(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 12; 22, c. 1 e 27)
Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani aveva applicato nei confronti di S. G. ed altri indagati, la misura cautelare degli arresti domiciliari in ordine al reato di cui agli artt. 110, 61 n. 9 e 640, comma secondo, cod. pen..
Dal canto suo, il Tribunale di Palermo, sezione specializzata per il riesame, aveva dichiarato l’incompetenza per territorio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani in favore del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo e, esclusa la sussistenza del requisito dell’urgenza quanto alle esigenze cautelari e finanche l’attualità delle stesse, aveva annullato l’impugnata ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani disponendo la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani per le sue determinazioni in ordine alla rilevata incompetenza territoriale.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Nel ricorso proposto, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani chiedeva l’annullamento del provvedimento per violazione di legge penale in relazione a quattro profili, e segnatamente: a) alla ritenuta incompetenza territoriale dell’A.G. di Trapani; b) alla stimata insussistenza del requisito dell’urgenza in relazione all’esigenza cautelare del pericolo di inquinamento probatorio; c) alla ravvisata insussistenza del requisito dell’urgenza in relazione all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa; d) alla erroneità della qualificazione del fatto sub capo 8) in quello di peculato anziché in quello di truffa aggravata
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva rigettato alla luce delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come dovesse essere rilevato che la declaratoria d’incompetenza territoriale da parte del giudice nella fase delle indagini preliminari non è vincolante per il pubblico ministero presso l’ufficio dichiarato incompetente per territorio, il quale può comunque continuare a svolgere le proprie investigazioni e ciò fintanto – ed a condizione – che non debba chiedere l’emissione da parte del giudice di un provvedimento che egli ritenga irrinunciabile e necessario, nel qual caso non potrà non essere vincolato dalla statuizione adottata sul punto dall’organo giurisdizionale.
Difatti, come avevano avuto modo di chiarire le Sezioni Unite, è inoppugnabile, salvo che sia abnorme, l’ordinanza con la quale, nel corso delle indagini preliminari, il giudice, ai sensi dell’art. 22, comma 1, cod. proc. pen., riconosce la propria incompetenza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero (Sez. U, n. 42030 del 17/07/2014) e, con specifico riguardo alla materia cautelare, è pacifico che il Tribunale investito del giudizio per riesame ex art. 309 cod. proc. pen. è legittimato a verificare la competenza territoriale del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare (v. Sez. U, n. 19 del 25/10/1994) e che, qualora detto Tribunale dichiari l’incompetenza territoriale del giudice a quo, viene ad attivarsi il meccanismo previsto dall’art. 27 cod. proc. pen. che prevede l’ultrattività della misura cautelare nei venti giorni dalla trasmissione degli atti al giudice competente, il quale è appunto tenuto a rinnovare il titolo in detto termine, pena la perenzione della misura (Sez. U, n. 1 del 24/01/1996).
Pertanto, sulla scorta di tali criteri ermeneutici, se ne faceva discendere che, in tema di misure cautelari, nella fase delle indagini preliminari, la questione circa la competenza territoriale è rilevante soltanto se incida in concreto sul procedimento incidentale de libertate, se sia cioè tale da innescare il meccanismo dell’art. 27 cod. proc. pen., che – nell’imporre la tempestiva rinnovazione da parte del giudice individuato come competente per territorio a pena di inefficacia – ovviamente presuppone che, nonostante la declaratoria d’incompetenza, la misura cautelare sia stata mantenuta mentre tale questione è inammissibile, perché non sorretta da interesse, nel caso in cui la misura cautelare non sia più in atto perché l’ordinanza coercitiva sia stata annullata per la rilevata insussistenza di taluno dei requisiti di legge posto che, in tale caso, la declaratoria dell’incompetenza territoriale non impedisce al pubblico ministero presso l’ufficio dichiarato incompetente di proseguire le investigazioni, il quale non può pertanto vantare un interesse – concreto ed attuale – a rimuovere l’effettivo pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 1695 del 19/03/1998).
