Questioni fattuali ed inquadramento preliminare della fattispecie giudicata
Grazie a Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, la Giurisprudenza italiana di legittimità ha iniziato ad affrancarsi dal mito pseudo-progressista della “ cannabis light “. La pura verità, tanto criminologica quanto tossicologica, consta nel fatto che non esistono “ droghe leggere “ innocue o, comunque, tollerabili in contesti giovanili di matrice ludico-ricreativa. Il THC, come anti-conformisticamente dichiarato dalla Suprema Corte, reca a conseguenze negative acute, sebbene i danni comincino a manifestarsi nel lungo periodo. Oltretutto, come dimostra la drammatica esperienza storico-giuridica del Canton Ticino, l’ haschisch e la marjuana sono sempre compagne inseparabili di un sottobosco criminale e criminogeno, che scaturisce ben presto, a prescindere dalla legalizzazione o meno del tetra-idro-cannabinolo. In punto di fatto, il Tribunale del riesame di Ancona, con Ordinanza recante data 23/11/2018, ha revocato il sequestro preventivo del GIP di Ancona datato 19/10/2018 ed afferente a 13 Kg di canapa “ light “, ovverosia con un tenore drogante che avrebbe dovuto essere inferiore allo 0,6 %. In realtà, come prevedibile in simili contesti, gli esami chimico-botanici commissionati dal predetto GIP avevano riscontrato che gran parte delle foglie e dei peli ghiandolari oltrepassavano la soglia massima consentita dello 0,6 % di THC per ciascuna dose ricavabile. Come si può notare, i canapai, a livello meta-geografico, non brillano certo in fatto di trasparenza ed amore per la legalità. In dramma ermeneutico, nell’ Ordinanza del 23/11/2018 emessa dal Tribunale di Ancona, deriva, come poi specificato da Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, dalle “ evidenti carenze legislative “ insite nell’ assai ambigua L. 242/2016, la quale, nel comma 7 Art. 4 dispone che “ solo a seguito del superamento del limite dello 0,6 % di principio attivo, è possibile procedere al sequestro ed alla distruzione della coltivazione [ e anche ] del prodotto derivato “. Ciononostante, è pure altrettanto vero che la lett. g) comma 2 Art. 2 L. 242/2016 non chiarisce sufficientemente la diversità tra foglie, inflorescenze e coltivazioni non destinate al confezionamento di prodotti cannabinoidi non fumabili ( cosmetici, alimentari, oli, tessuti, fibre, detergenti ). Provvidenzialmente, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Ancona ha promosso ricorso in Cassazione contro l’ Ordinanza di revoca del sequestro emessa dal Tribunale del riesame addì 23/11/2018.
Il predetto Procuratore ha inteso, anzitutto, segnalare la violazione della lett. b) comma 1 Art. 14 TU 309/1990. Inoltre, l’ imputato LC è stato ritenuto, nel medesimo ricorso, responsabile dei delitti p. e p. dall’ Art. 73 commi 1, 2 e 4 TU 309/1990 nonché dall’ Art. 80 comma 2 TU 309/1990. La lodevole e decisiva argomentazione anti-populistica proposta dalla Procura di Ancona consiste, nel ricorso successivamente deciso da Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, nell’ interpretare come inscindibili, congiunte ed equipollenti le foglie, i peli ghiandolari, i fusti e tutte le parti della canapa sativa L, ovverosia “ l’ esclusione della punibilità prevista dalla legge n. 242 del 2016 è prevista unicamente nei confronti del coltivatore e non può essere estesa [ anche ] in favore del commerciante che detenga e ponga in vendita foglie ed inflorescenze [ fumabili ] ottenute dalla pianta di cannabis sativa L [ … ] e, inoltre, per quanto riguarda il divieto di sequestro e di distruzione di cui all’ articolo 4 comma 7 L. n. 242 del 2016, bisogna considerare che il legislatore fa espresso riferimento alle coltivazioni già sottoposte ad analisi con esito favorevole e non ai prodotti derivati e poi commercializzati “ ( Motivazioni, pg. 2, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ). In effetti, come si può notare, nella L. 242/2016, o, ognimmodo, nelle interpretazioni successive, si sono strumentalizzati i lemmi “ prodotti derivati e poi commercializzati “, con la finalità, sottilmente e pervertitamente anti-proibizionista, di separare, radicalmente ed irragionevolmente, l’ attività della coltivazione da quella della vendita al dettaglio, come se non esistesse un’ eventuale responsabilità penale anche in capo al negoziante che aliena marjuana non “light “.
