Il riconseguimento della patente ai sensi dell’art.219, comma 3 ter codice della strada

Di  Avv, SILVIO BRUCOLI * e  Avv. LAURA DANIELE**

Premessa- Le sanzioni amministrative accessorie

Con riferimento alla patente di guida, le principali sanzioni accessorie previste dal nostro ordinamento sono la sospensione della patente e la revoca della patente.

La sospensione della patente priva la patente di efficacia per un periodo di tempo determinato e comporta la preclusione a condurre i veicoli per i quali sia prevista l’abilitazione alla guida.

La revoca della patente invece priva definitivamente di efficacia e validità la patente di guida con la conseguenza che il titolare si trova nella stessa condizione di chi non ha mai conseguito la patente stessa. Per riottenere la patente è quindi necessario il superamento dei prescritti esami.

E’ utile ricordare che la sospensione della patente avente natura di sanzione accessoria va distinta dalla sospensione provvisoria della patente avente natura cautelare adottata dal Prefetto ai sensi dell’art. 223c.d.s. (trattasi delle ipotesi di violazione dalle norme stradali da cui derivino “danni alle persone” e nelle altre ipotesi di reato). Tale provvedimento ha la finalità di tutelare con immediatezza l’incolumità e l’ordine pubblico e per tale ragione è oggetto di un particolare e celere iter procedimentale.

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Le sanzioni accessorie per la guida in stato di ebbrezza e per la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti

Passando ad analizzare la disciplina prevista dal nostro ordinamento in caso di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, la sanzione accessoria in via generale è costituita dalla sospensione della patente. Ma in alcune ipotesi, considerate di maggior allarme sociale (art. 186, n. 2 e 2 bis, art.186 bis, art. 187 n. 1 e 1 bis), come sanzione accessoria, in luogo della sospensione della patente, è prevista la revoca della patente.

In via esemplificativa non esaustiva, le ipotesi in cui generalmente viene disposta la revoca della patente sono le seguenti:

– recidiva nel biennio di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l (art. 186, n.2, lett.c) e recidiva nel triennio in caso di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti  (art. 187, n.1);

– conducente con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di stupefacenti che abbia provocato un incidente stradale (art. 186, co.2 bis; art. 187, co 1bis)

– guida con tasso alcolemico superiore a 1,5g/l   commessa da un conducente di autobus o di veicolo destinato al trasporto merci, con massa complessiva a pieno carico superiore alle 3,5 t (art. 186 bis, co.5);

– recidiva nel triennio per particolari categorie di conducenti (neopatentati, conducenti di autobus ecc,. art. 186 bis, co.5).

In particolare poi, la revoca della patente è prevista nei reati di lesioni personali stradali gravi o gravissime e di omicidio stradale, con tempi di interdizione molto lunghi in caso di commissione dei detti reati da soggetto in stato di ebbrezza alcolica con tasso superiore a 1,5 g/l ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (art.222 c.d.s.).

Trattasi evidentemente di ipotesi di particolare gravità che destano fortissimo allarme sociale, per le quali il legislatore, più volte intervenuto nel corso degli anni, ha via via inasprito le pene principali ed accessorie e da ultimo ha circondato il riconseguimento della patente da particolari limiti e cautele per scongiurare il rischio, a tutela della collettività, di un troppo celere rientro sulla strada del guidatore a cui sia stata revocata la patente per le dette ragioni.

Per le ipotesi sopra riportate è dunque previsto che il giudice, con la sentenza o il decreto penale di condanna, disponga la sanzione accessoria della revoca della patente (art. 222 cds, co.2) che viene poi concretamente irrogata dal Prefetto nel momento in cui la cancelleria trasmette la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna passati in giudicato (art.224, cds, co 2: “Quando la sanzione amministrativa accessoria è costituita dalla revoca della patente, il prefetto, entro quindici giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabile, adotta il relativo provvedimento di revoca comunicandolo all’interessato e all’ufficio della Direzione generale della M.C.T.C.”).

Tra i vari casi di periodi di interdizione alla guida previsti dal nostro legislatore a tutela della pubblica incolumità, vogliamo soffermare l’attenzione sull’art. 219 cds, comma 3 ter, inserito dalla legge n.120/2010, che prevede “quando la revoca della patente è disposta a seguito delle violazioni di cui agli articoli 186, 186 bis e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato fatto salvo quanto previsto dai commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 222”.

