A pochi giorni di distanza dal deposito della pronuncia con cui la III Sezione Civile della Cassazione aveva affermato che “nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura” (Cass. Civ., sez. III, n. 26286 del 15.01.2019, dep. 17.10.2019, già annotata su Diritto.it), la I Sezione civile della Suprema Corte ritorna sulla questione con un’ordinanza interlocutoria (ord. n. 26946 del 27.06.2019, dep. 22.10.2019) con la quale – preso atto dei contrasti giurisprudenziali emersi nella giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità – rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite civili.
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La fattispecie concreta
Nel caso di specie, la controversia era stata originata dall’opposizione proposta dalla cliente di un istituto di credito avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento di somme dovute a titolo di rate insolute, capitale residuo, interessi moratori e penale relativi ad un finanziamento concesso con contratto di credito al consumo.
Accolta parzialmente l’opposizione, nel successivo grado di giudizio la Corte d’appello territorialmente competente respingeva sia l’impugnazione in via principale proposta dall’istituto di credito, sia il gravame incidentale proposto dalla debitrice. Con particolare riferimento alla questione degli interessi, i giudici di secondo grado confermavano l’applicabilità della L. 108/1996 sia agli interessi corrispettivi che a quelli moratori, evidenziando come “sebbene il contratto di finanziamento fosse stato sottoscritto in data anteriore all’emanazione del d.m. 25.03.2003, che aveva provveduto per la prima volta alla rilevazione del tasso di mora, già il precedente D.L. 29.12.2000, n. 394 aveva fatto riferimento agl’interessi a qualunque titolo convenuti, individuando il limite oltre il quale gl’interessi dovevano considerarsi comunque usurari nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito era compreso, aumentato della metà”. Rilevato come – nella vicenda in esame – il tasso di interesse moratorio applicato fosse pari al 18% annuo, la Corte d’appello dichiarava la relativa clausola nulla ex art. 1815, c. 2, c.c., oltre che inefficace ai sensi dell’art. 1469-bis c.c. .
L’istituto di credito proponeva quindi ricorso per Cassazione, formulando molteplici censure attinenti – in particolar modo – “gl’interessi da corrispondere sulla somma dovuta a titolo di restituzione del finanziamento”.
Si legga anche:”Cumulo interessi corrispettivi e moratori”
L’orientamento favorevole all’applicazione della normativa antiusura agli interessi moratori
Con specifico riguardo alla questione dell’applicabilità o meno della normativa antiusura agli interessi moratori, la Suprema Corte osserva come in passato la giurisprudenza di legittimità si sia più volte espressa in senso affermativo, sulla scorta “del mero richiamo alla lettera dell’art. 644, primo comma, cod. pen. e dell’art. 1815 cod. civ., che non distinguono tra interessi corrispettivi e moratori, nonché all’art. 1224, primo comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale gl’interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”.
Il tema è stato affrontato anche dalla giurisprudenza più recente la quale – oltre alle già richiamate considerazioni di natura testuale – ha evidenziato come in definitiva interessi corrispettivi e moratori condividano una medesima ed omogenea funzione economica, costituendo “la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, e nel secondo caso involontariamente” (precisandosi come, in quest’ultima ipotesi, “il danno patito dal creditore per il ritardo nel pagamento di un debito pecuniario [… consista…] nella necessità di ricorrere al credito, remunerando chi lo conceda, o, in alternativa, nella rinuncia ad impiegare la somma dovuta in investimenti proficui”).
Tra gli altri argomenti a favore di questo primo orientamento passati in rassegna dalla Suprema Corte – oltre a quello storico che spiega l’esistenza di due distinte disposizioni codicistiche in tema di interessi rispettivamente corrispettivi (art. 1282 c.c.) e moratori (art. 1224 c.c.) come “mero retaggio dell’unificazione del codice civile e di quello di commercio” – interessante è il punto di vista di chi ha osservato che “l’esclusione dell’applicabilità della [disciplina antiusura] agl’interessi moratori condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento”.
L’orientamento contrario all’applicazione della normativa antiusura agli interessi moratori
Le tesi sin qui illustrate hanno nel tempo alimentato un vivace dibattito sia tra gli studiosi che tra i giudici di merito, pervenuti spesso a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata. È quanto ad esempio accaduto con riferimento al dato testuale, la cui irrisolta ambiguità imporrebbe di guardare anche altrove in cerca di soluzioni più sicure ed appaganti (si pensi ad esempio all’art. 644 c.p., che da un lato incrimina la dazione di interessi usurari “in corrispettivo” di una prestazione di denaro o di altra utilità, ma dall’altro prescrive di tener conto – per la determinazione del tasso di interesse – delle remunerazioni “a qualsiasi titolo” percepite dal mutuante).
In tal senso, un importante elemento di differenziazione tra interessi corrispettivi ed interessi di mora emergerebbe dalla prassi della Banca d’Italia la quale, “nel procedere alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui all’art. 2, comma primo, della legge n. 108 del 1996, ha costantemente escluso dalla base di calcolo gl’interessi moratori, attribuendo una finalità meramente conoscitiva alla rilevazione del relativo tasso medio”. Tale esclusione è stata giustificata in ragione del carattere del tutto eventuale degli interessi moratori: essi infatti, derivando da un inadempimento del debitore, costituiscono una voce di costo estranea all’ordinato e regolare sviluppo del rapporto di finanziamento; allo stesso tempo, si è sottolineato come “l’estensione [anche a tale tipologia di interessi] della disciplina antiusura comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla pattuizione di penali una tantum, aventi analoga funzione, ma sottratte all’ambito di operatività della legge n. 108 del 1996”.
