La nascita del contratto di merchandising
Dalla sua nascita ad oggi il contratto di merchandising ha registrato un’espansione notevole in diversi settori commerciali e i motivi del suo grandissimo successo sono legati proprio alla possibilità di tutelare un marchio celebre al di fuori del settore merceologico nel quale tale marchio ha acquisito prestigio[2].
Il merchandising è un contratto sinallagmatico volto a soddisfare un duplice interesse, da un lato, l’interesse del licenziatario a sfruttare la privativa del licenziante avvalendosi della notorietà del prestigio a questa riconosciuti nel settore in cui il titolare l’abbia portata all’originaria affermazione e, dall’altra, l’interesse del licenziante a sfruttare indirettamente e a promuovere l’oggetto del suo diritto di privativa anche in settori diversi da quello originario.
Oggetto del contratto di merchandising sono, prevalentemente, marchi d’impresa che hanno una carica simbolica e suggestiva tale da suscitare nel pubblico un immediato riferimento al produttore e alla sua linea di prodotti[3] e, in via generale, qualsiasi c.d. properties che abbia popolarità e riconoscibilità pubblica. Per properties si intendono sia i marchi e, in questo caso, si parla di brand merchandising (o semplicemente merchandising di marchio), sia le opere dell’ingegno e, in questo caso, si parla di character merchandising sia, infine, diritti della personalità parlandosi, in questo caso, di personality merchandising.
Le tipologie di contratti di merchandising
Nel caso di brand merchandising, in particolare, il titolare di un marchio che abbia conseguito una certa notorietà in relazione a determinati prodotti lo concede in licenza per beni e servizi afferenti ad un settore completamente diverso da quello per cui quel marchio è stato realizzato o registrato precedentemente.
All’interno di questa categoria generale la dottrina[4] individua delle sotto-distinzioni a seconda della natura del marchio. Si distingue, infatti, tra marchi che suscitano nel consumatore immagini di lusso e di raffinatezza (si parla in questi casi di status properties); marchi che evocano stili di vita improntati alla velocità e all’avventura (c.d. popularity properties) e i marchi che, pur non essendo evocativi di alcun tipo di immagine, vengono utilizzati per programmi di merchandising in virtù della loro enorme diffusione (c.d. personality properties).
La seconda tipologia di contratto di merchandising, ossia il character merchandising, ha ad oggetto, invece, un’opera di ingegno ossia l’opera di chi, in qualità di artista, disegnatore o scrittore, ha creato un personaggio di fantasia (c.d. character) e ne concede l’immagine o il nome affinché venga riprodotto su beni destinati alla vendita.
La terza tipologia di merchandising è, infine, quella attinente alle personalità. Anche qui, come nella seconda tipologia di merchandising, oggetto del contratto è il nome o l’immagine di personaggi celebri ad esempio nel mondo dello sporto o dello spettacolo[5].
Elemento unificante delle diverse tipologie di contratto di merchandising è indubbiamente la forza attrattiva ed evocativa che deriva dalla celebrità che tutte le properties detengono in forza dell’utilizzazione primaria. Ed è proprio tale notorietà ad essere sfruttata da un altro soggetto al fine di promuovere prodotti e servizi totalmente differenti.[6]
Il contratto di merchandising è considerato dalla dottrina dominante come un contratto atipico ma socialmente tipizzato.
Si tratta, infatti, di un contratto che, nonostante la sua grande diffusione nel nostro ordinamento, non ha una disciplina specifica ma viene regolato sulla base della prassi commerciale e delle norme che regolano contratti simili.
Come noto, in base all’art. 1322 co. 2 c.c. i contraenti, in base al principio di autonomia contrattuale, non sono tenuti ad adottare esclusivamente le fattispecie previste dalla legge ma possono anche concludere contratti atipici ossia “che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare” purché siano “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
Nonostante tale atipicità il modello contrattuale in esame può definirsi, allo stesso tempo, un contratto socialmente tipizzato proprio perché viene utilizzato in conformità ad una prassi contrattuale ormai consolidata caratterizzata da elementi costanti e omogenei.
Da questa ricostruzione sulla natura giuridica del contratto di merchandising ne deriva che la sua disciplina giuridica è demandata, anzitutto, alla volontà delle parti, in secondo luogo, alle previsioni normative relative al contratto in generale e, infine, alle eventuali leggi speciali che afferiscono all’oggetto del contratto in generale.
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Note
[1] L. COLANTUONI, Merchandising, in Contratti, 2006, 8-9, 827 afferma che “il merchandising è il contratto mediante il quale un imprenditore che ha portato all’affermazione originaria una certa entità concede l’uso di un proprio marchio, segno distintivo o figura, ad un altro imprenditore affinché ne promuova e ne contrassegni i prodotti in un campo diverso da quello inziale”.
[2] M. CAVADINI, Considerazioni sul contratto di merchandising di marchio, in Riv. dir. sport., 1998, 351 analizza questo aspetto.
[3] V. E. CAPUZZO, Voce Merchandising, Enciclopedia Italiana Treccani – V Appendice (1993)
[4] Tali distinzioni si possono leggere in M. INTROVIGNE, voce Merchandising in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione commerciale. IX, 1993.
[5] Nell’ambito di questo modello contrattuale, inoltre, entrano in gioco anche tutte le norme che tutelano i relativi diritti e consentono con l’autorizzazione del titolare la loro utilizzazione commerciale da parte di terzi. Per un approfondimento in merito alle norme che tutelano questi diritti v. F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2015, p. 85 ss.
[6] P. AUTERI, Lo sfruttamento del valore suggestivo dei marchi d’impresa mediante merchandising, in Contratto e impresa, 1989, 510 parla di “sfruttamento del valore suggestivo”.
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