Si legga anche:” “Nuova” patente di guida ed equipollenza alla carta di identità”

La ratio dell’interdizione triennale per il riconseguimento della patente

E’ necessario precisare che, come è noto, nel nostro ordinamento attuale, sebbene la revoca produca la definitiva perdita di efficacia e validità della patente, la stessa non determina una preclusione irreversibile al riconseguimento di una nuova patente. Dopo la revoca è previsto però un periodo di interdizione durante il quale non è possibile riconseguire il titolo di abilitazione alla guida.

La ratio di tale interdizione è da ricercarsi innanzitutto nella necessità di evitare un immediato rientro sulla strada di chi si sia reso colpevole di gravi violazioni al codice della strada.

Ed infatti, se non ci fosse il periodo di interdizione, l’interessato potrebbe riottenere la patente, previo superamento dell’esame, subito dopo aver ricevuto il provvedimento di revoca. Indubbiamente la funzione deterrente della revoca sarebbe gravemente depotenziata ed anzi l’istituto risulterebbe addirittura più favorevole della sospensione della patente, che comporta l’inibizione alla guida per un periodo di tempo determinato.

Per tale motivo il legislatore ha previsto per la revoca quale sanzione amministrativa accessoria a illeciti amministrativi un periodo di interdizione di due anni (art.219, co. 3 bis) e, per i casi più gravi, penalmente rilevanti, di guida in stato ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, un periodo di inibizione di tre anni (art. 219, comma 3 ter), fatto salvo quanto previsto dai commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 222 in caso di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime, introdotti dalla legge 21.2.2016, n.102. Infatti, ove ricorrano tali reati, il legislatore ha previsto, oltre all’aumento delle pene criminali principali, un inasprimento della disciplina della sanzione accessoria della revoca della patente con allungamento del conseguente periodo di interdizione alla guida, che va da un minimo di cinque anni ad un massimo di 30 anni. Tanto che si è parlato di “ergastolo della patente” proprio per sottolineare la estrema difficoltà di riottenere la patente e di poter tornare a circolare sulle strade. In realtà, a differenza di quanto accadeva in passato (l’art.91, co. 7, del vecchio codice della strada, D.P.R. 15 giugno 1959 n.393, prevedeva, nei casi più gravi in cui veniva disposta la revoca, che non potesse poi “essere rilasciata una nuova patente”) nell’attuale Codice della strada, resta solo un caso in cui il destinatario viene privato per sempre della possibilità di conseguire nuovamente un titolo abilitativo alla guida, secondo il combinato disposto degli artt.120, co.1, e 222, co.2, C.d.S., a seguito di due revoche della patente.

L’interpretazione dell’espressione “accertamento del reato

La questione centrale posta dal comma 3 ter dell’art. 219 Cds è costituita dall’interpretazione della espressione “accertamento del reato” necessaria per  l’esatta individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il termine triennale di interdizione alla guida.

Sul punto si sono formati fondamentalmente due indirizzi interpretativi.

Secondo una prima interpretazione, il momento di inizio del periodo triennale di interdizione doveva coincidere con la data di accertamento del fatto da parte degli organi di polizia.

Secondo un altro orientamento invece, che si è andato man mano affermando ed è diventato prevalente in giurisprudenza, il periodo comincia a decorrere solo con il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna. A favore di questa tesi è intervenuto anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che, con circolare n. 15040 del 7 luglio 2014, conformandosi al parere reso sull’argomento dal Ministero dell’Interno, ha chiarito che “la data di accertamento del reato, da cui decorre il triennio per poter riottenere il titolo abilitativo alla guida, va intesa con riguardo al passaggio in giudicato della sentenza penale e non già con riferimento al momento in cui l’organo accertatore contesta l’infrazione. Tale momento, invero, segna il mero avvio della fase processuale, il cui esito sarà determinato dalla pronuncia del giudice penale e dal successivo passaggio in giudicato della stessa”.

Ovviamente, la scelta per l’una o l’altra interpretazione incide sui tempi necessari per poter ottenere di nuovo la patente.

