I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Messina, con la quale veniva confermata la condanna emessa in primo grado, in ordine ai reati di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7 e art. 187 C.d.S., comma 8, proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione poiché l’accertamento ematico era stato richiesto dalla polizia giudiziaria allo specifico fine di accertare il tasso alcolemico o la presenza di tracce di assunzione di sostanze stupefacenti e dunque la sussistenza di estremi di reato a carico dell’A., con esclusione di ogni finalità diagnostico-terapeutica.
Tal che, ad avviso del ricorrente, il rifiuto, da parte dell’imputato, al predetto accertamento, di natura invasiva e incidente sulla libertà personale, non poteva pertanto essere considerato penalmente rilevante costituendo anzi l’esercizio di un diritto.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La doglianza veniva reputata manifestamente infondata atteso che l’art. 186 C.d.S., comma 7 e art. 187 C.d.S., comma 8, sanzionano penalmente la condotta di chi rifiuta di sottoporsi agli accertamenti previsti dalla legge al precipuo fine di appurare il tasso alcolemico o l’eventuale presenza di tracce della pregressa assunzione di sostanze stupefacenti, al di fuori di qualunque finalità diagnostico-terapeutica e proprio nell’ottica della verifica della sussistenza o meno dei reati di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica.
Da ciò se ne faceva conseguire come non possa ritenersi sussistente alcun diritto di rifiutare di sottoporsi a tali accertamenti, integrando anzi la relativa condotta estremi di reato.
Conclusioni
La sentenza in oggetto è sicuramente condivisibile in quanto afferma come non possa riconoscersi un diritto di rifiutare di sottoporsi agli accertamenti previsti dalla legge quando la legge prevede espressamente che tale rifiuto integra un illecito penale (nella specie il reato di cui agli articoli 186 C.d.S., comma 7 e art. 187 C.d.S., comma 8).
Anche ragioni di logica, oltre che giuridiche, tra l’altro, militano a sostegno di questo assunto in quanto non si può conferire ad un comportamento la valenza di un diritto nella misura in cui è considerato un fatto penalmente rilevante.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, non può che essere positivo.
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