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R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Ragusa, dott. Giovanni Giampiccolo ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nelle cause di lavoro riunite iscritte ai nn. da 870/04 a 874/04 R.G.
T R A
xxxxx, rappr. e dif. dagli avv.ti xxxxxxx per procura in calce al ricorso introduttivo;
– ricorrenti –
CONTRO
Gestione Commissariale Fondo Buonuscita per i lavoratori delle Poste Italiane S.p.A, in persona del Commissario pro tempore, rappr. e dif. dall’avv. F. Veraldi per procura a margine della memoria di difesa;
– resistente –
Avente ad oggetto: Calcolo indennità di buonuscita.
All’udienza del 25.01.2005, sulle conclusioni dei procuratori delle parti, la causa è decisa come da dispositivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorsi al giudice del lavoro di Ragusa, depositati in data 25.06.2004, i ricorrenti in epigrafe indicati allegano di essere stati dipendenti di Poste Italiane Spa Filiale di Ragusa sino alle date indicate nei rispettivi ricorsi, tutte successive al febbraio 1998, con trattamento pensionistico a carico della Gestione Commissariale (d’ora in avanti G.C.) per la liquidazione del fondo buonuscita per i lavoratori di Poste Italiane spa presso l’IPOST (Istituto Postelegrafonici).
Deducono che la G.C. ha liquidato loro l’indennità di buonuscita sulla base dello stipendio percepito al 28/02/1998 (data di trasformazione di Poste Italiane da Ente Pubblico Economico a Società per Azioni).
Si dolgono del fatto che la G.C. ha rigettato la loro istanza di riliquidazione della indennità di buonuscita sulla base del trattamento economico in godimento alla data di effettiva cessazione dal servizio.
Poiché tra le due date (28 febbraio 1998 – data di cessazione effettiva dal servizio) i ricorrenti hanno percepito aumenti stipendiali dovuti a rinnovo contrattuale e/o la quattordicesima mensilità, ambedue soggetti a contribuzione e utili a formare la base di calcolo (art. 66 C.C.N.L. del 01/2001), chiedono che la G.C. sia dichiarata obbligata a corrispondere loro la differenza tra l’ammontare dell’indennità di buonuscita calcolata sulla base dell’ultima retribuzione e l’ammontare percepito.
Chiedono altresì che la G.C. convenuta sia condannata a corrispondere le specifiche somme calcolate in seno ai ricorsi introduttivi, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione del diritto al soddisfo.
In subordine, chiedono condannarsi parte resistente a corrispondere, sulla somma liquidata dalla G.C., la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dal mese di luglio del 1998 (120 giorni dopo la cessazione del rapporto con l’E.P.E.) all’integrale soddisfo.
Si costituisce la G.C. eccependo che per effetto della disposizione di cui all’art. 53, comma 6, lett. a) della l. 449/97, ai ricorrenti spetta l’indennità di buonuscita maturata al febbraio 1998, quindi sulla base dell’ultimo stipendio a detta data maturato.
Richiama a sostegno il parere reso dalla Ragioneria Centrale dello Stato, secondo cui “in applicazione della predetta norma….che fa riferimento alla indennità maturata, è da ritenere che la prestazione vada calcolata considerando i valori retributivi utili in vigore alla data del 27.02.1998…nel caso in cui si intendano assicurare ai dipendenti in argomento forme di rivalutazione della indennità di buonuscita, eventualmente coerenti a quanto dispone in proposito l’art. 2120 c.c., occorrerebbe un apposito intervento legislativo…”.
Chiede quindi il rigetto del ricorso.
La causa, previa riunione alle altre connessa, viene discussa oralmente all’odierna udienza sulle conclusioni delle parti, nonchè decisa come da separato dispositivo in atti di cui si dà pubblica lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata e deve essere accolta nei termini che seguono.
L’art. 53, comma 6, della legge n. 449/1997 testualmente recita: “a decorrere dalla data di trasformazione dell’Ente Poste Italiane in Società per Azioni, ai sensi dell’art. 2 c. 27 della legge 23 dicembre 1996 nr. 662, al personale dipendente della società medesima spettano: a) il trattamento di fine rapporto di cui all’art.2120 del codice civile e, per il periodo antecedente, l’indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all’alinea del presente comma….”.
Il successivo comma 8 prevede che per il periodo antecedente la data di cui al comma 6, valgono le norme in vigore per l’Ente pubblico economico. Per i dipendenti della Società Poste Italiane sono fatti salvi i diritti, gli effetti di leggi speciali e quelli rinvenienti dall’originaria natura pubblica dell’Ente di appartenenza.
