Il fatto
La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la decisione del GIP presso il Tribunale di Vibo Valentia, appellata dall’imputato, con cui questi era stato ritenuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4 e art. 80, comma 2 per aver coltivato presso la propria abitazione all’intero di un terreno di sua proprietà ed anche in altro terreno di fatto allo stesso in uso n. 1087 piante di canapa indiana.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, adducendo i seguenti motivi: a) violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. quanto al mancato esame da parte della Corte territoriale delle doglianze avverso la sentenza di primo grado; b) violazione di legge per erronea applicazione della ritenuta aggravante della ingente quantità sostenendosi che la sentenza impugnata non si sarebbe confrontata “con l’orientamento giurisprudenziale pressoché consolidato della giurisprudenza di legittimità, che afferma che, in ipotesi di detenzione di droghe leggere, ai fini della configurazione della circostanza aggravante de qua, si renda necessario il superamento della soglia di 4000 unità e non più di duemila“; c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p. quanto alla denegata concessione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva sussistente, in relazione al secondo motivo di gravame, il contrasto giurisprudenziale evincibile dalle stesse affermazioni del ricorrente nonché dalla segnalazione da parte del massimario della Corte di Cassazione (Rel. N. 59/16 del 30 novembre 2016).
Si osservava a tal proposito che le Sezioni Unite (sentenza n. 36258 del 24/05/2012) avessero stabilito il principio secondo il quale l’aggravante della ingente quantità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata.
Oltre a ciò, veniva rilevato, da un lato, che, da parte di alcune decisioni, era stato osservato che la sentenza in argomento delle Sezioni Unite “interveniva nell’ambito di un quadro normativo affatto diverso dall’attuale, ossia in epoca antecedente alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi“, dall’altro, che che “il decreto del Ministro della Salute in data 11 aprile 2006, richiamato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nella versione antecedente la detta pronunzia d’incostituzionalità, aveva fornito indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale, delle sostanze elencate nella tabella I del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis del detto Testo Unico” fermo restando come fosse in seguito intervenuto il ben noto mutamento del quadro normativo di riferimento (conseguente in particolare alla citata sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato illegittimi la L. n. 49 del 2006, artt. 4-bis e 4-vicies ter; e al D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con 3 modificazioni nella L. 16 maggio 2014, n. 79, entrata in vigore in data 21 maggio 2014) e ciò aveva posto appunto all’attenzione della giurisprudenza di legittimità il problema della permanenza o meno della validità del criterio stabilito dalle Sezioni Unite ai fini dell’aggravante de qua.
Sulla basi di tali premesse giuridiche gli ermellini facevano presente come sul punto fossero rinvenibili due diversi indirizzi.
Secondo un primo orientamento, espresso ex multis dalle sentenze Sez. 3, n. 1609 del 27/05/2015 e Sez. 3, n. 12532 del 29/01/2015, l’impostazione accolta dalle Sezioni Unite dovrebbe ritenersi superata in quanto essa si rapporterebbe al sistema tabellare che il D.L. n. 272 del 2005, art. 4-vicies ter, convertito con modificazioni nella L. n. 49 del 2006 (c.d. legge Fini-Giovanardi), aveva introdotto nel testo unico degli stupefacenti, sostituendo alle originarie quattro tabelle che distinguevano le droghe leggere (tabelle 2 e 4) dalle droghe pesanti (tabelle 1 e 3) un’unica tabella relativa a tutte le sostanze stupefacenti e psicotrope droganti tenuto conto altresì del fatto che, a seguito della già citata sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale, il legislatore aveva modificato il sistema tabellare che ne era conseguito introducendo con il D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni nella L. 16 maggio 2014, n. 79, quattro nuove tabelle in ordine a tali sostanze. Tal che, alla luce di tale indirizzo nomofilattico, se ne faceva conseguire come la determinazione dei presupposti per l’applicazione della aggravante della ingente quantità non potesse prescindere da questa diversa impostazione normativa dato che il nuovo quadro legislativo formatosi, che smentisce la ratio della normativa vigente all’epoca dello sviluppo giurisprudenziale summenzionata, appare difficilmente compatibile con una interpretazione tendenzialmente soltanto aritmetica e dunque “automatica” dell’aggravante dell’ingente quantità.
