(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 322-bis)
Il fatto
Il Fallimento (omissis) s.r.l. ricorreva avverso l’ordinanza del 8 ottobre 2018 con la quale il Tribunale di Mantova aveva rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale del 6 settembre 2018, dichiarativa di inammissibilità dell’istanza di dissequestro di somme oggetto del decreto di sequestro preventivo disposto nei confronti della (omissis) l’11 luglio 2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mantova, e convalidato dal Giudice per le indagini preliminari in sede il successivo 13 luglio, per il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto relativa agli anni 2015 e 2016, ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12-bis.
Posto che la (omissis), in liquidazione dal 22 gennaio 2018, aveva presentato il 24 aprile 2018 domanda di ammissione al concordato preventivo che, all’esito della procedura, con sentenza pronunciata il 12 luglio 2018 e depositata il successivo 16 luglio, era stato dichiarato il fallimento della società e che il sequestro era stato disposto fino al valore di Euro 181.671.356 ed eseguito su una somma giacente sul conto bancario della (omissis) dell’importo di Euro 11.593.85,54, oltre che su prodotti petroliferi rinvenuti presso una controllata estera, l’istanza era stata dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione della curatela del fallimento ad impugnare il provvedimento ablativo, e quindi a richiedere il dissequestro in quanto non titolare dei beni della fallita.
Volume consigliato
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
La curatela ricorrente, premesso che l’istanza di dissequestro aveva ad oggetto somme provenienti da rimesse effettuate sui conti correnti bancari della (omissis) successivamente alla data di presentazione dell’istanza di concordato preventivo, proponeva tre motivi, così formulati:
1) violazione di legge sulla ritenuta sussistenza di un giudicato cautelare che avrebbe precluso alla curatela l’istanza di dissequestro, in conseguenza dell’ordinanza reiettiva pronunciata dal Tribunale di Mantova il 30 luglio 2018 sull’istanza di riesame del sequestro proposta dal legale rappresentante della (omissis) e non impugnata, rilevandosi in particolare che: a) tale affermazione si poneva in contrasto con la previsione dell’art. 322-bis c.p.p. in tema di legittimazione dei terzi alla proposizione dell’appello in materia di sequestro preventivo, in quanto parti diverse da quelle della procedura di riesame; b) la decisione violava altresì l’art. 649 c.p.p. nel momento in cui l’istanza di dissequestro aveva contenuto diverso da quello della richiesta di riesame, riguardando somme affluite sul conto bancario della (omissis) successivamente alla domanda di concordato e perfino alla dichiarazione di fallimento; c) la questione del giudicato cautelare era comunque estranea all’appello, in quanto nel provvedimento appellato il Giudice per le indagini preliminari si era limitato a ritenere l’istanza di dissequestro inammissibile per carenza di legittimazione della curatela; 2) violazione di legge sulla ritenuta correttezza della qualificazione delle somme sequestrate come provento del reato rilevandosi in particolare, da un lato, che il Tribunale perveniva a tale conclusione osservando che, dopo aver omesso il versamento dell’imposta conseguendone il relativo profitto, la (omissis) versava la propria liquidità alla controllante D. G. e che, in mancanza di documentazione che ne attestasse una diversa provenienza, le somme presenti sul conto dovevano considerarsi derivanti dalla restituzione di quella liquidità al fine di sostenere la domanda di ammissione al concordato preventivo, dall’altro, che tale argomentazione superava i limiti della nozione di profitto come vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione del reato, estendendolo illegittimamente a versamenti di terzi successivi alla consumazione dell’illecito, dall’altro lato ancora, nella stessa ordinanza impugnata si dava atto che la maggior parte delle somme sequestrate provenivano da versamenti effettuati per l’importo di Euro 9.993.080 dalla controllante N. S., e non dalla D., successivamente alla domanda di ammissione al concordato preventivo fermo restando che: a) la giurisprudenza più recente aveva riaffermato il principio stabilito dalla decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, omissis, Rv. 22865) in tema di valutazione in concreto delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle dei creditori della massa