E’ irrazionale e, soprattutto, non realistico negare la rilevanza penale delle condotte del titolare di un canapaio come se si trattasse di un povero ed ingenuo bottegaio privo di legami personali e patrimoniali con il coltivatore diretto che gli fornisce la materia prima da trasformare e confezionare prima dell’ alienazione al dettaglio. Anzi, si valuti pure l’ ipocrisia anti-normativa del reo, il quale, in Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ha persino tentato di sciogliersi da qualsivoglia responsabilità penale attribuendo gli eventi dolosi all’ aiutante e commesso NA. In ogni caso, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, nel ricorso giudicato da Cassazione 30475/2019, ha correttamente e pertinentemente fatto notare che, a prescindere dal ginepraio esegetico purtroppo creatosi intorno alla L. 242/2016, i 13 Kg di inflorescenze e foglie sequestrati contenevano un tenore di THC di quasi sette volte superiore al massimo consentito dello 0,6 %. Tale eccedenza di tetra-idro-cannabinolo è e rimane penalmente perseguibile in ogni caso, ovverosia la punibilità e la sequestrabilità rimangono precettive tanto nei confronti dell’ agricoltore quanto nei confronti del commerciante degli ambigui “ prodotti derivati “. In buona sostanza, la L. 242/2016 non eccelle in fatto di trasparenza interpretativa ed applicativa. Essa è il preludio implicito della legalizzazione completa della marjuana, con tutte le tristi conseguenze medico- e criminologiche che ciò comporta o comporterà. L’ ambiguità de jure condito crea zone oscure intrise di lacunosità legislativa, con un conseguente ed ipertrofico intervento ultra-interpretativo giurisprudenziale.
L’ imputato CL, nella propria memoria difensiva dello 02/02/2019, ha inteso precisare, in primo luogo, che la canapa sativa da lui acquistata derivava da sementi conformi alla normazione di cui all’ Art. 17 Direttiva UE n. 52/2002. In secondo luogo, il titolare del canapaio si è dichiarato in buona fede, in tanto in quanto l’ eventuale errore nella scelta dei semi di cannabis sarebbe stato meramente colposo e non doloso, giacché sia l’ agricoltore sia il negoziante non avrebbero per nulla preventivato la crescita di foglie e di peli ghiandolari contenenti un tenore di THC superiore allo 0,6 %. Dunque, almeno secondo la Difesa di CL, chi aliena la cannabis light non dovrebbe essere tenuto a rispondere dell’ errore originario commesso da altri in sede di piantagione della canapa. Pertanto, in definitiva, la violazione colposa della L. 242/2016 sarebbe sufficiente ad escludere il dolo, anche con attinenza alle fattispecie delittuose non colpose contemplate dal TU 309/1990.
La IV Sezione penale della Corte Suprema, con Ordinanza recante data 08/02/2019, ha rimesso gli Atti alle Sezioni Unite, alla luce di un grave “ contrasto giurisprudenziale “, così come descritto e previsto dall’ Art. 618 Cpp. In effetti, la L. 242/2016, secondo una prima corrente di pensiero, si limita a disciplinare i prodotti tessili, agroalimentari e per la cosmesi derivabili dalla canapa, ma esiste una grave lacuna attinente alla successiva o contestuale commercializzazione delle inflorescenze e della resina, che sono prodotti cannabinoderivati fumabili per uso terapeutico e/o tossico-voluttuario, quindi “ in tale ambito ricostruttivo, i valori di tolleranza di THC consentiti dall’ Art. 4 comma 5 L. n. 242 del 2006 si riferiscono solo alla percentuale di principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio “ ( Ordinanza ex Art. 618 Cpp recante data 08/02/2019 ).