Che gli interessi di mora non possano essere accomunati a quelli corrispettivi sembrerebbe potersi poi desumere, a livello sistematico, dalla lettura dell’art. 19 della direttiva n. 2008/48/CE del 23.04.2008, laddove dispone che – ai fini della trasparenza delle condizioni contrattuali – il calcolo del tasso annuo effettivo globale avvenga al netto di eventuali penali dovute in caso di inadempimento da parte del debitore.
Oggetto di critiche è stato anche il già esposto argomento ad absurdum fondato sulla maggior convenienza che l’inadempimento potrebbe rivestire per il creditore in caso di sottrazione degli interessi moratori alla disciplina antiusura, poiché al contrario – ove cioè tale disciplina si applicasse – nel caso di accertata usurarietà del tasso d’interesse moratorio si determinerebbe ex lege “l’azzeramento del debito degl’interessi”, circostanza che “potrebbe favorire […] anche comportamenti opportunistici del debitore”.
Le osservazioni della sezione rimettente
A fronte del contrasto tra le posizioni espresse dai due illustrati orientamenti, la Suprema Corte osserva come “sotto il profilo pratico, l’esclusione degl’interessi moratori dalla base di calcolo del tasso effettivo globale medio [abbia] fatto poi sorgere il problema dell’individuazione del parametro di riferimento da adottare ai fini della valutazione del carattere usurario dei predetti interessi”. A tal fine, rileva la Corte, non sembra potersi “assumere come termine di paragone il tasso medio [degli interessi di mora] rilevato a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia”: tale rilevazione infatti, oltre che non vincolante, risulterebbe priva di adeguata continuità temporale, essendo stata ripresa soltanto negli ultimi anni dopo un lungo periodo di sospensione.
Né appare percorribile l’opzione di confrontare “puramente e semplicemente il saggio degli interessi concordato dalle parti col tasso soglia calcolato in riferimento al tipo di contratto stipulato, senza alcuna maggiorazione od incremento”, dal momento che tale soluzione finirebbe per porre a confronto dati disomogenei (da un lato un tasso effettivo globale medio determinato in base alla rilevazione dei tassi degli interessi corrispettivi praticati per ciascuna tipologia di contratto; dall’altro un tasso di interesse moratorio, normalmente ben più elevato di quello applicato per gli interessi corrispettivi).
Il precedente intervento delle SS.UU. in tema di commissione di massimo scoperto
Dovendosi in questo delicato ambito negoziale garantire “l’omogeneità dei dati in base ai quali devono essere calcolati, rispettivamente, il tasso effettivo globale applicabile al contratto concretamente stipulato tra le parti ed il tasso effettivo globale medio, che costituisce a sua volta la base per la determinazione del tasso soglia”, l’ordinanza in commento richiama quanto recentemente statuito dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione in merito alla nota questione della commissione di massimo scoperto. Nella propria pronuncia (Cass. Civ., SS.UU. n. 16303 del 20.06.2018, dep. …), il Supremo Collegio ha chiarito che “ai fini della verifica del superamento del tasso soglia […] occorre procedere alla separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata […] rispettivamente con il tasso-soglia e con la “commissione soglia” calcolata aumentando della metà la percentuale della commissione media indicata nei decreti ministeriali, compensando poi l’importo dell’eventuale eccedenza della commissione in concreto praticata con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati”.
La soluzione accolta dalle Sezioni Unite in relazione alla specifica questione della commissione di massimo scoperto pone in evidenza il generale principio di simmetria su cui si regge l’intera disciplina dettata dalla legge n. 108 del 1996: essa infatti “definisce alla stessa maniera gli elementi da porre a base del calcolo del tasso effettivo globale concretamente applicato e quelli da prendere in considerazione ai fini della rilevazione del tasso effettivo globale medio, e quindi della determinazione del tasso soglia”.
Le questioni controverse
Rilevato che “la commissione di massimo scoperto rientra pur sempre tra le commissioni o remunerazioni menzionate dal comma quarto dell’art. 644 cod. pen. e dall’art. 2, comma primo, della legge n. 108” e che “la predetta esigenza di simmetria non consente di escludere la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso effettivo globale”, la sezione rimettente si interroga se analoghe considerazioni possano valere in relazione agli interessi moratori: occorre in altre parole valutare “se l’evidenziato principio di simmetria consenta o meno di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora” alla disciplina di contrasto all’usura. Soltanto in caso di risposta negativa a tale primo quesito occorrerà stabilire “se, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui al comma primo dell’art. 2 cit., o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione”.
A fronte del contrasto giurisprudenziale in atto – evidentemente profondo e ancora irrisolto se è vero che nel corso dell’ultimo anno la stessa Cassazione, pur avendo in tre diverse occasioni affermato l’assoggettabilità degli interessi moratori alla disciplina antiusura, si è tuttavia divisa in ordine alle modalità di calcolo del tasso soglia e alle conseguenze del suo eventuale superamento (cfr. Cass. Civ., sez. III, ord. n. 27442 del 17.05.2018, dep. 30.10.2018; Cass. Civ., sez. III, n. 17447 del 08.05.2019, dep. 28.06.2019; infine Cass. Civ., Sez. III, n. 26286 del 15.01.2019, dep. 17.10.2019) – un eventuale intervento delle Sezioni Unite potrà forse porre qualche auspicabile punto fermo in un settore – quello dei contratti bancari – il cui impatto sulla vita e sulle scelte di consumo e di investimento di cittadini e imprese appare tutt’altro che trascurabile.
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