Abstract: supervening usury is differently classified depending on the time the contract has been stipulated. In fact, the anti-usury law invalidates contractual arrangements, which determine interest above usury thereshold, that are not retroactive.
After the long-awaited judgment No. 24675 of 19th October 2017 of the United Chambers of the Supreme Court, supervening usury has no more space within the Italian system: the time of the agreement is the only thing that matters.
1. Premessa
Scopo del presente elaborato è di analizzare lo stato delle cose sul dibattito intorno all’usurarietà del tasso di interesse dei mutui indicizzati in ECU.
Tuttavia, nonostante l’oggetto scelto per l’esame sia il predetto contratto bancario divenuto usurario in fase di esecuzione, ai fini di una migliore comprensione della presente ricostruzione si ritiene utile l’inquadramento della fattispecie protagonista.
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Il contratto di mutuo e il mutuo bancario: considerazioni introduttive
Secondo la definizione codicistica (artt. 1813 c.c. e ss) il mutuo è «il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità». Effetto essenziale del mutuo è il trasferimento della proprietà delle cose mutuate al mutuatario.
Pertanto, il mutuo è il prototipo del contratto di credito poiché consente di trasferire denaro o altre cose fungibili da un soggetto (mutuante) ad un altro soggetto (mutuatario) ai fini del consumo[1].
Nonostante il mutuatario si obblighi a restituire la stessa determinata quantità di cose trasferitagli, tale tipologia di contratto è a titolo oneroso e dunque un contratto a prestazioni corrispettive la cui causa e funzione va individuata essenzialmente nel prestito; difatti, l’art. 1815, 1° comma, c.c. stabilisce che «il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante»[2].
Nella presente disamina occupa un posto di particolare rilievo il c.d. mutuo bancario, ove il mutuante è rappresentato da un istituto di credito e l’oggetto del contratto è il denaro.
Nello specifico, in ambito creditizio, la forma di prestito comunemente indicata come “mutuo” è un contratto di finanziamento consistente nel trasferimento di una somma di denaro dalla banca-mutuante al soggetto richiedente-mutuatario, caratterizzato dall’assunzione da parte di quest’ultimo dell’obbligo di restituire all’istituto di credito altrettanto denaro maggiorato degli interessi convenuti su accordo delle parti secondo un piano di rimborso predefinito che stabilisce la periodicità e l’ammontare delle rate e degli interessi maturati[3].
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Gli interessi: determinazione dell’ammontare e moneta di adempimento
L’art. 1282 c.c. nello statuire il principio generale secondo cui i crediti di somme liquide – determinate nel loro ammontare ed esigibili – producono interessi di pieno diritto, individua la ratio della disciplina nella necessità di riconoscere un equo corrispettivo al godimento di una qualsiasi somma di denaro.
In altre parole, l’interesse è il corrispettivo per il prestito di un capitale che si determina in misura percentuale mediante una procedura complessa demandata al Ministro del Tesoro (oggi Ministro dell’Economia e delle Finanze).
Segnatamente, il saggio di interesse legale degli interessi corrispettivi è determinato dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto da pubblicare in Gazzetta Ufficiale non oltre il 15 dicembre dell’anno precedente a quello cui il nuovo saggio intende riferirsi. In applicazione di tale statuizione il D.M. Economia e Finanze del 12 dicembre 2018 ha fissato la misura del saggio legale degli interessi allo 0,8 % annuo con decorrenza dal 1° gennaio 2019.
Inoltre, il tasso di interesse praticato dalle parti deve essere conforme perfino alle disposizioni anti-usura di cui alla L. n. 108 del 1996; con la conseguenza che qualora siano convenuti interessi usurari, la clausola che li prevede è nulla e non sono dovuti interessi.
Ulteriormente, va chiarito che la somma di denaro oggetto dell’obbligazione pecuniaria può consistere anche in moneta non avente corso legale nello Stato, potendo, quindi, le parti determinare sia l’ammontare dell’obbligazione di interessi sia la moneta d’adempimento (yen, dollaro, etc.)[4].
Nei contratti di finanziamento erogati in divise diverse dalla moneta avente corso legale nello Stato, il richiedente di solito sceglie di determinare l’oggetto dell’obbligazione nella moneta che ritiene più conveniente e stabile nel tempo, con la speranza che quest’ultima si svaluti rispetto all’Euro, confidando, dunque, di poter pagare un minore controvalore di Euro al momento dell’adempimento[5].