fallimentare; b) nel caso di specie, la dichiarazione di fallimento della (omissis) si poneva in continuità con la procedura di concordato preventivo, dovendo pertanto trovare applicazione il principio di consecuzione delle procedure concorsuali, con conseguente retrodatazione dell’efficacia della declaratoria di fallimento al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo; c) l’argomentazione del provvedimento impugnato, per la quale detto principio non sarebbe applicabile al caso in esame in quanto espressivo di una mera fictio juris finalizzata ad equiparare le posizioni creditorie sorte nel periodo di insolvenza, era fondata su una lettura semplificatoria di un quadro normativo in realtà complesso che attribuisce al concordato preventivo una rilevanza pubblicistica omogenea a quella del fallimento con la sottrazione dei beni alla piena disponibilità del fallito e la loro destinazione al soddisfacimento dei creditori, rendendo tali beni sostanzialmente appartenenti a persona estranea al reato e quindi esclusi dall’area operativa della confisca ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis; d) una diversa interpretazione sarebbe risultata disincentivante del ricorso alle procedure concorsuali da parte di imprese che sarebbero soggette a provvedimenti di confisca tali da privarle degli elementi attivi; 3) violazione di legge sull’esclusione della legittimazione della curatela a richiedere la revoca del sequestro sottolineandosi che questa era in realtà l’unica questione trattata nel provvedimento appellato, e osservando in particolare che: a) quanto rilevato nel provvedimento impugnato in ordine al presupposto di tale legittimazione nella presenza di elementi sopravvenuti al sequestro, nella specie non addotti, era in contrasto sia con la previsione dell’art. 322-bis c.p.p., che consente l’appello al soggetto che avrebbe diritto alla restituzione delle cose sequestrate, sia con quella del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis che fa salvi i beni appartenenti a persone estranee al reato; b) la decisione delle Sezioni Unite richiamata dal Tribunale (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263685) non era applicabile al caso di specie dato che la stessa riguardava la coesistenza dei vincoli, entrambi pubblicistici, derivanti il primo dal sequestro preventivo per equivalente previsto in materia di responsabilità da illecito degli enti e il secondo dalla procedura fallimentare, mentre nella specie si trattava di un sequestro, funzionale alla confisca diretta del profitto del reato, che attingeva beni non costituenti tale profitto e già nella disponibilità della procedura.
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Con ordinanza del 16 aprile 2019 la Terza Sezione penale, investita della decisione sul ricorso, rilevava il carattere preliminare della questione relativa alla legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti in tema di sequestro preventivo disposto precedentemente alla dichiarazione di fallimento, in quanto relativa alla stessa ammissibilità dell’impugnazione.
Si premetteva a questo proposito nell’ordinanza come la sentenza delle Sezioni Unite Uniland, citata nel ricorso, avesse escluso tale legittimazione con una decisione la quale, pur se relativa ad un caso di confisca in materia di responsabilità amministrativa da illecito penale delle persone giuridiche, era fondata su argomenti generali di carattere sistematico in ordine alla mancanza, in capo al curatore, della titolarità di diritti sui beni della procedura; che successive pronunce giurisprudenziali avevano dapprima ammesso la legittimazione del curatore nei casi in cui il sequestro fosse successivo alla dichiarazione di fallimento, e poi ne avevano esteso l’operatività in determinati casi a prescindere da detta condizione.
Oltre a ciò, si evidenziava come il principio stabilito con la sentenza Uniland continuasse a precludere al curatore la possibilità di impugnare il sequestro o di chiederne la revoca quanto meno ove la dichiarazione di fallimento sia successiva all’imposizione del vincolo e che tanto era rilevante nel caso di specie in cui il sequestro era disposto anteriormente al fallimento e non era invocabile in contrario il principio di consecuzione delle procedure concorsuali, in quanto attinente unicamente ai termini per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare, conservando per il resto il debitore, ammesso al concordato preventivo, non solo la proprietà, ma anche l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni.