Tuttavia, tale esegesi, che scinde la L. 242/2016 dal TU 309/1990, è inaccettabile, giacché “ la Tabella II di cui all’ Articolo 14 dpr 309 del 1990 include la cannabis in tutte le sue varianti e forme di presentazione [ quindi ] la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione di cannabis sativa L, sempre che essi presentino un effetto drogante, integra comunque gli estremi del reato di cui all’ Articolo 73 del dpr 309 del 1990 “ ( Motivazioni, pg. 4, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ). In effetti, anche a parere di chi redige, questo orientamento oltremodo proibizionista è lodevolmente prudente, allorquando, viceversa, distinguere i prodotti fumabili della canapa da quelli destinati ad altri usi rischia di generare zone precettive lacunose e non ragionevolmente proporzionate, a meno che non si dichiari, sin dall’ inizio, la sottile ratio scandalosamente liberalizzatrice sottesa alla non poco ambigua L. 242/2016. Tuttavia, l’ Ordinanza ex Art. 618 Cpp dello 08/02/2019 precisa che, secondo un diverso orientamento interpretativo di rango giurisprudenziale, le parti fumabili della canapa con un tenore di THC inferiore allo 0,6 % dovrebbero essere reputate legalmente alienabili, poiché la liceità ex L. 242/2016 prevarrebbe sull’ illiceità ex Art. 73 TU 309/1990.
A parere di chi scrive, tale orientamento ermeneutico, peraltro abnorme e sfacciatamente intellettualoide, palesa la politicizzazione spregiudicata dell’ orribile L. 242/2016, il cui fine, sebbene non apertamente dichiarato, è e rimane, sin dal primo istante, quello di legalizzare in maniera totale la marjuana, con il pretesto di agevolare la vendita di altri derivati della canapa, scarsamente utili nella vita quotidiana, ma ideologicamente preziosi per le propagande dell’ antiproibizionismo europeo. La L. 242/2016 intende iniziare con la libera commercializzazione di ridicoli oli, creme e tisane per poi addivenire al commercio legale di foglie ed inflorescenze con un tenore di tetra-idro-cannabinolo ben superiore all’ ipocrita 0,6 % per ciascuna dose. Si tratta, d’ altronde, della medesima illusione demagogica dei sacchetti odorosi per armadi venduti in Canton Ticino prima della più che opportuna e quasi salvifica Operazione Indoor contro i liberi canapai.
Anzi, nell’ Ordinanza ex Art. 618 Cpp qui in esame, la IV Sezione, forse in buona fede o forse anch’ essa influenzata da certune ideologie pseudo-progressiste, osserva che “ nella L. 242 del 2016, tra le finalità del sostegno offerto alla coltura della canapa, c’ è anche la produzione di alimenti contenenti residui di THC. Quindi, appare contraddittorio [ ? ] consentire il consumo umano dei prodotti [ non fumabili ] che derivano dalle coltivazioni previste dall’ Art. 1 L. 242/2016 contenenti residui di THC e ritenere vietata la vendita dei derivati [ fumabili ] della cannabis provenienti dalle medesime coltivazioni contemplate dalla legge del 2016 “. Tali affermazioni non tengono, tuttavia, nel debito conto la differenza tra derivati agroalimentari della canapa e derivati potenzialmente droganti del medesimo vegetale. Si tratta di una distinzione chimico-botanica non certo secondaria, alla luce dei potenziali abusi tossicomaniacali. Il Primo Presidente Aggiunto, visto l’ Art. 618 Cpp, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando, per la trattazione in camera di consiglio, l’ udienza del 30/05/2019.
