precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8174 del 23/5/2012; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7398 del 12/12/1986
La vicenda
Un condomino installava una struttura in legno e un casotto sui lati di un porticato esterno di proprietà esclusiva. Tali manufatti erano stati fissati anche alle parti comuni.
Il condomino vicino si rivolgeva al Tribunale per richiedere la demolizioni dei manufatti sia per violazione dell’art. 1102 c.c., sia per violazione di una clausola di natura contrattuale del regolamento di condominio secondo cui era vietata qualsiasi modifica alle parti esterne dell’edificio o nelle zone comuni, che comunque alterasse l’aspetto architettonico dell’edificio, e ciò con particolare riferimento ai divisori e ringhiere di balconi, ai rivestimenti dei pilastri e delle murature, alla schermatura della facciata posteriore, alle fioriere ed altri beni comuni.
Il Tribunale di Napoli, respingeva la richiesta di demolizione dei manufatti, escludendo la compromissione del decoro architettonico, anche per la presenza di altre quattro verande a chiusura dei balconi.
La Corte d’Appello, invece, ribaltando la decisione di primo grado, ordinava la rimozione della struttura in legno e del casotto in legno posti sui lati del “porticato” in quanto riteneva tali opere non consentite dal regolamento condominiale che faceva espresso riferimento all’utilizzo dei pilastri, come era avvenuto nel caso in esame.
Il condomino che aveva realizzato le strutture sopra dette si rivolgeva alla Cassazione osservando che il regolamento contemplava solo un divieto di “apportare qualsiasi modifica alle parti esterne dell’edificio o nelle zone comuni e non, come era avvenuto, all’interno della proprietà esclusiva; inoltre notava come non si fosse tenuto in considerazione l’esistenza di precedenti modifiche che avevano già ampiamente alterato l’aspetto e il decoro dell’edificio; infine rilevava come nel regolamento esistesse altra clausola con cui il costruttore si era riservato il diritto di costruire in sopraelevazione (senza corrispondere nulla ai condomini), clausola che implicitamente avrebbe autorizzato anche gli altri proprietari a realizzare sopraelevazioni.
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La questione
Se una norma del regolamento vieta ogni modifica alle parti esterne del caseggiato è possibile installare nel portico esterno dell’appartamento una struttura in legno ed un casotto ancorandoli a parti comuni, come pilastri e cornicioni?
La soluzione
La Cassazione ha dato torto ai “costruttori” e ha ritenuto condivisibile l’ordine di demolizione disposto dai giudici di secondo grado.
Secondo i giudici supremi infatti si deve considerare che sono assolutamente legittime quelle clausole del regolamento che pongono limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto di proprietà sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà.
Di conseguenza ritengono pienamente valida una clausola che stabilisca il divieto assoluto di apportare qualsiasi modifica alle parti esterno dell’edificio o nelle zone comuni.
Tale clausola protegge il decoro architettonico arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio.
In tale situazione secondo i giudici supremi le modificazioni apportate da uno dei condomini, nella specie alle parti comuni, in violazione del divieto previsto dal regolamento non possono che essere illegittime.
In ogni caso la Suprema Corte ha notato come la clausola del regolamento, richiamato negli atti di acquisto, che vieti di effettuare qualunque modifica o variazione esterna all’edificio, può costituire titolo anche per l’esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano.
Come nota la Cassazione però nel caso esaminato le opere che riguardavano un portico alla base del caseggiato non avevano realizzato una sopraelevazione, situazione che si sarebbe verificata invece con l’elevazione di nuovi piani o nuove fabbriche nell’area sovrastante il fabbricato e conseguente superamento dell’originaria altezza dell’edificio.
Le riflessioni conclusive
I giudici supremi hanno anche rilevato come nell’ambito dei giudizi si fosse erroneamente confuso il decoro con l’aspetto architettonico.
A tale proposito sembra utile ricordare che il decoro architettonico caratterizza la fisionomia dell’edificio condominiale ed è un bene comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica delle modifiche che si intendono apportare.
Il decoro architettonico riguarda certamente la facciata che rappresenta l’immagine stessa dell’edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, però, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile (Cass. civ., sez. VI, 28/06/2017, n. 16258).
Il decoro riguarda anche le condizioni di singoli elementi o di singole parti del caseggiato.
L’aspetto architettonico protegge invece lo stile dell’edificio che, a seguito di una sopraelevazione, non deve essere compromesso, situazione che si verifica se “la nuova parte aggiunta” non è esteticamente compatibile rispetto al preesistente complesso, alterandone la fisionomia e la peculiarità impressa dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore.
La sopraelevazione è un’aggiunta quantitativa in senso verticale che, se realizzata con uno stile diverso da quello presente nella parte inferiore del fabbricato, pregiudica, di regola, l’aspetto architettonico complessivo percepibile da qualsiasi osservatore esterno.
L’aspetto architettonico entra in gioco solo con la sopraelevazione, il concetto di decoro invece è più esteso.
Le nozioni in questione, quindi, non coincidono, sebbene l’una non possa prescindere dall’altra: in altre parole non è possibile affermare che una costruzione sopra l’ultimo piano alteri il decoro architettonico dell’edificio, ritendo poi incoerentemente il manufatto compatibile con l’aspetto architettonico della costruzione (Cass. civ., sez. II, 24/04/2013, n. 10048).
Chiarito quanto sopra occorre considerare come, la valutazione sulla violazione o meno del decoro o dell’aspetto architettonico, sia inutile se una clausola del regolamento, comprimendo il diritto di proprietà dei condomini, impedisca qualsiasi opera modificativa, persino migliorativa, nelle parti comuni: infatti la realizzazione di opere esterne integra di per sé una vietata modificazione dell’originario assetto architettonico dell’edificio.
In tale ipotesi è evidente che, una volta accertata la violazione del divieto previsto dal regolamento condominiale, le opere realizzate devono essere demolite, rimanendo precluso al giudice di merito ogni diversa valutazione circa la sussistenza o meno di un effettivo pregiudizio derivato all’edificio condominiale.
Del resto è possibile che una diversa clausola di natura contrattuale preveda, sotto pena dell’ obbligo di demolire la nuova opera, il divieto di apportare modifiche alle cose comuni, anche se dirette al miglioramento e all’uso più comodo e al maggior rendimento delle stesse, se non previa deliberazione dell’assemblea con una determinata maggioranza.
In tal caso il singolo condomino richiedente non può pretendere che l’autorizzazione gli sia concessa perché ciò equivarrebbe ad abrogare detta disposizione regolamentare.
Se gli viene concessa, però, il condomino può procedere con le modifiche in quanto l’autorizzazione, stabilita dall’assemblea su richiesta del condomino, non può che interpretarsi come riconoscimento, in concreto, del fatto che l’uso più intenso prospettato dal singolo non possa essere considerato illecito.
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