Orbene, sulla scorta delle considerazioni che precedono, prima di affrontare la questione concernente la competenza territoriale – sebbene in astratto prioritaria a quella relativa al “merito cautelare” – il Supremo Consesso riteneva indispensabile verificare se fosse o meno fondato il secondo motivo di ricorso, concernente uno dei presupposti della misura cautelare, e se, pertanto, l’ordinanza applicativa della misura cautelare fosse stata o meno correttamente annullata dal Tribunale siciliano dipendendo da tale aspetto l’interesse dell’inquirente a coltivare il ricorso in punto di competenza.
Premesso ciò, gli Ermellini osservavano come, ferma la legittimità della valutazione del Tribunale del riesame circa l’urgenza di mantenere la misura cautelare (v. da ultimo, Sez. 2, n. 35630 del 14/06/2017), il discorso giustificativo posto a fondamento della ritenuta insussistenza nell’attualità delle esigenze cautelari di natura probatoria e special-preventiva, ad avviso della Corte, si appalesava essere stato corretto e scevro da vizi di ordine logico o giuridico avendo il Collegio rilevato, da un lato, come le prove di natura captativa e documentale fossero ormai immodificabili, dall’altro lato, come l’indagato si fosse ormai dimesso dall’incarico di medico presso l’INPS, di tal che non era più in condizione di poter ripetere le condotte fraudolente.
A fronte di tali considerazioni argomentative, i giudici di piazza Cavour stimavano i rilievi svolti dal P.M. non condivisibili là dove, per un verso, costui aveva argomentato la concretezza e l’attualità del pericolo di inquinamento probatorio ventilando il rischio che il ricorrente potesse concordare versioni di comodo con i coindagati senza però indicare gli specifici elementi concreti sulla base dei quali si fondi tale preoccupazione, per altro verso, quanto al pericolo di reiterazione criminosa, la pubblica accusa si era limitata a rilevare che le dimissioni summenzionate non avevano fatto venire meno le sue relazioni interpersonali in seno all’ente, né avevano determinato la cessazione dell’attività libero-professionale senza indicare le circostanze obbiettive suscettibili di conferire consistenza ed attualità al prospettato rischio di reiterazione di condotte fraudolente.
Difatti, se non è revocabile in dubbio che la prognosi sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede non sia impedita dalla circostanza che l’incolpato abbia dismesso l’ufficio o la funzione nell’esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa, ciò nondimeno, il giudice è tenuto a fornire puntuale e logica indicazione delle circostanze di fatto che rendono probabile che questi, nella diversa posizione soggettiva, possa continuare a porre in essere analoghe condotte criminose dato che, perché il periculum libertatis possa ritenersi concreto ed attuale, non è indispensabile che sia prevista una “specifica occasione” per delinquere (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017), ma è tuttavia necessario che sussistano elementi oggettivi e verificabili, e non meramente ipotetici o congetturali, attinenti allo specifico caso sub iudice, che rendano il rischio di recidivanza effettivo e tangibile nel momento in cui interviene la decisione sullo status libertatis (Sez. 6 n. 718 del 28/03/2018; Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016), vale a dire elementi la cui ricorrenza era stata esclusa dal Tribunale con considerazioni, ad avviso della Corte, scevre da manifesta illogicità, non convincentemente contrastate dalla parte pubblica ricorrente.
Dalla rilevata infondatezza del motivo relativo alle esigenze cautelari se ne faceva inoltre discendere l’assorbimento della questione di competenza territoriale potendo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani – nonostante la declaratoria d’incompetenza del Tribunale del riesame – continuare a svolgere indagini a piede libero nei confronti dell’impugnante posto che la declaratoria d’incompetenza da parte del Tribunale della libertà – emessa allo stato degli atti ed in sostituzione della dichiarazione di incompetenza che avrebbe dovuto pronunziare, ex art. 291, comma 2, e 22, comma 1, cod. proc. pen., il G.i.p. che ordinò la misura coercitiva – ha la limitata efficacia stabilita dall’art. 22, comma 2, stesso codice, sicché l’impugnazione proposta dal pubblico ministero non appare sorretta da un concreto interesse tenuto conto altresì del fatto che, in coerenza con tale regula iuris, il Tribunale del riesame aveva dichiarato l’incompetenza territoriale dell’A.G. di Trapani ed individuato come competente l’A.G. di Palermo, ma aveva anche disposto la trasmissione degli atti al P.M. in sede e non al P.M. di Palermo, rimettendo dunque all’inquirente trapanese la scelta se trasmettere o meno gli atti al P.M. palermitano al fine di coltivare nuovamente l’azione cautelare dinanzi al Gip del capoluogo siciliano.