In sintesi, i dipendenti della s.p.a. Poste Italiane collocati a riposo dopo la data di costituzione di quest’ultima hanno diritto all’erogazione del TFR secondo le norme del comune rapporto di lavoro privato subordinato (art. 2120 c.c.) solo limitatamente alla durata del servizio prestato successivamente alla data stessa, mentre per il periodo precedente è loro dovuta l’indennità di buonuscita liquidata secondo le regole che si applicano ai dipendenti statali.
Queste ultime sono dettate dal DPR 1032/1973, recante il testo unico delle norme in materia di prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato.
Secondo l’art. 1 del DPR 1032/1973 “i dipendenti statali, all’atto della cessazione dal servizio, conseguono il diritto all’indennità di buonuscita o all’assegno vitalizio secondo le norme del presente testo unico”.
Secondo l’art. 3 “…. l’indennità è pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui all’art. 38….. per la determinazione della base contributiva…si considera l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva “.
Secondo l’art. 38 “la base contributiva è costituita dall’80 per cento dello stipendio, paga o retribuzione annui, considerati al lordo, di cui alle leggi concernenti il trattamento economico del personale iscritto al Fondo, nonché dei seguenti assegni…concorrono altresì a costituire la base contributiva gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale”.
Ai fini che qui interessano, dalla normativa considerata emerge che: 1) il diritto all’erogazione dell’indennità di buonuscita sorge alla cessazione dal servizio; 2) l’indennità in parola non è soggetta ad alcuna forma di rivalutazione, non essendo calcolata con il metodo degli accantonamenti annuali, come avviene per il TFR, ma sulla base dell’ultimo stipendio o retribuzione integralmente percepiti.
Ora secondo parte resistente per l’individuazione dell’ultimo stipendio o ultima paga o retribuzione dovrebbe aversi riguardo alla data del febbraio 1998, di trasformazione dell’Ente, e non a quella di effettiva cessazione dal servizio; e ciò sulla base della lettera della norma di cui all’art. 53, comma 6, della legge n. 449/1997, laddove viene previsto che per il periodo antecedente al febbraio 1998 spetta “l’indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente”. L’espressione “indennità maturata” andrebbe riferita all’indennità siccome calcolata e spettante a quella data.
Questo giudice, già sul piano letterale, non ritiene obbligata una siffatta interpretazione.
L’espressione “indennità maturata” può essere riferita al periodo temporale maturato, ovvero al numero di anni sul quale commisurare l’indennità, bloccato al 28 febbraio 1998, e non impedisce che la base di calcolo venga individuata, secondo la normativa vigente prima di quella data, nell’ultima retribuzione percepita al momento di cessazione effettiva del rapporto.
Deve poi osservarsi, su un piano logico sistematico, che ogni trattamento di fine servizio comunque denominato (TFR, indennità di buonuscita, indennità premio servizio, indennità di anzianità) può essere determinato solo al momento della risoluzione del rapporto, che costituisce non solo un termine per l’adempimento di un credito già maturato, ma un elemento essenziale di completamento della fattispecie costitutiva.
Con riferimento specifico poi all’indennità di buonuscita, la Corte, al termine di una complessa evoluzione giurisprudenziale, l’ha ricondotta nella categoria generale dei trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico, riconoscendo a tutti questi trattamenti – in stretta analogia con quelli del settore privato – l’essenziale natura di retribuzione differita, pur se legata ad una concorrente funzione previdenziale.
Tutte le indennità di fine rapporto, invero, costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita – appunto in funzione previdenziale – onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione.
Tant’è che la misura del trattamento si determina in proporzione alla durata del lavoro prestato nonché alla globale retribuzione di carattere continuativo spettante al dipendente. E per ognuna di esse può dunque ripetersi che è stata “conquistata attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa” (ex multis Corte Cost. 106/1996).
E’ anche per tale motivo che i vari trattamenti di fine servizio che il nostro ordinamento conosce, o ha conosciuto, o che sono in fase di superamento, sono accomunati dal fatto di essere tutti muniti, pur nelle diversità dei relativi sistemi di calcolo, di meccanismi idonei a salvaguardarne il potere di acquisto o comunque a proteggerli dall’erosione dell’inflazione.
Per il TFR le quote della retribuzione annuale accantonate sono rivalutate ogni anno mediante incremento al 31 dicembre con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dei prezzi al consumo accertato dall’Istat (art. 2120 c.c.).