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La stagione dei mutui indicizzati in Ecu
Dopo questa breve premessa d’insieme, andiamo al punto.
Negli anni ‘70, al fine di garantire l’equilibrio monetario fra gli Stati membri della Comunità Europea, fu istituito il Sistema Monetario Europeo (SME) con concomitante diffusione della nuova unità monetaria ECU (European Currency Unit) [6].
L’ECU, moneta di conto comune europea, era sostanzialmente un paniere bilanciato di divise europee utilizzata per conteggiare il valore di acquisiti, debiti e crediti attraverso un meccanismo di stabilizzazione dei tassi di cambio che prevedeva una serie di rapporti bilaterali fra le valute degli Stati Membri con una banda prefissata di oscillazione, superata la quale, in soccorso della moneta in difficoltà, sarebbero intervenute, in modo coordinato, le Banche Centrali al fine di riequilibrare i rapporti di cambio[7].
Nell’Italia degli anni ottanta, sulla suggestione delle istituzioni comunitarie e del sistema bancario, numerosi cittadini furono indotti a stipulare prestiti “denominando” l’oggetto dell’obbligazione nella moneta comune europea, con la conseguente collocazione sul mercato di un gran numero di mutui a tassi corrispettivi inferiori rispetto a quelli praticati in Lire.
Il vantaggio dell’appartenenza della divisa italiana allo SME garantiva, difatti, un rapporto stabile con la nuova moneta che rendeva particolarmente vantaggioso quel tipo di finanziamento indicizzato in ECU. Di conseguenza, il prestito, connotato da una clausola parametrica dell’esborso da parte del mutuatario, prevedeva l’importo in Lire commisurato in ECU ad un tasso notevolmente inferiore[8].
La stagione di tali finanziamenti vantaggiosi non ebbe, però, vita gloriosa, giacché nel settembre del 1992 la Lira uscì dal Sistema Monetario Europeo sopportando un deprezzamento considerevole anche rispetto all’ECU[9].
L’affidamento della nostra divisa alla libera fluttuazione del mercato comportò un maggiore sacrifico economico a carico dei mutuatari, i quali, convertendo il prestito ECU in Lire, dovettero acquistare ECU al nuovo valore più elevato per adempiere gli obblighi di pagamento degli interessi e del capitale[10].
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La risposta della giurisprudenza alle prime pretese dei mutuatari
I mutuatari, costretti ad esborsi considerevoli, iniziarono a promuovere aspri contenziosi con le banche chiedendo principalmente la risoluzione del contratto di mutuo per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c., o, in alternativa, la domanda di riconduzione della prestazione ad equità ai sensi dell’art. 1468 c.c.[11].
I giudici di merito, disattendendo le aspettative dei debitori, non accolsero i rimedi proposti e si orientarono sfavorevolmente rispetto alle domande dei mutuatari considerando aleatori i contratti di mutuo indicizzati in ECU con conseguente inapplicabilità della disciplina invocata.
Segnatamente, l’accertamento che il rischio di cambio fosse stato convenzionalmente addossato al mutuatario induceva i Tribunali a ritenere sia che il contratto fosse per ciò stesso divenuto aleatorio sia che l’uscita della Lira dallo SME rientrasse nell’alea normale del contratto[12].
Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte, confermando la giurisprudenza di merito sul punto, affermò che «l’alea di un contratto che, a norma dell’art. 1467 c.c., comma 2, non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari fluttuazioni del mercato; in simili ipotesi, infatti, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, rendendo il contratto di mutuo, sotto tale profilo, aleatorio in senso giuridico, e non solo economico»[13].
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Incidenza della Legge n. 108 del 1996 sui contratti di mutuo
Sulla vicenda de qua, va infine segnalata l’incidenza della L. n. 108 del 1996 “Disposizioni in materia di usura”, che certamente aggiunse ulteriori elementi di dibattito facendo emergere nuove possibili soluzioni rispetto al contenzioso fin lì sviluppatosi.
Com’è noto, in seguito all’entrata in vigore della legge n. 108/96, la fattispecie del delitto di usura e la determinazione degli interessi usurari nel mutuo ex art. 1815, comma 2, c.c. furono integralmente riscritte.