I sostenitori della prima interpretazione trovano sostegno nella Relazione n. III/08/10 del 3 agosto 2010, redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione a commento delle novità legislative in materia di sicurezza stradale introdotte dalla legge n.120/2010, che al punto II-2, a proposito della data di accertamento del reato contenuta nell’art.219, comma 3 ter,  precisa che se, a seguito della condanna per una delle contravvenzioni di cui agli artt. 186, 186 bis e 187 sia stata disposta la revoca della patente, il condannato non può “conseguirne una nuova prima di tre anni dalla data di accertamento del reato (e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza o del decreto di condanna)”. Tuttavia, bisogna considerare che tale Relazione dell’Ufficio del Massimario ha unicamente lo scopo di dare informazioni sulle novità normative. Nella stessa quindi non sono affermati principi di diritto che, come è noto, la Corte di Cassazione può enunciare solo nelle sentenze.

Inoltre, a sostegno di tale tesi, viene invocata anche la differenza terminologica utilizzata dal legislatore nel comma 3 bis, che indica come dies a quo la data in cui il provvedimento diventa definitivo, e nel comma3 ter, che fa riferimento invece semplicemente alla data di accertamento del reato, senza far accenni alla definitività del provvedimento.

Altro motivo per il quale sarebbe da seguire tale tesi è costituito poi dai lunghi tempi del processo penale che l’interessato dovrebbe aspettare, tempi che possono variare caso per caso e che quindi modificherebbero di volta in volta anche l’entità della sanzione. In tal senso si è pronunciato il Tar Veneto con sentenza 15 luglio 2016, n. 829, affermando: “il riferimento fatto dall’amministrazione al passaggio in giudicato della sentenza non risulta conforme alle dizione della legge, nonché alla sua ratio, che evidentemente è quella di non consentire la guida a chi si è reso responsabile di un incidente in stato di ebbrezza, ma senza che tale sanzione sia protratta per un tempo indefinito come avverrebbe se il riferimento fosse al passaggio in giudicato, che dipende dai tempi di conclusione del procedimento giurisdizionale ed è quindi soggetto a elementi variabili e diversi per ciascun caso, mentre la data certa è quella dell’accertamento del reato (…) per data di accertamento del reato deve intendersi – secondo un’interpretazione coerente e logica dell’art. 219, la data di contestazione della violazione da parte dell’Organo accertatore”. (Nello stesso senso Tar Piemonte, 14 ottobre 2015, n.1415; Tar Veneto, 9 marzo 2015, n. 2881; Tar Veneto, 15 giugno 2016, n. 639).

Infine, a sostegno di tale tesi vengono richiamate le norme sulla prescrizione del reato, che fanno riferimento al momento in cui è stato commesso il fatto.

Tale interpretazione però appare poco convincente per una serie di considerazioni.

In primo luogo bisogna tener presente che nella giurisprudenza della Corte di Cassazione per “accertamento del reato” si intende esclusivamente quello compiuto dal giudice penale nel processo; in tale sede il giudice compie un accertamento completo ed esaustivo dei fatti addebitati all’imputato e della sua colpevolezza. Precisa ancora la Corte di Cassazione che solo la sentenza di condanna contiene l’accertamento del reato ed il giudizio di colpevolezza; e ciò anche in caso di patteggiamento. Ai fini penali non vi è alcuna differenza concettuale tra “accertamento del reato” e “sentenza di condanna” (Cass. pen, sez. IV, 11 agosto 2004, n. 34293). Anche in occasione di un giudizio sulla legittimità dell’applicazione di sanzioni accessorie (sospensione e revoca della patente) con la sentenza di patteggiamento, la Cassazione ha affermato che “la normativa, in conclusione, rinvia l’effetto automatico dell’applicazione della sanzione accessoria a un esito del procedimento penale, che presuppone un fatto al quale accede la sanzione amministrativa” (Cass. Pen., Sez. Un., 21 luglio 1998, n. 8488).

Si deve poi tener conto che, seguendo un criterio logico-sistematico, il presupposto per l’applicazione della normativa in esame è la revoca della patente, revoca che nei casi esaminati viene disposta dal giudice penale come sanzione accessoria e viene poi irrogata dal prefetto quando la sentenza di condanna è passata in giudicato. In particolare l’art. 224, co. 2, Cds. prevede che quando la sentenza penale o il decreto di accertamento del reato e di condanna che dispongono la revoca sono irrevocabili, il prefetto, entro quindici giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna, adotta il relativo provvedimento di revoca comunicandolo all’interessato e all’ufficio competente del Dipartimento per i trasporti terrestri. Il provvedimento prefettizio di revoca della patente in questi casi è quindi meramente esecutivo e interviene solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna.