Nell’ordinamento giuridico italiano, si è creata una grave antinomia applicativa
Si vede opposti, da un lato, la L. 242/2016, di stampo sottilmente filo-anti-proibizionista, e, dall’ altro lato, l’ Art. 73 TU 309/1990, che s’ ispira ad una ratio marcatamente e, anzi, palesemente proibizionista, come evidenziato anche dalla perentoria rubrica “ Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope “
Nella conclusione dell’ Ordinanza ex Art. 618 Cpp emessa dalla IV Sezione penale della Corte Suprema, si domandava alle Sezioni Unite, in ultima istanza e salvo i debiti corollari, “ se le condotte diverse dalla coltivazione della canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’ Art. 1 comma 2 L. 242/2016 e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L, rientrino o meno, e, se sì, in quali eventuali limiti, nell’ ambito di applicabilità della predetta L. 242/2016 “. In sintesi, pertanto, la grave antinomia precettiva sottoposta alla valutazione di Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 consta nella contrapposizione tra la liceità di quanto giuridificato nella L. 242/2016 e, dal lato opposto, l’ illiceità del medesimo oggetto normato nel TU 309/1990. Anzi, nella L. 242/2016 si parla, sotto il profilo della ratio, di veri e propri “ incentivi “ per porre in essere quelli che, nel TU 309/1990, sono considerati reati a tutti gli effetti. A parere di Cass., sez. pen. III, 10 gennaio 2019, n. 17387, “ deve escludersi che la legge n. 242 del 2016 consenta la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis sativa L “ ( simile è pure il giudizio di Cass., sez. pen. IV, 19 settembre 2018, n. 57703, oppure si veda Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737, oppure ancora Cass., sez. pen. IV, 13 giugno 2018, n. 34332 ). All’ opposto, il che spiega l’ utilizzo ormai inevitabile dell’ Art. 618 Cpp, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 afferma, con un orientamento apertamente legalizzatore, che “ dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L, ai sensi della L. 242/2016, discende la liceità anche della commercializzazione dei derivati quali le foglie e le inflorescenze, purché esse contengano una percentuale di principio attivo [ THC ] inferiore allo 0,6 %, [ e anzi ] il consumo della cannabis proveniente dalle coltivazioni lecite non costituisce [ neppure ] l’ illecito amministrativo di cui all’ Art. 75 TU 309/1990 “. In terzo luogo, l’ incertezza interpretativa è aggravata pure dal Precedente contenuto in Cass., sez.pen. III, 7 dicembre 2018, n. 10809, in cui la Suprema Corte asserisce che “ sono leciti tutti i prodotti derivati dalla coltivazione della canapa consentita dalla novella del 2016, purché essi presentino una percentuale di THC non superiore allo 0,2 % [ e ] va esclusa la rilevanza penale della commercializzazione delle inflorescenze [ … ] nelle quali il principio attivo risulti inferiore allo 0,2 % “.
Peraltro, nelle Motivazioni, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 nota che Cass., sez. pen. III, 7 dicembre 2018, n. 10809 ha inserito criteri e limiti tossicologici, ossia lo 0,2 %, completamente avulsi dal contesto esplicito dell’ Art. 2 comma 2 L. 242/2016. Alla luce delle suesposte contraddizioni esegetiche, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 auspica certamente un nuovo intervento chiarificatorio e risolutivo del Legislatore, in tanto in quanto “ la disciplina introdotta dalla legge 242 del 2016 pone effettivamente il problema di coordinare le nuove disposizioni con quelle contenute nel TU in materia di sostanze stupefacenti, atteso che la novella [ ex L. 242/2016 ] promuove la coltivazione di piante oleaginose e da fibra, le quali rientrano, a prima vista, tra quelle di cui, in Italia, è vietata la coltivazione “. Ovverosia, v’ è senz’ altro un notevole divario tra le foglie e le inflorescenze fumabili e , dal lato opposto, gli oli, gli alimentari, le fibre ed i cosmetici materialmente non impiegabili o abusabili o trasformabili per finalità tossicomaniche. Forse, un valido aiuto per uscire da ogni aporia ermeneutica è fornito dalla ratio c.d. “ tabellare “ espressa e ribadita in Cass., sez. pen. IV, 14 aprile 2011, n. 27771, nel senso che “sono soggette alla normativa che vieta la produzione e la circolazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope solo [ dicesi: solo, ndr ] quelle che risultano indicate nelle Tabelle allegate al TU 309/1990 “. Anche Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 29316, quattro anni prima di Cassazione n. 30475/2019, rimarca la natura strettamente tipica e mai analogica o implicita del TU 309/1990, giacché “ il TU 309 del 1990 è strutturato secondo il sistema tabellare, che assegna valenza legale [ quindi tipica, ndr ] alla nozione di sostanza stupefacente [ … ]. nell’ attuale Ordinamento penale, vige una nozione legale [ rectius: tipica, ndr ] di stupefacente, per cui sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione soltanto [ dicesi : soltanto, ndr ] le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti “. Del resto, l’ Art. 73 TU 309/1990 ( produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope ) non menziona le singole sostanze una per una, bensì rinvia alle Tabelle istituite ed aggiornate periodicamente dall’ Art. 14 TU 309/1990. Detto con altri lemmi, l’ Art. 73 TU 309/1990 è una “norma parzialmente in bianco “, i cui dettagli dipendono dalla menzione o, viceversa, dalla non menzione nelle Tabelle allegate al TU 309/1990 ( Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, 29316 ).