L’indennità di buonuscita (per gli statali) e l’indennità premio servizio (per i dipendenti degli enti locali) sono invece prestazioni che poggiano su un sistema di computo di tipo moltiplicativo e che fanno essenzialmente riferimento all’ultima retribuzione, sia pure non considerata per l’intero; riferimento che ha la funzione di assicurare l’adeguatezza del corrispettivo retributivo finale al costo della vita, che nel corso degli anni lavorativi è nel frattempo cresciuto.
Al riguardo anche la vicenda del passaggio dall’indennità di anzianità al TFR, per il settore privato, è eloquente; è noto infatti che i rapporti di lavoro in corso all’entrata in vigore della l. 297/1982, che ha dettato l’attuale disciplina dell’istituto, restano assoggettati ad un meccanismo di computo differenziato: per i periodi successivi trovano applicazione i nuovi criteri; per le anzianità maturate in precedenza viene calcolata l’indennità di anzianità al 31 maggio 1982 sulla base dell’ultima retribuzione parzialmente deindicizzata; però tanto la prima che la seconda tranche vengono annualmente rivalutate attraverso il meccanismo di indicizzazione previsto per il TFR, ed attribuite al dipendente alla cessazione del rapporto.
Peraltro il calcolo della buonuscita sulla base dell’ultima retribuzione percepita alla data di cessazione effettiva dal servizio non realizzerebbe per i lavoratori una duplicazione di spettanze economiche a titolo di trattamento di fine servizio, poiché il periodo successivo al febbraio 1998 verrebbe “coperto” esclusivamente con il TFR, mentre per il periodo precedente l’utilizzo dell’ultima retribuzione avverrebbe soltanto come base di calcolo per il computo dell’indennità di buonuscita.
Le due operazioni liquidatorie restano comunque separate, in considerazione dei distinti periodi cui i due regimi, privatistico e pubblicistico, restano parimenti soggetti.
Per contro, accettando l’interpretazione fornita da parte resistente, ne conseguirebbe che alla data di cessazione effettiva dal servizio (in ipotesi dopo 5, 10, 15 anni dal 28 febbraio 1998) il lavoratore riceverebbe, oltre al trattamento di fine rapporto per il periodo successivo al febbraio 1998, una somma a titolo di indennità di buonuscita per il periodo precedente, ma “congelata” a quella data.
Ora una norma che disponesse in tal senso difficilmente sfuggirebbe al sospetto di incostituzionalità con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, poichè la somma così determinata perderebbe progressivamente la proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato; così realizzando disparità di trattamento non solo con altre categorie di lavoratori, pubblici e privati, ma anche all’interno della stessa categoria di dipendenti postali, cessati dal servizio prima del 28 febbraio 1998 o assunti dopo tale data.
La Corte Costituzionale ha infatti diverse volte affermato che la rivalutazione dei crediti da lavoro dipendente costituisca forma di attuazione dell’art. 36 della Costituzione (Corte Cost. 204/1989; 401/1993).
In particolare la sentenza n. 164 del 1989 riguarda un caso che presentava aspetti similari a quelli di cui ci si occupa.
Con la legge 23 dicembre 1975, n. 698 è stata disposta la soppressione, alla data del 31 dicembre 1975, dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (O.N.M.I.), ed il trasferimento alle Regioni, ovvero allo Stato, delle funzioni già svolte da detto ente nonché del relativo personale, con inquadramento di questo nei ruoli degli enti (comuni e provincie, o Stato) cui tali funzioni venivano nel contempo attribuite.
All’art. 9 – in parte modificato con l’art. 5 della legge 1° agosto 1977, n. 563 – è stato previsto che “Ai fini… del trattamento di fine servizio, il personale trasferito è iscritto agli istituti od enti previsti per il personale delle amministrazioni riceventi” (I.N.A.D.E.L. o E.N.P.A.S.).
Il secondo comma di tale disposizione, nel testo risultante dalla predetta modifica, ha previsto poi che il medesimo “trattamento di fine servizio sarà liquidato agli interessati da parte dei predetti enti, per i periodi di servizio prestati presso le amministrazioni riceventi, nella misura prevista per il relativo personale, e per il periodo di servizio prestato presso l’O.N.M.I., nella misura prevista dal regolamento per il trattamento di quiescenza del personale” dell’O.N.M.I. medesimo. “L’ufficio liquidatore verserà agli istituti o enti interessati per conto dell’O.N.M.I. l’importo delle indennità di anzianità maturate all’atto del trasferimento, sulla base del citato regolamento da ciascun dipendente trasferito rispettivamente alle regioni od allo Stato”.