Sul punto è intervenuto il Tribunale di Como, con ord. 2 settembre 2015, r.g. n. 3121/2015: “ai sensi dell’art. 224 CdS, quando la revoca della patente consegue a un reato, la sentenza penale di condanna irrevocabile deve essere comunicata al Prefetto che, entro 15 giorni, provvede alla revoca della patente. In tal caso, quindi, la revoca della patente consegue al passaggio in giudicato della sentenza penale. Prima di tale momento, non essendo intervenuta alcuna revoca della patente, non ha senso discorrere dell’ammissione ad un nuovo esame di guida”. Nello stesso senso il Tribunale di Sondrio, con ordinanza R.G. 144/2016, ha affermato: “un reato può dirsi definitivamente accertato solo allorquando la pronuncia giudiziale che ne ha accertato la sussistenza acquisti efficacia di giudicato (…) poiché prima che intervenga il giudicato non vi è revoca della patente, e poiché prima che intervenga la revoca della patente non vi è necessità di conseguirne una nuova, coerenza impone che il decorso del termine per il conseguimento della nuova patente presupponga il passaggio in giudicato della pronuncia di condanna”. Allo stesso modo, anche il Tribunale di Trieste (ord. R.G. 3380/2016) ha osservato che:”…il significato letterale dell’espressione “a decorrere dalla data di accertamento del reato” contenuta nell’articolo 219, comma 3ter del Codice della Strada, fa riferimento all’accertamento compiuto dal Giudice penale, l’Organo a cui spetta istituzionalmente decidere se ci sia stato o meno un reato. Prima, e cioè alla data di commissione del fatto o a quella di contestazione della violazione, c’è solo un fatto storico, un’ipotesi di reato, il cui accertamento definitivo è differito al passaggio in giudicato della sentenza”.

A proposito della differente lunghezza del processo penale caso per caso, il Tribunale di Ancona, con ordinanza R.G. 2001/2017, ha rilevato che: “Né può sostenersi che siffatta interpretazione della norma provochi una situazione di incertezza sulla durata della sanzione: la sanzione ha una durata di tre anni, il dies a quo coincide con una data certa così come il dies a quem; il tempo necessario per giungere ad una sentenza penale irrevocabile – questo sì variabile, in base ai tempi della Autorità Giudiziaria ma anche alle scelte processuali  dell’imputato – non incide affatto sulla durata della sanzione accessoria, la quale non viene applicata finché non si è formato il giudicato”.

Bisogna inoltre considerare che, anche seguendo un criterio ermeneutico letterale, il dato letterale della norma fa riferimento al “reato” e non genericamente al fatto o all’illecito. In tal senso si è pronunciato il Tribunale di Firenze con ordinanza 28 settembre 2015, R.G. 7746/2015: “per fissare il riferimento temporale dal quale decorre il triennio utile per poter conseguire una nuova patente di guida, il legislatore ha usato una precisa locuzione: “accertamento del reato”. Ciò vuol dire che il termine triennale decorre dall’accertamento giudiziale, poiché nel nostro ordinamento spetta, istituzionalmente, al giudice il compito di accertare la sussistenza di un reato. Più precisamente, il decorso del termine presuppone il passaggio in giudicato della condanna penale, poiché solo dopo il passaggio in giudicato l’accertamento del reato è definitivo e, quindi, può dirsi effettivamente compiuto. Da rilevare che, se il legislatore avesse voluto far riferimento all’accertamento di polizia, avrebbe, certamente, utilizzato espressioni diverse, quali “infrazione”, “violazione”, consumazione dell’illecito” et similia”. Anche il Consiglio di Stato con sentenza 16 giugno 2016, n. 2416, ha affermato: “poiché l’autorità amministrativa non può accertare reati, rientrando ciò nell’ambito delle competenze dell’Autorità giudiziaria, ad avviso della Sezione risulta fondata la tesi delle Amministrazioni appellanti, secondo cui il medesimo art. 219, comma 3 ter, va interpretato nel senso che la revoca della patente di guida può essere conseguito solo dopo che siano decorsi tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia accertato il reato (vale a dire la relativa responsabilità penale). D’altra parte, il testo legislativo non si è riferito alla «data di commissione del fatto», né alla «data di accertamento del fatto in sede amministrativa»: qualora risultasse fondata la tesi fatta propria dal TAR si dovrebbe attribuire rilievo decisivo agli accertamenti ‘dei fatti’ effettuati in sede amministrativa ai sensi dell’art. 186, commi 3 e seguenti, mentre invece l’art. 219, comma 3 ter, si é testualmente riferito all’«accertamento del reato», che implica l’accertamento di tutti i suoi elementi costitutivi, incluso l’elemento soggettivo, con la relativa spettanza dei poteri esclusivamente alla Autorità giudiziaria.”.