Ciò posto, a questo punto della disamina, il Supremo Consesso riteneva però necessario rilevare incidentalmente l’erroneità della decisione assunta dal Tribunale in punto di competenza territoriale rilevandosi come quest’organo giudicante avesse trascurato l’ormai pacifica lezione ermeneutica della Cassazione in tema di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, secondo la quale l’identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018) rilevandosi al contempo come tale impostazione fosse stata di recente avallata dalle Sezioni Unite – sia pure con in un obiter dictum in parte motiva – là dove, nell’affermare che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c), cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare lo spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato-fine e quelli del reato-mezzo, era stata marcata la differenza strutturale tra l’ipotesi di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e quella di cui all’art. 12, lett. c), cod. proc. pen. ribadendo che, in caso di connessione per continuazione, è invece necessaria l’identità soggettiva dei participi ai reati connessi (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017).
Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, se ne faceva conseguire come risultasse essere erronea la decisione del Tribunale del riesame là dove aveva dichiarato l’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Trapani sul presupposto che il reato di cui al capo 25) fosse connesso ai reati contestati in via provvisoria ai coindagati – in particolare a quello più grave di peculato sub capo 8) -, atteso che, a prescindere dalla correttezza o meno della qualificazione del fatto sub capo 8) come peculato e dell’esattezza o meno del radicamento di tale delitto in Palermo piuttosto che in altro luogo, detto reato non era stato contestato in via provvisoria al ricorrente, sicchè egli manteneva il diritto ad essere giudicato dinanzi al “suo” giudice naturale, individuato in relazione all’unica incolpazione elevatagli, id est all’A.G. di Trapani.
Conclusioni
La sentenza in commento è assai interessante in quanto in essa sono affrontate diversi questioni inerenti la competenza del giudice.
In particolare, richiamando in molti dei casi che verranno menzionati da qui a poco giurisprudenza conforme, gli Ermellini, in tale pronuncia, hanno postulato quanto segue: I) è inoppugnabile, salvo che sia abnorme, l’ordinanza con la quale, nel corso delle indagini preliminari, il giudice, ai sensi dell’art. 22, comma 1, cod. proc. pen., riconosce la propria incompetenza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero; II) il Tribunale investito del giudizio per riesame ex art. 309 cod. proc. pen. è legittimato a verificare la competenza territoriale del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare e qualora detto Tribunale dichiari l’incompetenza territoriale del giudice a quo, viene ad attivarsi il meccanismo previsto dall’art. 27 cod. proc. pen. che prevede l’ultrattività della misura cautelare nei venti giorni dalla trasmissione degli atti al giudice competente, il quale è appunto tenuto a rinnovare il titolo in detto termine, pena la perenzione della misura; III) in tema di misure cautelari, nella fase delle indagini preliminari, la questione circa la competenza territoriale è rilevante soltanto se incida in concreto sul procedimento incidentale de libertate, se sia cioè tale da innescare il meccanismo dell’art. 27 cod. proc. pen., che – nell’imporre la tempestiva rinnovazione da parte del giudice individuato come competente per territorio a pena di inefficacia – ovviamente presuppone che, nonostante la declaratoria d’incompetenza, la misura cautelare sia stata mantenuta: IV) nel caso in cui la misura cautelare non sia più in atto perché l’ordinanza coercitiva sia stata annullata per la rilevata insussistenza di taluno dei requisiti di legge, la declaratoria dell’incompetenza territoriale non impedisce al pubblico ministero presso l’ufficio dichiarato incompetente di proseguire le investigazioni, il quale non può pertanto vantare un interesse – concreto ed attuale – a rimuovere l’effettivo pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato; V) l’identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza.
Tali criteri ermeneutici, dunque, non possono non essere presi nella dovuta considerazione ogni volta in cui si debba verificare se un giudice sia competente o meno.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché fa chiarezza su tali molteplici tematiche processuali, di conseguenza, non può che essere positivo.
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