Il giudice remittente aveva aderito all’interpretazione adottata dal Consiglio di Stato, secondo cui l’indennità di anzianità spettante per il periodo di servizio presso l’O.N.M.I. avrebbe dovuto calcolarsi sulla base dell’ultima retribuzione goduta alle dipendenze del predetto ente alla data del trasferimento, anziché sulla base dello stipendio in godimento all’atto della definitiva cessazione dal servizio.
Tale presupposto interpretativo non è stato però condiviso dalla Corte Costituzionale, che ha quindi rigettato la questione di costituzionalità dell’art. 9 della legge 23 dicembre 1975, n. 698, nel testo modificato dall’art. 5 della legge 1° agosto 1977, n. 563: “Certo, se la norma impugnata dovesse essere intesa nel senso che l’indennità di anzianità liquidata alla data del definitivo collocamento a riposo debba restare congelata nell’ammontare calcolabile alla data dello scioglimento dell’O.N.M.I. – senza cioè che si provveda ad introdurre, in tale ipotesi, un meccanismo perequativo che ne salvaguardi il potere d’acquisto – le censure prospettate in riferimento all’art. 36 Cost. dai giudici a quibus sarebbero degne di attenta considerazione. Ma, appunto, una tale conclusione urta contro l’interpretazione adottata, sulla base dei suesposti argomenti, dalla Corte di cassazione, la quale fa in materia applicazione del principio per cui le indennità di fine rapporto vanno calcolate sull’ultima retribuzione: nella specie, quella corrisposta all’epoca della definitiva cessazione dal servizio presso l’ente di destinazione”.
Parte resistente richiama, a sostegno della propria tesi difensiva, uno stralcio della sentenza della Corte Costituzionale 259/2002, nella parte in cui si evidenzia che “l’avvenuto mutamento della natura del datore di lavoro dei dipendenti dell’Ente Poste (da amministrazione statale a s.p.a.) rende non irrazionale l’adozione da parte del legislatore, di una disciplina del trattamento di fine rapporto che conviva “pro rata” con il precedente sistema della buonuscita”.
Con la sentenza 259/2002 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 2, comma 4, del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione all’occupazione e di carattere previdenziale), convertito nella legge 20 marzo 1998, n. 52 e dell’art. 6, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)] – nella parte in cui, anche dopo la soppressione del corrispondente contributo dovuto dal datore di lavoro all’Istituto postelegrafonici (avente effetto dal 28 febbraio 1998), continua a porre a carico dei dipendenti postali “gli oneri di contribuzione per il finanziamento al Fondo di previdenza e credito in favore dell’IPOST (Istituto postelegrafonici) nella misura del 2,50 per cento sino all’anno 2000, dell’1, 75 per cento per l’anno 2001 e dell’uno per cento per l’anno 2002, a titolo di rivalsa di cui all’art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032”.
Dalla lettura della motivazione della citata sentenza si evince chiaramente che la questione della base di calcolo per l’indennità di buonuscita non è stata minimamente affrontata dalla Corte, mentre la c.d. “convivenza pro rata” dei due sistemi (buonuscita e TFR) non è pregiudicata dall’assunzione dell’ultima retribuzione come base di calcolo per l’indennità di buonuscita, stante l’assoluta separatezza dei due periodi, che non è in discussione.
Da quanto precede ne consegue che va dichiarato il diritto dei ricorrenti al computo dell’indennità di buonuscita sulla base dell’ultima retribuzione percepita.
Per la determinazione in concreto degli importi dovuti ai ricorrenti in forza della presente pronuncia si rende necessario procedere alla nomina di un consulente contabile, peraltro chiesta dagli stessi ricorrenti; ciò che comporta la rimessione della causa sul ruolo, per determinare la base contributiva ai sensi degli artt. 3 e 38 del DPR 1032 del 1973.
Va riservata al definitivo ogni altra statuizione, ivi compresa quella relativa alla regolazione delle spese del grado.
P. Q. M.
– non definitivamente pronunciando, dichiara il diritto dei ricorrenti in epigrafe indicati alla liquidazione dell’indennità di buonuscita sulla base dell’ultima retribuzione integralmente percepita all’atto della cessazione del rapporto di lavoro con Poste Italiane s.p.a.;
– provvede come da separata ordinanza per l’accertamento degli importi differenziali dovuti, a mezzo di consulenza tecnico contabile;
– riserva al definitivo ogni altra statuizione.
Così deciso in Ragusa il 25.01.2005
Il Giudice del lavoro
Dott. Giovanni Giampiccolo
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