Con il nuovo articolo 644 c.p. si punisce il comportamento di chi si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità (o dell’attività di mediazione per procurarli) interessi o vantaggi usurari.
In ambito civile, invece, il comma 2° dell’art. 1815 c.c., sostituito dall’art. 4 l. n. 108/96, prevede che l’eventuale pattuizione di interessi usurari comporta la nullità della relativa clausola e rende gratuito il mutuo[14].
La concreta determinazione del c.d. limite usurario (tasso soglia) è rimessa, tuttavia, al Ministero del Tesoro, il quale deve stabilire, attraverso una complessa procedura e con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, la rilevazione trimestrale del tasso medio praticato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi di cui agli art. 106 e 107 d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
Entrando nel cuore della questione trattata, va chiarito che proprio le modifiche introdotte dalle disposizioni anti-usura hanno posto una serie di interrogativi in ordine alla possibile applicazione della disciplina sopravvenuta anche ai contratti stipulati in epoca precedente all’entrata in vigore della predetta legge, seppur limitatamente agli effetti ancora in corso, dovendosi individuare, il momento rilevante per l’usurarietà, nella dazione e non in quello della stipula del contratto, con conseguente sostituzione del tasso originariamente pattuito con quello soglia ratione temporis in vigore.
Sul punto, la Suprema Corte con la sentenza n. 5286 del 2000 si pronunciò dichiarando la nullità della pattuizione di interessi ad un tasso divenuto usuraio dopo l’entrata in vigore della legge anti-usura.
Tuttavia, tale orientamento generò l’instabilità del sistema creditizio italiano, il quale confidando nel principio di irretroattività della legge, aveva ritenuto l’inapplicabilità delle disposizioni anti-usura rispetto ai contratti stipulati anteriormente alla loro entrata in vigore[15].
Tempestivamente intervenne il Governo. Il D.L. n. 394 del 29/12/2000, successivamente convertito in l. n. 24 del 2001, rubricato interpretazione autentica della l. n. 108/1996, all’art. 1, comma 1, stabilì che «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono stati promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento»[16].
Logica conseguenza di tale norma chiarificatrice, che cristallizzò il momento rilevante per la determinazione della usurarietà del tasso di interesse in quello relativo alla stipula del contratto – indipendentemente dal momento in cui viene effettuato il pagamento -, fu la diminuzione dei possibili contenziosi scaturenti dalle richieste dei mutuatari[17].
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La pronuncia delle Sezioni Unite sull’applicabilità del sistema anti-usura
Dopo l’iniziale orientamento restrittivo, negli ultimi anni, il tema della c.d. usura sopravvenuta è tornato ad essere oggetto di indagine da parte dei giudici.
Muovendo dalla regolamentazione degli interessi riferiti ai mutui sottoscritti prima del 1996 ed eseguiti in tempo successivo, si affermarono due opposti orientamenti.
Secondo un primo e radicale orientamento, i criteri fissati dalla l. n. 108/1996 per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non possono trovare applicazione alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della predetta legge come emerge dalla norma di interpretazione autentica (art. 1, comma 1, d.l. n. 394/2000)[18], in quanto il tasso legittimo inizialmente pattuito spiega la sua efficacia per tutta la durata del contratto, nonostante l’intervento imperativo abbia rilevato la sua natura usuraria[19].
Il secondo filone, invece, promotore della rilevanza della c.d. usura sopravvenuta, statuì che le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura di interessi usurari, pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano l’inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi poiché il rapporto giuridico non era ancora esaurito prima dell’entrata in vigore di tali disposizioni[20].
Rilevato il contrasto giurisprudenziale, la questione recentemente è stata rimessa all’attenzione delle Sezioni Unite.
Orbene, la Suprema Corte a Sezioni Unite con decisione del 19/10/2017 n. 24765 ha posto fine alla querelle concernente il perimetro di operatività dell’usura sopravvenuta, delimitando l’applicazione delle disposizioni anti-usura ai rapporti stipulati successivamente all’entrata in vigore della l.n.108/1996[21].
In altre parole, secondo le Sezioni Unite «allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in basa alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto»[22].