In conclusione, appare evidente che far decorrere il termine di cui al citato art. 219, comma 3-ter dal momento della commissione del fatto porterebbe alla conclusione che il periodo di interdizione triennale dovrebbe iniziare a decorrere già molto tempo prima della sentenza del giudice penale che dispone la revoca; il che risulta illogico e irrazionale e non coerente con il sistema delle sanzioni amministrative accessorie. Si potrebbe arrivare all’assurda situazione, nei casi in cui il giudizio avesse una durata ultratriennale e la sentenza fosse emessa a distanza di diversi anni dal fatto, che il soggetto sarebbe legittimato a conseguire una nuova patente di guida prima del provvedimento di revoca del prefetto, provvedimento che risulterebbe, quindi, inutiliter dato (in questo senso Tribunale di Bolzano, ord. 22 ottobre 2015, R.G. 4509/2015 e Trib. Sondrio, ord. 17 agosto 2016, R.G. 114/2016).

Inoltre, dal punto di vista sistematico si osserva che una interpretazione che facesse decorrere il triennio in parola dalla data della commissione del fatto porterebbe a conclusioni incoerenti rispetto all’ipotesi prevista dal comma 3-bis dell’art. 219 del codice della strada, fattispecie oggettivamente meno grave in quanto relativa a revoca come sanzione accessoria non conseguente ad accertamento del reato, per la quale il termine da cui ha inizio il periodo biennale di interdizione alla guida decorre, non dal momento del fatto, ma da quando diventa definitiva l’ordinanza di revoca, vale a dire nel tempo in cui questa risulta ormai inoppugnabile perché non impugnata o perché respinto il relativo ricorso. Appare infatti evidente che, se il periodo indicato nel successivo comma 3-ter (riguardante ipotesi di reato) decorresse dalla data di commissione del fatto, in termini temporali si garantirebbe al responsabile di fattispecie ben più gravi un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dal legislatore nel precedente comma 3-bis. La questione è stata messa in evidenza dal Tribunale di Como (ord. 2 settembre 2015, r.g. n. 3121/2015) che ha sottolineato: “Va tenuta presente la volontà del legislatore di inasprire il trattamento sanzionatorio per il caso più grave di commissione di un reato. Se il termine di tre anni decorresse dal fatto e non dall’esaurimento del giudizio, in concreto chi ha commesso un reato, in molti casi, potrebbe conseguire la nuova patente in un tempo inferiore rispetto a quello previsto dall’art. 219, comma 3 bis per il caso meno grave di commissione di una mera violazione amministrativa.”

La sentenza della Corte di Cassazione

Di recente è poi intervenuta sull’argomento la Corte di Cassazione, con sentenza 20 maggio 2019, n. 13508. Ad originare il contenzioso era stato il comportamento penalmente rilevante di guida in grave stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l con conseguente incidente stradale, che aveva comportato, oltre alla sanzione penale, anche la sanzione accessoria della revoca della patente di guida, disposte entrambe con sentenza di patteggiamento. In esecuzione della sentenza penale, il Commissario del Governo per la Provincia di Trento adottava il provvedimento di revoca della patente con decorrenza dal momento della notifica del provvedimento stesso.

Con ricorso in opposizione presentato al giudice di pace di Rovereto, veniva impugnato il provvedimento di revoca adottato dal Commissario del Governo nella parte in cui la decorrenza dell’efficacia del provvedimento veniva fissata al momento della notifica dello stesso anziché dal momento del ritiro cautelare della patente. Il Giudice di Pace di Rovereto, con sentenza n. 141/2014, a parziale modifica del provvedimento commissariale opposto, confermava la revoca della patente con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza penale. Si legge nella sentenza di primo grado: “La ratio della misura sanzionatoria è quella di privare il trasgressore in modo definitivo della patente fino a nuova verifica della idoneità alla guida. (…) L’introduzione dei commi 3 bis e 3 ter dell’art. 219 del Cds, che prevedono un periodo di tempo da osservare prima di poter conseguire una nuova patente, determinano certamente nella volontà del legislatore un inasprimento della sanzione di revoca. Questa opera per sua natura dal momento in cui diviene definitivo l’accertamento sanzionatorio (ordinanza della Prefettura o sentenza del Giudice) e non tiene conto del periodo di sospensione precedente della patente. Nel caso che la revoca debba applicarsi per fatti costituenti reato, il Prefetto, ai sensi dell’art. 224 c.2 del Cds adotta il provvedimento dopo che è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna. La revoca infatti comporta la revisione di tutti i requisiti necessari per conseguire nuovamente la patente e ha la stessa natura di altri provvedimenti sanzionatori implicanti la perdita di una abilitazione. Se si perde il titolo abilitativo rimane incerto il suo conseguimento fino a nuova verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge. Ne consegue che nel caso specifico i tre anni previsti dall’art. 219 c.3 ter decorrano dalla data in cui la decisione giudiziale del reato è divenuta irrevocabile”.