Ciò posto, si osservava tuttavia come vi fossero ragioni per rivedere la menzionata decisione delle Sezioni Unite anche con riguardo al caso dell’anteriorità dell’apposizione del vincolo rispetto alla dichiarazione di fallimento, precisandosi in particolare che: I) il riferimento degli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., fra i soggetti legittimati all’impugnazione, alla persona che avrebbe diritto alla restituzione delle cose sequestrate, non è riconducibile esclusivamente al proprietario, valendo anzi in senso contrario la distinzione testuale di detta espressione da quella, precedentemente menzionata, della persona a cui le cose sono state sequestrate; II) l’attribuzione al curatore di poteri non solo di amministrazione dei beni del fallito, ma anche di recupero di beni anteriormente alienati, include lo stesso curatore fra i soggetti che hanno diritto alla restituzione delle cose sequestrate; III) non è persuasivo il richiamo della sentenza Uniland alla mancanza di un interesse concreto in capo al curatore il quale è invece interessato a rimuovere il vincolo del sequestro nell’ambito della sua funzione di ricostituzione dell’attivo, altrimenti risultando privata di concreta tutela la posizione dei creditori; IV) la sentenza delle Sezioni Unite Focarelli, anch’essa citata nel ricorso, aveva in precedenza affermato la legittimazione del curatore a proporre le istanze di riesame del sequestro preventivo e di revoca della misura senza individuarne alcun limite con riguardo ai rapporti cronologici fra il sequestro e la dichiarazione di fallimento.
Le argomentazioni sostenute dalle parti dinnanzi alle Sezioni Unite
Con memoria, la ricorrente, oltre a ribadire deduzioni sulle questioni relative al giudicato cautelare e all’impossibilità di qualificare le somme come profitto del reato, svolgeva ulteriori considerazioni sulla questione rimessa alle Sezioni Unite.
Riprendendo quanto già sostenuto nel ricorso sull’applicabilità del principio affermato nella sentenza Uniland al solo caso della coesistenza sui beni sequestrati di due vincoli legittimi, ove si intenda far valere diritti di terzi in buona fede, e non a quelli in cui, come nel caso di specie, si contesti la legittimità del sequestro, se ne faceva desumere come la titolarità del diritto di impugnazione possa essere riconosciuta alla curatela ricorrente senza porre in discussione il principio di cui sopra ritenendosi comunque condivisibile quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione sull’opportunità di rivalutare l’effettività di detto principio aggiungendo, sulla base della previsione dell’art. 322-bis c.p.p., ove la stessa legittima all’impugnazione, oltre alla persona a cui le cose sono state sequestrate, anche l’avente diritto alla restituzione delle stesse che, nella sentenza Uniland, non veniva approfondito il tema della riconducibilità della figura del curatore a quest’ultima categoria in quanto soggetto deputato all’amministrazione dei beni del fallimento ed al recupero di quelli sottratti sottolineando altresì gli effetti pregiudizievoli del principio della sentenza Uniland per i creditori i cui diritti sarebbero singolarmente azionabili solo alla conclusione della procedura fallimentare e non sarebbero tutelati in sede penale, diversamente da quanto affermato nella sentenza, attesa la necessità di rispettare in quella fase la par condicio creditorum, rimanendo peraltro impedita ai creditori la possibilità di intervenire nel contraddittorio sulla legittimità del sequestro.
Dal canto suo, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione aveva depositato note d’udienza a sostegno della conclusione del riconoscimento del curatore come soggetto legittimato all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali in quanto titolare del diritto alla restituzione dei beni e dell’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per le valutazioni sulla legittimità del sequestro.
Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, delimitavano la medesima nei seguenti termini: “Se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento”.
Premesso ciò, gli Ermellini, partendo dalle argomentazioni prospettate nell’ordinanza di rimessione, evidenziavano come tale rimessione sollecitasse la revisione di un’affermazione di principio già formulata dalle Sezioni Unite nel senso della mancanza di legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263685); tanto in un caso nel quale il sequestro era stato disposto ai fini della confisca di beni costituenti il prezzo o il profitto del reato nei confronti di ente responsabile dello stesso, ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19 ma in termini tali da assumere portata più ampiamente comprensiva dei provvedimenti cautelari adottati su beni nella disponibilità della curatela, come peraltro esplicitamente riconosciuto nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 23388 del 01/03/2016, omissis, Rv. 267346), essendo la decisione fondata sull’esclusione di qualsiasi titolarità del curatore sui beni sequestrati.