Sulla base di quanto sopra esposto, sembra allo scrivente, che tanto il legislatore quanto la giurisprudenza abbiano inteso attribuire massima rilevanza all’autonomia negoziale dei contraenti e alla loro eguaglianza formale sia nella formazione sia nell’esecuzione del contratto.
In definitiva, i mutuatari intrappolati dai mutui indicizzati in ECU, avendo ab origine pattuito clausole legittime con accettazione del relativo rischio di cambio, non possono che accettare il “decesso” della c.d. usura sopravvenuta in esecuzione.
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Note
[1] Cfr. A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2017, 820 ss.
[2] L’obbligazione di interessi è una particolare obbligazione pecuniaria di carattere accessorio legata all’obbligazione principale che rappresenta “i frutti civili” per il godimento che il debitore ha del denaro del creditore: cfr. A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale, cit., 405 ss.
[3] Cfr. F. Fiorucci, I mutui bancari. Nuova disciplina e prassi, Giuffè, 2008, 2 e ss.
[4] Le parti, derogando al tradizionale principio nominalistico dell’obbligazione di restituzione del denaro ricevuto a titolo di mutuo, possono ancorare il valore del denaro prestato a una diversa moneta: cfr. V. Frattarolo – E. Iorio, Il mutuo nella giurisprudenza, Giuffrè, 2009, 103 ss.
[5] F. Caputo Nassetti, Le clausole di indicizzazione nei finanziamenti e nei leasing, in Giur. Com., 2016, 352 ss.
[6] Si rinvia a quanto evidenziato da A . Cervini, Mutui in valuta e rischio di cambio fra realtà e presupposizione, in Giust. Civ., 1996, 327 ss, in cui l’Autore rilevava come l’ECU – unità di conto per espressa previsione del Regolamento CEE no. 3180/78 – era inteso come paniere di tutte le valute della Comunità Europea (CE) che teneva conto del peso economico degli Stati Membri.
[7] F. Di Marzio, Eccessiva onerosità sopravvenuta dei contratti di mutuo indicizzati all’ECU, in Giust. civ., 1997, 1093 ss.
[8] A . Cervini, Mutui in valuta, cit., 327.
[9] I. L. Nocera, La natura aleatoria del contratto rende valido e non risolvibile il mutuo, in Diritto e Giustizia online, 2012, 457 ss.
[10] U. Minneci, Sopravvenienza del mutuo in ECU e doveri di buona fede, in Banca borsa tit. cred., 2000, 193 ss.
[11] F. Di Marzio, Eccessiva onerosità, cit., 1093.
[12] G. D Giandomenico, L’alea Normale, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIV, Giappichelli, 2005, 107.
[13] Cass. 18 settembre 2015, n. 25205, in www.dejure.it; Cass. 21 aprile 2011, n. 9263, in www.dejure.it.
[14] A. Agnese, Mutui e finanziamenti: le nuove garanzie, Maggioli, 2013, 66.
[15] F. Aratari, L’usura, in Aa.Vv., Il contenzioso tra le banche e i clienti, a cura F. Aratari – L. Iannaccone, IPSOA, 2018, 450 ss.
[16] G. Salvi, Usura sopravvenuta: orizzonti ermeneutici in attesa delle Sezioni Unite, in Aa.Vv., Principi, regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni, famiglie e successione, a cura di G. Conte – S. Landini, Universitas Studiorum, 2017, 480.
[17] A. Agnese, Mutui, cit., 67.
[18] Cass. del 19 gennaio 2016, n. 801, in www.dejure.it.
[19] F. Aratari, L’usura, cit., 450 ss.
[20] Cass. 17 agosto 2016, n. 17150, in www.dejure.it.
[21] Si rinvia a quanto evidenziato da G. B. Fauceglia, L’usura sopravvenuta nelle prospettive della giurisprudenza, della dottrina e dell’arbitro bancario finanziario, in Riv.del Notariato, 2018, 267 ss, in cui l’Autore rilevava come le Sezioni Unite, con pronuncia originata dalla contestazione in merito ad un contratto di mutuo stipulato in epoca precedente all’entrata in vigore della legge anti-usura, hanno osservato che la legge di interpretazione autentica n.24/2001 esclude chiaramente l’usura sopravvenuta.
[22] Così Cass., SS.UU., 19 ottobre 2017, n. 24765, in www.dejure.it.
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