Il sistema tabellare del TU 309/1990 aiuta l’ interprete a distinguere tra le sostanze stupefacenti, i medicinali ad uso farmaceutico ed ogni altra sostanza, più o meno tipica o tradizionale
Il TU 309/1990 adotta un criterio di stretta tipicità non estensibile per analogia. Si tratta senz’ altro di un valido aiuto ermeneutico, in un ambito nomo-dinamico come quello del Diritto Penale applicato al campo normativo delle droghe illecite
In realtà, la qui esaminata Sentenza contenuta in Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, nelle Motivazioni, non poteva non tenere conto dell’ abrogazione della L. 49/2006 avvenuta a seguito del fondamentale Precedente della Corte Costituzionale n. 32/2014, il quale ha recato alla rimodulazione dei criteri tabellari, novellati dalla nuova L. 79/2014. Per quanto possa apparire arzigogolato e cavilloso, il rifacimento delle Tabelle del TU 309/1990, operato nel 2014, ha profondamente inciso sulle dinamiche del già fragile equilibrio tra la L. 242/2016 ed il nuovo TU 309/1990 in tema di canapa c.d. “ leggera “. Una prima ed importante novità, dopo la L. 79/2014, è stata l’ inserimento, nella Tabella II ex Art. 14 comma 1 lett. b) TU 309/1990, della cannabis, senza la distinzione tra le diverse varietà della canapa. Anzi, la Tabella II, a causa del DL 36/2014, qualifica alla stregua di “ sostanze non a vendita libera “, e ciò in piena antinomia con la L. 242/2016, “ le foglie e le inflorescenze di cannabis, l’ olio di canapa, la resina di canapa [ … ] e le preparazioni medicinali contenenti THC “, il tutto senza alcun discrimine basato sul tenore di tetra-idro-cannabinolo contenuto ( v. pg. 7 delle Motivazioni di Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ). Altrettanto ristretto, dopo la Sentenza della Consulta n. 32/2014, è pure il nuovo campo precettivo del comma 1 Art. 26 TU 309/1990, il quale, dopo la novellazione del 2014, recita, con tenore decisamente proibizionista, che “ [ salvo per esperimenti didattici o sanitari ], è vietata, nel territorio dello Stato, la coltivazione delle piante [ di canapa ] comprese nelle Tabelle I e II di cui all’ Art. 14 TU 309/1990, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali diversi da quelli di cui all’ articolo 27 e consentiti dalla normativa dell’ unione europea “. Dunque, di nuovo, il TU 309/1990 si pone in contrasto con il lassismo generico e confuso della L. 242/2016. Infine, anche i commi 1 e 4 Art. 73 TU 309/1990 giuridificano come illegale e penalmente rilevante la coltivazione e lo smercio di canapa, tranne nella fattispecie tecnica dell’ uso medico, purché non artigianale e non auto-didattico.
In buona sostanza, la Sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale ha (re)introdotto, con afferenza alla cannabis, un regime proibizionista e discretamente sanzionatorio, senza dubbio non conforme alla Direttiva UE che ha aperto la strada alla più che censurabile L. 242/2016. Per di più, la riforma cagionata, nelle Tabelle del TU 309/1990, dalla L. 79/2014 ha equiparato, sotto il profilo medico-legale, la cannabis indica alla cannabis sativa, il che, dunque, spiazza il concetto fuorviante di canapa “ light “, tranne nel caso, ristretto ed a-tipico, delle preparazioni farmaceutiche o industriali contemplate nell’ Art. 26 commi 1 e 2 TU 309/1990.