I giudici di piazza Cavour facevano infatti presente come, nella sentenza Uniland, fosse stato osservato che la dichiarazione di fallimento non trasferisce alla curatela la proprietà dei beni del fallito ma solo l’amministrazione e la disponibilità degli stessi e da ciò se ne desumeva che nessun diritto reale su tali beni può essere riconosciuto al curatore il quale ha unicamente compiti gestionali, mirati al soddisfacimento dei creditori tenuto conto altresì del fatto che il curatore neppure esercita diritti in rappresentanza dei creditori stessi i quali, fino alla conclusione della procedura concorsuale, vantano una mera pretesa sui beni del fallito e non hanno quindi alcun titolo per la restituzione degli stessi fermo restando che veniva posta altresì in dubbio, nella sentenza indicata, il fatto che il curatore abbia un interesse concreto tutelabile ad opporsi a provvedimenti di sequestro e confisca che non recano effettivo pregiudizio alla integrità della massa fallimentare, la cui tutela è oggetto delle funzioni della curatela dal momento che lo Stato può far valere il suo diritto sui beni solo alla conclusione della procedura e con la salvaguardia dei diritti dei creditori.
Ciò posto, si notava al contempo come la questione rimessa in quel caso alle Sezioni Unite fosse per il vero diversa, riguardando l’ampiezza della valutazione del giudice penale, investito di una richiesta di applicazione del sequestro preventivo, fra gli estremi della limitazione all’accertamento della confiscabilità dei beni e dell’estensione ad un esame comparativo delle ragioni a sostegno della pretesa punitiva dello Stato e delle esigenze tutelate dalla procedura concorsuale nella tutela dei creditori in buona fede nonché, in questa seconda prospettiva, la spettanza della verifica della buona fede dei singoli creditori allo stesso giudice penale ovvero al giudice fallimentare.
Ebbene, osservano le Sezioni Unite, a tale questione veniva data risposta nel senso della necessità di tale verifica e dell’attribuzione della stessa al giudice penale, anche in sede esecutiva fermo restando che, nello sviluppo dell’argomentazione che conduceva a questa conclusione, l’esclusione della legittimazione del curatore all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali era tuttavia oggetto di una precisa indicazione di principio; nell’ottica del cui superamento si giustificava la rimessione della relativa questione nel caso di specie.
Una volta svolte queste considerazioni, il Supremo Consesso osservava come il principio in esame fosse stato peraltro oggetto, nella successiva giurisprudenza di legittimità, di un’elaborazione che, riaffermandone la validità, ne aveva tuttavia precisato e sostanzialmente limitato la portata.
L’insussistenza in capo alla curatela di una generale facoltà di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali, nella situazione normativa attualmente vigente, difatti, era stata recentemente ribadita anche rispetto all’intervenuta emanazione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 320 la cui entrata in vigore è prevista dallo stesso decreto per il 15 agosto 2020 che attribuisce espressamente al curatore tale facoltà con riguardo alla proposizione della richiesta di riesame o di appello avverso i decreti e le ordinanze di sequestro nonché del ricorso per cassazione avverso le decisioni su dette richieste, nei casi, nei termini e con le modalità previste dal codice di procedura penale mentre, sul piano ermeneutico, veniva rilevato come proprio il fatto che il legislatore avesse ritenuto di dover conferire al curatore tale facoltà confermi la mancanza della stessa nell’attuale assetto normativo (Sez. 2, n. 27262 del 16/04/2019).
Da un dato momento, però, evidenzia la Suprema Corte, si era aperta nella giurisprudenza una prospettiva diversa, là dove tale carenza di legittimazione era stata confermata con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro emessi anteriormente alla dichiarazione di fallimento (Sez. 3, n. 42469 del 12/07/2016, Amista, Rv. 268015) e, a tale proposito, si faceva presente come fosse rilevante, in questo senso, il riferimento, ai fini della decisione indicata, al presupposto della legittimazione in esame nella effettiva disponibilità dei beni sequestrati ed alla circostanza per la quale la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non attribuirebbe alla curatela la disponibilità dei beni del fallito nel momento in cui per un verso quest’ultimo conserva il diritto di proprietà degli stessi, e per altro il vincolo penale già esistente assorbirebbe ogni potere fattuale sui beni.