L’interessato presentava appello denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 219, co. 3 ter Cds per avere il Giudice erroneamente affermato che il termine dilatorio fissato dalla norma decorre dal passaggio in giudicato della sentenza penale, anziché dal giorno di accertamento del fatto da parte degli agenti verbalizzanti e chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, l’individuazione e indicazione della data di decorrenza del provvedimento di revoca della patente dalla data di commissione del fatto. Il Tribunale di Rovereto accoglieva l’appello e disponeva la revoca della patente con decorrenza a partire dal giorno di accertamento del fatto.

Il Commissariato del Governo di Trento presentava quindi ricorso avanti alla Corte di Cassazione.

Appare chiaro che durante tutto il percorso di tale contenzioso, nei vari gradi di giudizio, sembrano sovrapporsi due piani, quello che riguarda la decorrenza dell’efficacia del provvedimento di revoca (peraltro, nel caso in esame, del tutto irrilevante) e quello che concerne invece la decorrenza del periodo di interdizione triennale, necessario per il riconseguimento della patente. Nel dispositivo della sentenza d’appello, in particolare, il Tribunale prende posizione solo relativamente alla data di decorrenza del provvedimento di revoca della patente (il dispositivo della sentenza recita testualmente: “dispone che la revoca della patente abbia decorrenza a partire dal giorno di accertamento del fatto”). La Cassazione, con la sentenza 20 maggio 2019, n. 13508, mette in evidenza che oggetto del giudizio è la decorrenza della revoca della patente e non l’art. 219, co. 3 ter Cds. Osserva la Suprema Corte che “il provvedimento di revoca della patente non viene, dunque, materialmente in esistenza prima che il Giudice penale lo pronunci (altro essendo, per natura, finalità ed effetti diversi, il provvedimento prefettizio, cautelare, di sospensione provvisoria della patente) e, logicamente, il suo procedimento di applicazione da parte della competente autorità amministrativa non può iniziare prima che la sentenza penale sia passata in giudicato. La revoca della patente è, pertanto, un atto ad efficacia istantanea adottabile dall’autorità amministrativa solo una volta che la sentenza penale di condanna sia, appunto, passata in giudicato”. Secondo la Suprema Corte quindi l’art. 219 c. 3 ter viene inopportunamente invocato dato che si tratta di norma che non è diretta a disciplinare la decorrenza degli effetti della revoca. La decisione in oggetto accoglie il ricorso del Commissariato di Governo di Trento cassando la sentenza di appello “là dove il Tribunale deduce che la data di accertamento del reato – dalla quale, decorsi tre anni, è possibile conseguire una nuova patente di guida – vada intesa come data di accertamento del fatto e non certo come data di passaggio in giudicato della decisione che accerta giudizialmente la sussistenza della fattispecie penale e sembra così, implicitamente,  aderire all’interpretazione dell’art. 219, co.3 ter secondo cui il periodo triennale di interdizione decorre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna.

In conclusione, dal panorama complessivo che emerge dalle varie pronunce intervenute in materia, la giurisprudenza più recente sembra orientata verso l’interpretazione secondo la quale con la locuzione “accertamento del reato” il legislatore ha voluto intendere accertamento compiuto dal giudice penale e divenuto definitivo e ciò anche in considerazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art. 27 co.2 Cost.) che impedisce di poter ritenere un reato definitivamente accertato prima che la relativa pronuncia giurisdizionale assuma efficacia di giudicato.

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*             Avvocato, Dirigente della Pubblica Amministrazione

**           Avvocato del Foro di Roma

Avv. Brucoli Silvio

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