Tutto ciò premesso, giustamente e proibizionisticamente, Cass., SS.UU. 30 maggio 2019, n. 30475 osserva che “ esiste la precisa volontà del legislatore del 2014 di qualificare la cannabis quale sostanza stupefacente [ non a vendita libera ] in ogni sua varietà. Ciò si evince inequivocabilmente dalla legge n. 79 del 2014, che, nel convertire il DL n. 36 del 2014, ha operato una modifica di ordine sostanziale alla Tabella II, indicando la cannabis – ed i suoi derivati -, senza effettuare alcun riferimento alla specie indica “ Dunque, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, più o meno esplicitamente, condanna ed inibisce gli entusiasmi liberal-progressisti che stanno alla base della filo-europeista ( o, più che altro, filo-qualunquista ) L. 242/2016. Quanto qui sostenuto è confermato anche dal proibizionismo verso “ tutte le sostanze ottenute per sintesi che siano riconducibili, per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico, al THC [ ovvero il delta-8-THC ed il delta-9-THC ]”. ( n. 6 comma 1 lett. a) Art. 14 TU 309/1990, rinovellato dalla L. 79/2014 ). Quindi, tranne nel caso dell’ uso industriale o farmacologico-sperimentale ( Art. 26 TU 309/1990 ), la canapa, anche quella “light”, le foglie, le inflorescenze, l’ olio e la resina dei suoi peli ghiandolari sono sostanze non coltivabili e non smerciabili, alla luce del divieto generale di cui all’ Art 73 TU 309/1990. Finalmente, dopo quattro anni di pericolosa ambiguità esegetica, Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ha posto fine all’ inganno “ new age “ della canapa leggera. Cassazione n. 30475/2019 ha sconfitto, con coraggio ed anticonformismo, l’ egemonia europeista insita nella L. 242/2016, la quale rischiava di trasformarsi in un canale di ingresso giuridico graduale per la marjuana libera. Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 ha salvato, con severità non politicamente corretta, il valore salutista e proibizionista implicito sia nel comma 1 Art. 32 Cost., sia nell’ Art. 73 TU 309/1990. Ha finalmente prevalso il senso della misura contro l’ oppressione tecnicistica della burocrazia xenofila menzognera e buonista.
La L. 242/2016 presta eccessivamente il fianco ad interpretazioni liberalizzatrici in tema di canapa ad uso ( anche ) tossicomanico
Purtroppo, prima dell’ intervento della Cassazione, la L. 242/2016 si è servilmente conformata a Direttive e Regolamenti UE che non tengono conto del proibizionismo ontologicamente insito nelle Disposizioni Penali del TU 309/1990. E’ necessario o, comunque, auspicabile, un intervento del Legislatore che ribadisca la ratio autentica della Legislazione italiana nell’ ambito della coltivazione e dello spaccio di sostanze psicoattive. La L. 242/2016 è coerente con la Normativa europea, ma si pone in netto contrasto con gli Artt. 73 e seguenti del TU 309/1990.
Come indicato nel comma 1 Art. 1 L. 242/2016, la nuova Normativa sulla canapa sativa, perlomeno a livello teorico, “ reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa, quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’ impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura di rotazione “. A parere di chi scrive, è ambiguo o, perlomeno, ipertrofico lo zelo manifestato dalla L. 242/2016 nei confronti di un vegetale di calibro decisamente secondario e marginale, in confronto ad altre tipologie di coltura tipicamente italiane e degne della massima tutela, come il mais, il frumento ed i frutteti. Altrettanto anomala è la Direttiva europea 2002/53/CE, la quale, molto probabilmente, è stata un buon apripista finalizzato ad inculcare, presso l’ opinione pubblica, un’ immagine di normalità, come se la cannabis sativa fosse indispensabile e, in ogni caso, non foriera di gravi conseguenze nell’ ambito delle mode tossicomaniche giovanili. La L. 242/2016 si presenta come una sorta di specchietto per le allodole intriso, seppur implicitamente, di una forte ideologia politica anti-proibizionista e liberalizzatrice.