Da ciò se ne faceva inferire l’implicita conseguenza che, nell’opposta situazione in cui la dichiarazione di fallimento precede il sequestro per effetto della prima, il sequestro interviene su beni già nella disponibilità della curatela, nei confronti della quale si realizzerebbe pertanto il presupposto della legittimazione all’impugnazione.
Orbene, questa sostanziale limitazione dell’operatività del principio, stabilito con la sentenza Uniland, ai casi nei quali la dichiarazione di fallimento sia successiva al sequestro, era stata successivamente confermata in base alla considerazione per la quale il fallimento non determina una successione a titolo particolare della curatela nei diritti del fallito (Sez. 3, n. 28090 del 16/05/2017) ma le conclusioni della sentenza Amista, nella parte in cui risultavano ammissive della legittimazione del curatore all’impugnazione là dove il sequestro sia invece successivo alla dichiarazione di fallimento, avevano trovato positiva affermazione nell’esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela (Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018).
A sua volta questo orientamento giurisprudenziale, evidenzia la Corte, era stato alla base della formulazione del quesito posto con l’ordinanza di rimessione, nel senso della verifica della sussistenza o meno della legittimazione del curatore alla richiesta di revoca ed all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali nell’ipotesi in cui gli stessi siano stati disposti precedentemente alla dichiarazione di fallimento, dandosi in tal modo per accertata l’esistenza di tale legittimazione con riguardo ai provvedimenti emessi successivamente alla dichiarazione di cui sopra.
Ciò posto, a questo punto della disamina, gli Ermellini stimavano opportuno accennare alla tematica, evocata con opposte conclusioni nel ricorso e nell’ordinanza di rimessione, relativa alla possibilità della retrodatazione degli effetti del fallimento al momento della domanda di ammissione della (OMISSIS) al concordato preventivo, in applicazione del principio di consecuzione fra le procedure fallimentari, ed all’incidenza di essa sulla legittimazione della curatela alla richiesta di revoca del sequestro ed alle successive impugnazioni posto che il sequestro oggetto del ricorso veniva disposto alla data dell’11 luglio 2018, precedente sia pure di un solo giorno a quella della dichiarazione di fallimento, ma successiva a quella del 24 aprile 2018, nella quale veniva presentata la domanda di ammissione al concordato preventivo, qualora l’efficacia del fallimento si dovesse ritenere anticipata a quest’ultima data anche ai fini della successione cronologica fra il sequestro ed il fallimento per i relativi effetti sulla legittimazione della curatela ad agire, sarebbe applicabile nel caso di specie l’indirizzo giurisprudenziale prima indicato, riconoscendo detta legittimazione per essere il sequestro intervenuto successivamente ad un atto equiparato alla dichiarazione di fallimento.
Nel compiere siffatta disamina, si osservava prima di tutto come il principio di consecuzione, come riconosciuto dalla giurisprudenza civilistica di legittimità (Sez. 1 civ., n, 15724 del 11/06/2019; Sez. 1 civ., n. 25728 del 14/12/2016), avesse la sua espressione normativa nella previsione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 69-bis, comma 2, per la quale, nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini previsti per l’individuazione degli atti dispositivi soggetti ad azioni revocatorie, in quanto compiuti in un determinato periodo antecedente la declaratoria di fallimento, decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.