Viceversa, secondo un secondo e diverso indirizzo espresso in altre decisioni, la Corte si era espressa in senso affermativo (vds. fra le altre Sez. 6, n. 543 del 17/11/2015, dep. 2016; Sez. 6, n. 44596 del 08/10/2015; Sez. 6, n. 6331 del 04/02/2015; e la già citata Sez. 4, n. 49619 del 12/10/2016) sul rilievo che i criteri elaborati dalle Sezioni unite, con la ridetta decisione n. 36258/2012, per l’applicazione della aggravante della ingente quantità, mantengono una loro validità nella misura in cui possono essere utilizzati come meri criteri orientativi e individuati a seguito di una indagine condotta su un numero cospicuo di sentenze di merito.
Ciò posto, la sentenza impugnata, a sua volta, aveva al riguardo così motivato: “Quanto all’aggravante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, va osservato che, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (SS.UU. n. 36258 del 24 maggio 2012)”, ritenendo in concreto che il quantitativo dello stupefacente sarebbe comunque superiore a quello ritenuto soglia per integrare l’aggravante in oggetto.
Sul punto era stato tuttavia riaffermato il già richiamato diverso orientamento (cfr. Sez. 4, n. 49366 del 19/07/2018) attraverso la sentenza della Sezione 6 della Cassazione n. 36209 del 13/07/2017, perdurando quindi il già segnalato contrasto.
Con tale reiterata impostazione, sempre con riferimento alle cd. “droghe leggere“, difatti, veniva ribadito che l’aggravante della ingente quantità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo sia inferiore a 4000 volte (e non 2000) il valore massimo in milligrammi (valore soglia), determinato per detta sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006 evidenziandosi al contempo che l’applicazione di tale moltiplicatore si rendeva necessario al fine di rispettare le proporzioni e rendere omogeneo il principio affermato dalle Sezioni unite penali con la citata sentenza n. 36258 del 2012 in conseguenza dell’annullamento del D.M. 4 agosto 2006 che, con riferimento alle cd. “droghe leggere“, aveva innalzato il quantitativo massimo giornaliero di principio attivo detenibile, previsto dal D.M. 11 aprile 2006, nella misura di 1000,00 mg. ed alla conseguente reintroduzione del limite previgente pari a 500 mg..
All’opposto, in senso contrario e conformemente alla sentenza impugnata, era stato invece sostenuto che, in tema di stupefacenti, per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, comma 1-bis, come modificato dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile (Sez. 4, n. 55014 del 15/11/2017).
Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite in relazione alla seguente questione di diritto: “Se, con riferimento alle cd. “droghe leggere”, la modifica del sistema tabellare realizzata per effetto del D.L. 20 marzo 2014, n. 36 convertito con modificazioni nella L. 16 maggio 2014, n. 79, imponga una nuova verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante della ingente quantità, in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa, oppure mantengano validità, per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi dell’art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, comma 1 bis , e ss.mm.ii., i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile di cui alla sentenza delle SS.UU. n. 36258 del 24 maggio 2012 (…)”.
Conclusioni
L’ordinanza in commento è di notevole interesse in quanto si demanda alle Sezioni Unite il compito di stabilire se permangono, al fine di delimitare i parametri applicativi inerenti l’aggravante dell’ingente quantità, i criteri ermeneutici già elaborati con l’arresto giurisprudenziale formulato nella sentenza n. 36258 del 2012, ovvero si renda necessario una nuova verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’attuazione della circostanza de qua.
Non resta dunque che vedere quale posizione assumeranno le Sezioni Unite in questa occasione.
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