Quindi, la marjuana legale è e rimane il punto d’ arrivo, lento, silenzioso e persino simpatico. Per occultare e rendere meno invasiva la propria ratio autentica, la L. 242/2016 fa riferimento anche ad altre forme di coltivazione incentivabili, come quelle delle barbabietole ( Direttiva 2002/54/CE ), delle piante foraggere ( Direttiva 66/401/CE ), dei cereali ( Direttiva 66/402/CE ), delle patate ( Direttiva 2002/56/CE ) e delle piante oleaginose e da fibra ( Direttiva 2002/57/CE ). Come si può notare, l’ astuzia dei promotori della L. 242/2016 adopera una gradualità di lungo periodo, pur di addivenire al malcelato traguardo oscuro della legalizzazione totale del THC ad uso tossico-voluttuario. Anche il Regolamento UE 1307/2013 offre sussidi pubblici per incentivare la cannabis “ light “, come se il mercato agricolo europeo avesse l’ improcrastinabile ed urgente bisogno di piantare canapa per la sopravvivenza dell’ intero genere umano affamato di THC. Degno di menzione è pure il Regolamento UE 639/2014, che cataloga, con estrema attenzione, le sementi più buone e redditizie. Fortunatamente, per non generare sospetti eccessivi, la strumentale e strumentalizzata Direttiva UE 2002/53 specifica che, almeno per il momento, rimangono applicabili i divieti, in tema di THC, quando il tenore drogante è eccessivamente psicoattivo. Tuttavia, la finalità ultima, silenziosa e quasi gentile rimane quella di rimuovere qualsivoglia divieto penalistico nei confronti del tetra-idro-cannabinolo e delle relative varianti sintetiche.
L’ illusione radical-chic della canapa leggera è proposta, nella L. 242/2016, con la calma demagogica di chi deve abituare la cittadinanza senza creare allarmi sociali o forme di prevenzione. Ognimmodo, nella realtà concreta, la L. 242/2016 è pleonastica rispetto all’ Art. 26 TU 309/1990, in tanto in quanto, come osservato da Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, “ la L. 242/2016 intende promuovere la coltivazione della filiera agroindustriale della canapa sativa L, [ ma ], in realtà, dette coltivazioni sono già previste dall’ Art. 26 comma 2 TU 309/1990, il quale già contiene la richiamata eccezione al divieto di coltivazione della canapa nel territorio nazionale “. Dunque, sin dal principio, la L. 242/2016 si pone in antinomia con il TU 309/1990.
Gli incentivi alla coltivazione della canapa leggera creano una zona grigia di “ vedo e non vedo “, la quale lede il valore supremo della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. . Senza dubbio, la trasparenza non è un attributo applicabile alla L. 242/2016 ed alle numerose Direttive dell’ UE, inutili, retoriche ed astratte. Nemmeno la tecnica agricolo-botanica è utile per giustificare gli entusiasmi connessi alla L. 242/2016, la quale, in definitiva, incentiva aspetti merceologici marginali, come quelli relativi agli alimenti al THC, ai cosmetici, alle fibre, alle polveri, agli oli, ai carburanti, alla bioedilizia, alla fitodepurazione ed al florovivaismo. In effetti, lo scetticismo or ora esposto è condiviso pure da Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737, giacché “ la commercializzazione dei derivati della canapa continua ad essere sottoposta alla disciplina del dpr 309 del 1990. Invero, la coltivazione di cannabis sativa L ad uso agroalimentare promossa dalla L. 242/2016 [ … ] non contempla l’ estrazione e la commercializzazione di alcun derivato [ light o meno ] con funzione stupefacente o psicotropa. Pertanto, dalla coltivazione di cannabis sativa L, non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati all’ Art. 2 comma 2 L. 242/2016 e, in particolare, foglie, inflorescenze, olio e resina “. Anzi, fa sorridere, nella L. 242/2016, la tutela della canapa coltivata per improbabili finalità lecite di florovivaismo. Nulla deve scalfire la piena cogenza dell’ Art. 73 TU 309/1990. D’ altronde, nella Giurisprudenza italiana di legittimità, anche Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472 parla di totale e perenne illegalità della canapa fumabile, indica o sativa che sia. Oppure ancora, Cass., sez. pen. IV, 27 ottobre 2015, n. 4324 postula un effetto drogante ontologico della canapa, più o meno lieve, ma pur sempre sussistente. La L. 242/2016 pretende di legittimare, quindi, un prodotto sempre e comunque socialmente destabilizzante. L’ effetto drogante “ sostanziale “ è condannato anche in Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393
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