Ebbene, ad avviso della Corte, come è evidente dalla lettura del testo normativo, l’operatività del principio è prevista limitatamente alla diversa decorrenza del computo del periodo in cui si collocano gli atti passibili di revocatoria, e ciò anche perchè la giurisprudenza civilistica ne racchiude l’applicazione in questo ristretto ambito (Sez. 1 civ., n. 5924 del 14/03/2016; Sez. 1 civ., n. 2335 del 17/02/2012) implicitamente escludendo che il principio possa avere effetti ai fini che qui interessano rilevandosi però al contempo, da un lato, come la stessa giurisprudenza avesse altresì precisato che il debitore ammesso al concordato preventivo subisce quello che viene definito uno “spossessamento attenuato” dei suoi beni, nel senso che di essi mantiene non solo la proprietà, ma anche l’amministrazione e la disponibilità, sia pure con le limitazioni proprie di quella particolare procedura concorsuale (Sez. 5 civ., n. 4728 del 25/02/2008; Sez. 5 civ., n. 6211 del 16/03/2007), dall’altro, come la conservazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni in capo al soggetto di cui sopra fosse stata affermata anche dalla giurisprudenza penale di legittimità traendone la conseguenza dell’ammissibilità del sequestro di immobili in possesso dell’unico socio di una società ammessa al concordato preventivo (Sez. 3, n. 13996 del 08/02/2012) oltre a doversi considerare, deponendo in tal senso, identificandone il fondamento giustificativo, la lettura restrittiva degli effetti del principio di consecuzione, suggerita dal testo dell’art. 69-bis L. Fall., nella limitazione degli stessi a finalità per le quali non rileva la disponibilità dei beni del fallito, quali quelle espressamente indicate nella norma e, di contro, nell’esclusione di tali effetti laddove tale disponibilità viceversa abbia rilevanza fermo restando che è questa seconda ipotesi quella che, secondo la Corte, ricorre con riguardo al tema della legittimazione del curatore all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro dato che proprio il passaggio dell’amministrazione e della disponibilità dei beni del fallito da quest’ultimo alla curatela, per effetto della dichiarazione di fallimento, costituisce il presupposto dell’orientamento che attribuisce al curatore la legittimazione all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro disposti successivamente a quella declaratoria in mancanza del quale vengono meno i requisiti per il riconoscimento di tale legittimazione, secondo l’orientamento indicato, relativamente ai provvedimenti di sequestro emessi precedentemente alla dichiarazione di fallimento pur se di seguito a una pregressa domanda di ammissione del fallito al concordato preventivo la quale non attribuisce alla curatela quel potere di fatto sui beni sequestrati che ne giustificherebbe la facoltà di impugnazione.
Tal che se ne faceva discendere come, anche per il caso in esame, nel quale ricorrevano le condizioni appena descritte, il principio affermato nella sentenza Uniland, pur se precisato dalla successiva giurisprudenza summenzionata poco prima, avrebbe escluso la legittimazione della curatela all’impugnazione che aveva dato luogo all’ordinanza oggetto del ricorso in discussione.
Oltre a ciò, veniva oltre tutto rilevato come, ancora con riguardo all’affermazione di cui alla sentenza Uniland, dovesse aggiungersi che altre pronunce giurisprudenziali si erano spinte oltre la distinzione dei provvedimenti impugnabili dalla curatela in base al riferimento cronologico segnato dalla posteriorità o meno degli stessi rispetto alla dichiarazione di fallimento essendo stata in particolare ammessa la possibilità che, anche a prescindere da questo elemento, la legittimazione del curatore sia valutata secondo il concreto interesse dello stesso all’impugnazione in quanto soggetto deputato all’amministrazione dei beni del fallimento (Sez. 3, n. 37439 del 07/03/2017). Questo indirizzo, successivamente ribadito in più occasioni (Sez. 6, n. 37638 del 13/02/2019; Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018; Sez. 3, n. 47737 del 24/09/2018; Sez. 3, n. 45578 del 6/06/2018), richiama una precedente decisione delle Sezioni Unite che attribuiva al curatore la facoltà di proporre l’istanza di revoca di un provvedimento di sequestro preventivo, la richiesta di riesame dello stesso provvedimento e il ricorso per cassazione avverso la relativa decisione (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004) e ciò, per un verso, nell’espletamento della funzione istituzionale di ricostruzione dell’attivo fallimentare, che implica l’interesse ad opporsi ad un atto pregiudizievole per l’integrità del relativo assetto patrimoniale quale provvedimento di sequestro e, per altro, sul presupposto della disponibilità giuridica e materiale dei beni del fallito trasferita alla curatela con la dichiarazione di fallimento.
