n. 1619; Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2011, n. 2781).

Va pertanto confermato che, in linea generale, l’atto volto a sanzionare un abuso edilizio riguardante parti comuni di un edificio non è illegittimo per il solo fatto che questo sia stato indirizzato ad un solo condomino.

Si tenga conto però che il condomino colpito dall’ordine di rimessione in pristino non può ovviamente eseguire l’intervento senza il consenso degli altri proprietari espresso nelle forme di legge, ma ciò costituisce elemento che riguarda solo la fase esecutiva e che non incide sulla validità dell’atto.

Al contrario l’ordine rivolto al condominio risulta quindi illegittimo, in ragione del difetto di legittimazione passiva dello stesso con riguardo alla repressione degli abusi edilizi.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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