1. Il concetto di “invenzione” ed i requisiti di brevettabilità
La dicotomia in tema di proprietà industriale tra diritti morali (inalienabili e intrasmissibili) e diritti di sfruttamento economico, tipica dell’assetto normativo continentale e (per quel che rileva in questa sede) italiano, trova la sua massima espressione nelle peculiari ipotesi di invenzione dei dipendenti e dei ricercatori universitari.
È necessario, pertanto, soffermarsi preliminarmente sui profili oggettivo e soggettivo dell’argomento in esame (ossia sul concetto di “invenzione” e sui soggetti interessati), nonché sulle caratteristiche e sui requisiti del brevetto, per poi analizzare le tipologie di invenzioni dei dipendenti e le relative implicazioni e, dunque, esaminare la specifica normativa posta dal codice della proprietà industriale in materia di invenzioni universitarie e le, non infrequenti, deroghe dell’autonomia privata nei contratti di ricerca.
Andando con ordine, sebbene non vi sia una definizione univoca, è possibile definire l’invenzione come la soluzione nuova ed originale di un problema tecnico mai risolto in passato od altrimenti risolto in altro modo.
Tale definizione individua, in particolare, i requisiti di brevettabilità dell’invenzione.
Per essere brevettabile, difatti, l’invenzione deve avere i seguenti requisiti (artt. 46, 48, 49 e 50 D. Lgs. 30/2005, da qui c.p.i., “Codice della Proprietà Industriale”): novità; attività inventiva; industrialità; liceità.
Il brevetto è titolo costitutivo in capo al titolare – per la durata di venti anni – di un diritto esclusivo di sfruttamento dell’invenzione nell’ambito di un determinato territorio nazionale (“principio di territorialità” del brevetto) ed in virtù del quale è possibile impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare l’invenzione in assenza di espressa autorizzazione (licenza).
Figure essenziali nella disciplina del brevetto sono l’inventore ed il titolare del brevetto, figure talvolta coincidenti.
In ogni caso, al primo, il c.p.i., all’art. 62, riconosce il diritto, di natura morale (e, come tale, inalienabile ed intrasmissibile), di essere riconosciuto come tale.
Al titolare del brevetto, invece (come detto, non necessariamente coincidente con l’inventore), sono riconosciuti i diritti di natura patrimoniale ricollegabili all’invenzione, nonché il diritto di vietare a terzi l’uso dell’invenzione o di concederla in licenza.
2. Le invenzioni dei dipendenti
Peculiare è, poi, la disciplina delle invenzioni dei dipendenti.
Queste, ai sensi dell’art. 64 c.p.i., si distinguono in tre categorie: le “invenzioni di servizio”, le “invenzioni d’azienda” e la “invenzione occasionale”.
Costituiscono “invenzioni di servizio” quelle derivanti da un rapporto di lavoro “in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita” (art. 64, comma 1 c.p.i.); dunque, il sinallagma contrattuale è basato sulla specifica attività inventiva del dipendente, a tal fine retribuito. In tale ipotesi, il diritto al deposito della domanda di brevetto è riconosciuto al datore di lavoro (che ne è, dunque, il titolare), sebbene l’inventore/dipendente conservi il diritto “di esserne riconosciuto autore”.
Una diversa disciplina è dettata, invece, per le “invenzioni d’azienda” (art. 64, comma 2 c.p.i.), derivanti dalla attività inventiva del dipendente, la quale attività, tuttavia, non costituisce lo specifico oggetto del rapporto di lavoro e, pertanto, non è specificamente retribuita. In sostanza, è l’ipotesi del dipendente che, nel corso dello svolgimento delle proprie mansioni, si imbatta nella invenzione.
In tal caso, il datore di lavoro ha facoltà di monetizzare l’invenzione, mediante brevetto o messa in commercio in regime di segreto industriale.
Prevede la norma che “i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro”, che ne è, dunque, il titolare, sebbene all’inventore sia comunque attribuito “il diritto di essere riconosciuto autore”, nonché il diritto ad un “equo premio”, qualora “il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza industriale”; per la quantificazione dell’equo premio dovrà tenersi conto “dell’importanza dell’invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall’inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro”.
Giova evidenziare che sia per le invenzioni “di servizio”, che per quella “d’azienda” è requisito essenziale che l’invenzione sia stata messa a punto durante l’orario di lavoro, nello svolgimento delle mansioni lavorative dell’inventore.
Ultima ipotesi è quella della “invenzione occasionale”, di cui all’art. 64, comma 3 c.p.i.
Recita il dato normativo: “Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro” (requisito la cui sussistenza va verificata in concreto) “quest’ultimo ha il diritto di opzione per l’uso, esclusivo o non esclusivo dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all’estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione…”.
In tale ipotesi, dunque, i diritti patrimoniali sull’invenzione spettano all’inventore, sebbene al datore di lavoro sia riconosciuto un diritto di opzione, salvo il diritto alla corresponsione di un canone nei confronti dell’inventore nel caso in cui l’opzione venisse esercitata.
Tale disciplina è stata estesa anche al lavoratore autonomo, ai sensi dell’art. 4 della L. 81/2017.
3. Le Invenzioni Universitarie
Nel su delineato contesto normativo, si inseriscono le Invenzioni Universitarie, la cui disciplina deroga espressamente alle previsioni dell’art. 64 c.p.i.
Ai sensi del primo comma dell’art. 65 c.p.i., difatti, “quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. L’inventore presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all’amministrazione”.
In via di default, dunque, la disciplina speciale prevede che nella ipotesi di ricerca pubblica (effettuata per un Ente che abbia tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca), il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore.
Non è, tuttavia, accantonato il ruolo dell’Ente pubblico di ricerca, il quale, anzi, ha facoltà di utilizzare e sfruttare l’invenzione, davanti all’inerzia dell’inventore.
Tale facoltà è, tuttavia, sottoposta a specifici presupposti.
Ed infatti, è necessario che decorrano cinque anni dal rilascio del brevetto senza che “l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale” – a meno che ciò non sia dipeso da “cause indipendenti dalla loro volontà” -, fermo restando il diritto per il ricercatore di vedersi riconosciuto come autore.
In tal caso, “la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi o di farli sfruttare da terzi” (art. 65, comma 4 c.p.i.).
Si assiste, dunque, ad una inversione della titolarità dei diritti patrimoniali, rispetto a quanto previsto per le invenzioni di servizio dall’art. 64, comma 1 c.p.i. Tale inversione è giustificata dalla circostanza che l’invenzione deriva da una libera attività di ricerca effettuata nell’ambito degli scopi istituzionali dell’Ente che ospita il ricercatore.
A fronte di ciò, il ricercatore è, però, onerato di provvedere autonomamente (e a proprie spese) al deposito della domanda di brevetto.
Egli ha, inoltre, l’obbligo espresso di informare l’Ente di ricerca con cui collabora; Ente a cui è riconosciuto il diritto a percepire parte del ricavato dallo sfruttamento del brevetto.
La entità di quanto spettante all’Ente di ricerca è rimessa alla autonomia negoziale; in difetto, ad esso spetta il 30% dei proventi o canoni, fermo restando che il ricercatore/inventore ha diritto a percepire non meno del 50% di tali proventi o canoni (art. 65, comma 3 c.p.i.).
4. L’ipotesi di intervento privato nel finanziamento della ricerca
L’equilibrio sopra delineato tra interessi del ricercatore/inventore e interessi dell’Ente di ricerca non trova una speculare formalizzazione nella ipotesi di intervento privato nel finanziamento della ricerca.
L’art. 65, comma 5 c.p.i. pone una deroga espressa alla prefata disciplina (“Le disposizioni del presente articolo non si applicano…”) “nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore”.
Come emerge dal dato letterale, una incidenza decisiva sui diritti derivanti dall’invenzione in ambito universitario ha la circostanza che il rapporto di ricerca si svolga nell’ambito dell’Ente Universitario (o pubblico promotore) ovvero coinvolga un altro ente pubblico o un soggetto privato. In altri termini, la disciplina varia se la ricerca è finanziata da un altro soggetto pubblico o da un privato.
5. Aspetti problematici
Nella ipotesi di finanziamenti privati, dunque, non operano le previsioni del primo comma dell’art. 65 c.p.i.
Tale previsione pone non pochi interrogativi sul piano ermeneutico sulla effettiva disciplina applicabile.
Ciò che appare chiaro, da una lettura a contrario della disposizione, rapportata ai commi precedenti, è che la titolarità dell’invenzione nel caso in cui la ricerca goda di finanziamenti di altri soggetti, pubblici o privati, non spetti, in linea di principio, al ricercatore.
Ciò determina, tuttavia, un vulnus di tutela, che, sebbene colmato nella prassi da accordi (spesso preventivi) ad hoc tra l’azienda privata finanziatrice ed il ricercatore, che regolano l’attribuzione (o attribuiscono preventivamente) la titolarità del brevetto ed i proventi, grava sulla posizione del ricercatore/inventore.
Pur a fronte del ruolo integrativo della autonomia negoziale, una indicazione normativa, seppur derogabile, costituirebbe un utile parametro che per la stessa autonomia negoziale sarebbe utilmente orientativo.
6. Il contratto di ricerca
Spesso, le Università promotrici del progetto di ricerca si dotano di regolamenti interni.
Lo strumento mediante il quale sono regolati i rapporti tra ricercatore ed Ente è il contratto di ricerca.
Con esso, non di rado il ricercatore cede la titolarità del brevetto all’Ente Universitario e quest’ultimo si impegna a corrispondere al ricercatore una percentuale sui proventi.
Tale strumento negoziale realizza un contemperamento tra gli interessi di ricercatore, università e soggetto finanziatore, nonché tra le esigenze di protezione e promozione dell’invenzione e quelle (solo apparentemente antitetiche) di tutela del know how e segretezza.
Sempre nell’ambito del contratto di ricerca, non infrequente nella prassi è l’ipotesi di pattuizione di vincoli post contrattuali più stringenti di quelli imposti dalla legge.
È il caso, ad esempio, degli obblighi di riservatezza convenuti in apposite clausole che prevedono espressamente stringenti penali per eventuali violazioni; è il caso della estensione temporale del vincolo previsto dall’art. 64, comma c.p.i, a norma del quale “si considera fatta durante l’esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d’impiego l’invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l’inventore ha lasciato l’azienda privata o l’amministrazione pubblica nel cui campo di attività l’invenzione rientra”.
Un’altra tipologia di vincolo post contrattuale, posto a tutela del know how, concerne il divieto, per l’Università finanziata, di sfruttare autonomamente le conoscenze maturate durante la cooperazione per produrre invenzioni derivate o di perfezionamento brevettate, se non previa autorizzazione del Finanziatore Privato e/o previa concessione di una licenza d’uso (gratuita) non esclusiva sulla nuova invenzione.
Le componenti usuali del contratto di ricerca (oltre, evidentemente, ai requisiti essenziali di cui all’art. 1325 c.c., fermo restando l’imprescindibile vaglio di meritevolezza ai sensi all’art. 1322 c.c. – in quanto contratto atipico –) sono: la durata; la definizione dettagliata di un programma di ricerca; i diritti e i doveri del ricercatore; la individuazione degli aspetti economici; la indicazione del background di conoscenze, materiali e strumenti di ricerca; il c.d. Material Transfer Agreement (MTA), ossia la pattuizione relativa al materiale biologico utilizzato; la previsione di licenze d’uso dell’informazione brevettata; la pattuizione sulla proprietà delle conoscenze maturate e dei risultati della ricerca e della documentazione; le modalità di protezione I.P.; l’utilizzazione dei risultati della ricerca.; i diritti alla registrazione di marchi.
Volume consigliato
Bibliografia essenziale
A.A.V.V., “Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza”, V ed., Giappichelli editore, Torino, 2016
Ghidini-Cavani, “Lezioni di Diritto Industriale. Proprietà industriale, intellettuale e concorrenza”, Giuffrè editore, Milano, 2014
Vanzetti-Di Cataldo, “Manuale di Diritto Industriale”, VIII ed., Giuffrè editore, Milano, 2018
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