Quanto appena esposto, di conseguenza, ad avviso della Suprema Corte, evidenziava le incertezze e le perplessità manifestate dalla giurisprudenza di legittimità nell’applicazione del principio formulato con la sentenza Uniland, e, d’altra parte, il pensiero non univoco nel tempo delle stesse Sezioni Unite sull’argomento.
Rilevato a ciò, sempre ad opinione della Corte, vi è un dato certo di carattere normativo, che risulta determinante per la soluzione della questione, vale a dire l’art. 322-bis c.p.p. il quale, nel disciplinare l’appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo, indica quali soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, oltre al pubblico ministero, all’imputato e al difensore di questi, anche “la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione“; una disposizione, questa, peraltro già dettata nel precedente art. 322 cod. proc. pen., in materia di riesame del decreto di sequestro preventivo, e puntualmente riportata nel successivo art. 325 cod. proc. pen., a proposito del ricorso per cassazione avverso le ordinanze che decidono nelle procedure di riesame e di appello.
Orbene, ad avviso della Cassazione, da questa formulazione risulta in primo luogo evidente il riferimento del legislatore alla persona alla quale le cose sono state sequestrate, ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, come soggetti diversi e non coincidenti per cui l’avente diritto alla restituzione, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, può essere individuato in una persona diversa da quella a cui il bene è stato sequestrato (Sez. 2, n. 51753 del 03/12/2013; Sez. 2, n. 39247 del 08/10/2010).
Da ciò se ne faceva discendere come l’avente diritto abbia, nella previsione normativa, una sua distinta fisionomia, quale soggetto portatore di un proprio interesse meritevole di tutela (Sez. 6, n. 2599 del 27/05/1994).
In secondo luogo, se di tali soggetti la “persona alla quale le cose sono state sequestrate” è testualmente identificata in base ad una circostanza di fatto, la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione” ha assunto, nell’interpretazione che a tale nozione è stata data in sede giurisprudenziale, una configurazione estesa all’esistenza di un rapporto di fatto della persona con il bene, non essendo necessario che sullo stesso la persona vanti un diritto reale essendo sufficiente, a tali fini, che tale situazione di fatto sia tutelata dall’ordinamento e che la stessa dia luogo ad una posizione giuridica autonoma del soggetto rispetto al bene (Sez. 6, n. 3775 del 04/10/1994 vale a dire condizioni che possono essere riconosciute in fattispecie di possesso o detenzione qualificata come nei casi del conduttore di un immobile (Sez. 3, n. 26196 del 22/04/2010,) o del promissario acquirente già immesso nel possesso del bene (Sez. 3, n. 42918 del 22/10/2009).
Pertanto, dal momento che la persona avente diritto alla restituzione della cosa sequestrata, legittimata all’impugnazione dei provvedimenti dispositivi o confermativi del sequestro, è identificata dalla disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata del bene, una disponibilità rispondente a queste caratteristiche è senza dubbio esistente in capo al curatore rispetto ai beni del fallimento.
Invero, come disposto dall’art. 42, comma 1, L. Fall., “la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento” e dunque se la disponibilità di tali beni, da quel momento, si trasferisce dal fallito agli organi della procedura fallimentare, di essi il curatore è incaricato dell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell’interesse dei creditori, come indiscutibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018; Sez. 5, n. 48804 del 09/10/2013) e, in questa veste, l’art. 43 L. Fall. gli attribuisce la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento (Sez. 2 civ., n. 11737 del 15/05/2013).
A sua volta la giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento (Sez. 2 civ., n. 16853 del 11/08/2005) trattandosi senz’altro di una detenzione qualificata anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita, e ciò anche perchè la stessa sentenza Uniland ammette la natura pubblica della figura del curatore nella gestione dei beni del fallimento e su questo aspetto è pertanto concorde con quanto già affermato nella sentenza Focarelli, peraltro richiamando consolidati principi civilistici (Sez. 1 civ., n. 2570 del 06/03/1995), in ordine alla qualificazione del curatore come organo che esercita una pubblica funzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia.
La disponibilità dei beni del fallimento, di cui il curatore è titolare, è dunque riconosciuta dall’ordinamento e oggetto di una posizione giuridicamente autonoma nell’esercizio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza in giudizio che al curatore sono per quanto detto conferiti ed è sulla base di queste considerazioni che la giurisprudenza di legittimità ha espressamente ricondotto la posizione del curatore a quella della persona avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati ai fini della previsione di cui all’art. 322-bis c.p.p. (Sez. 2, n. 24160 del 16/05/2003, Sajeva).
Ciò posto, gli Ermellini facevano altresì presente come il tema dell’attribuibilità al curatore della legittimazione ad impugnare i provvedimenti cautelari reali adottati sui beni del fallimento, in quanto persona avente diritto alla restituzione di essi in caso di dissequestro, non fosse stato affrontato nella sentenza Uniland e, infatti, come opportunamente osservato nell’ordinanza di rimessione, le conclusioni formulate in quella sede si limitavano ad escludere che il curatore fosse titolare di diritti reali sui beni in questione senza non poter trascurare il fatto che, nella stessa sentenza, si dava atto della funzione gestionale svolta dal curatore nell’interesse dei creditori ma la rilevanza di tale funzione, anche nella sua pur riconosciuta dimensione pubblicistica, non veniva esaminata nell’ottica della configurabilità di un diverso ed autonomo titolo di legittimazione del curatore all’impugnazione.
Guardando invece il problema da questo punto di vista, le conclusioni appena raggiunte sulla qualificazione del curatore, come persona avente diritto alla restituzione dei beni, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata, ad avviso della Corte, consentono di riconoscere a tale soggetto la legittimazione all’impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare, derivante dalla predetta posizione secondo l’espressa previsione delle norme del codice di procedura penale non senza considerare, d’altra parte, che il curatore si appalesa anche in termini di fatto come l’unico soggetto destinatario dell’eventuale restituzione del bene nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio.
Quanto appena enunciato, sempre ad avviso della Corte, supera altresì i dubbi espressi nella sentenza Uniland sulla ravvisabilità di un concreto interesse della curatela ad impugnare provvedimenti non immediatamente pregiudizievoli dell’integrità della massa fallimentare in quanto appositivi di un vincolo a tutela di diritti che lo Stato potrà far valere sui beni solo alla conclusione della procedura fallimentare atteso che, nella prospettiva dell’inclusione o meno del curatore fra i soggetti legittimati all’impugnazione, la descritta funzione di salvaguardia della massa fallimentare esercitata dallo stesso non consente di escludere l’attualità di un siffatto interesse nella rimozione di vincoli comunque potenzialmente incidenti sulla valutazione della consistenza patrimoniale dell’attivo.
Infine, la risposta al quesito proposto, nei termini nei quali è specificamente formulato, ad avviso del Supremo Consesso, imponeva altresì di precisare come non avesse fondamento, nella ricostruzione appena esposta, la limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento, prospettata dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza Uniland, e ciò in ragione del fatto che la legittimazione all’impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare tenuto altresì conto che ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto dell’art. 42 L. Fall. per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest’ultimo esistenti alla data del fallimento e, quindi, anche di quelli già sottoposti a sequestro.
Tal che se ne faceva conseguire come non potesse essere impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, anch’essi facenti parte dell’attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi.
Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: “Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale”.
Conclusioni
La sentenza in esame è condivisibile in quanto il frutto di un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico.
Le Sezioni Unite, muovendo dall’esame dell’art. 322-bis c.p.p., nonchè avvalendosi della giurisprudenza elaborata sia dalla Cassazione penale, che di quella civile, sono giunti ad affermare, con argomentazioni ancorate su solidi basi normative ed ermeneutiche, come il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.
Di conseguenza, alla luce di questo arresto giurisprudenziale, anche il curatore fallimentare può chiedere la revoca di questo sequestro nonché impugnare tutti i provvedimenti attinenti la cautela reale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale importante tematica processuale, pertanto, non può che essere positivo.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento