(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 391)
Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze non convalidava l’arresto in flagranza in ordine al reato di sequestro di persona aggravato dal rapporti di ascendenza con la persona offesa.
I fatti riguardavano l’esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale di Firenze nell’ambito del procedimento di divorzio con il quale veniva disposto il collocamento della minore, affidata ai servizi sociali, presso la madre.
In tale contesto l’indagato, telefonicamente avvisato dai Carabinieri, ai quali la madre si era rivolta per l’esecuzione del provvedimento, si era rifiutato di dare corso alla consegna della minore trattenendosi con la medesima nella propria abitazione quando, infine, la piccola ne usciva, accompagnata dal nonno paterno.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze non aveva convalidato l’arresto in flagranza ritenendo insussistenti gli elementi costitutivi del delitto oggetto di provvisoria incolpazione, in assenza della dimostrazione di una coercizione della libertà della minore, qualificando il fatto ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 2, reato per il quale l’arresto non è consentito.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il Pubblico Ministero affidando le proprie censure ad un unico, articolato, motivo, con il quale si deduceva violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto.
Alla luce dell’ermeneusi degli elementi costitutivi del delitto di sequestro di persona, con particolare riferimento alla condizione di incapacità in cui versi la persona offesa, il Pubblico Ministero aveva ricostruito, richiamando il sostegno di autorevolissima dottrina, il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice da individuarsi non già come limitato alla libertà di movimento bensì involgente un più ampio complesso di facoltà, riconducibili alla tutela della libertà personale intesa, nell’ampia latitudine declinata dall’art. 13 Cost., come libertà da ogni coercizione dell’essere fisico.
Nel contesto così delineato, rilevava il Pubblico Ministero ricorrente come “era alla madre (…) che il Tribunale di Firenze aveva disposto la consegna della minore (…) ed era pertanto ella che doveva esercitare i propri poteri di cura e custodia sulla minore a partire da tale momento, e quindi decidere dove la figlia potesse stare e con chi, ed è parimenti certo che, in assenza di una contraria volontà espressa non già dalla minore stessa, ma da chi su di essa poteva in quel momento esercitare la propria responsabilità genitoriale e tali poteri di cura e custodia, la libertà della predetta dovesse essere garantita da e contro qualsiasi misura coercitiva del suo corpo, indipendentemente dalla consapevolezza che la minore potesse avere di tali misure e dal consenso (o il dissenso) che la stessa potesse manifestare”, inferendone, pertanto, la erronea applicazione della norma evocata.
Si evidenziava, in conseguenza, l’esistenza di una univoca condizione di flagranza, apprezzabile dagli operanti intervenuti, anche in considerazione della trasmissione, ai Carabinieri, dell’ordinanza; dell’”estenuante trattativa, condotta dai medesimi operanti, che aveva, infine, indotto l’indagato a darvi esecuzione”; della successiva resistenza all’arresto, effettuato solo a tarda notte (…) e dopo che l’indagato si era barricato in casa per oltre sei ore; della sussistenza anche del reato di sottrazione di minore.
La requisitoria della Procura generale presso la Corte di Cassazione e altri scritti difensivi prodotti dalla difesa
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata richiamando i parametri di valutazione ex ante dell’operato della polizia giudiziaria procedente all’arresto e la non manifesta irragionevolezza nell’apprezzamento della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto.
Il difensore dell’indagato, con memoria, aveva controdedotto alle ragioni dell’impugnazione. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come cogliessero nel segno le indicazioni metodologiche, prospettate dal Procuratore generale nella requisitoria e dal difensore nella memoria di replica, riguardo la latitudine del sindacato sul provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, rimesso alla Corte di cassazione in riferimento alla sussistenza, con valutazione ex ante, del fumus del reato per il quale era stato eseguito l’arresto facoltativo in flagranza.
Premesso ciò, si faceva presente come, in sede di convalida dell’arresto, il giudice – oltre a verificare l’osservanza dei termini previsti dall’art. 386 c.p.p., comma 3 e art. 390 c.p.p., comma 1, – debba controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’operato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., in una chiave di lettura che non deve riguardare nè la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione, questa, riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), ne l’apprezzamento sulla responsabilità (riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito) (Sez. 6, n. 25625 del 12/04/2012; N. 19289 del 2005; N. 21172 del 2007; N. 6878 del 2009); in altri termini, il giudice della convalida deve operare un controllo di mera plausibilità, ponendosi nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto onde verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere alla misura pre-cautelare rimanga nei limiti della discrezionalità della polizia giudiziaria e trovi ragionevole motivo nella gravità del fatto o nella pericolosità del soggetto, senza, evidentemente, estendere il predetto controllo alla verifica dei presupposti per l’affermazione di responsabilità fermo restando che, ai fini della legittimità dell’arresto facoltativo in flagranza, non è necessaria a presenza congiunta della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto, essendo sufficiente che ricorra almeno uno dei due parametri (Sez. 5, n. 10916 del 12/01/2012; N. 8708 del 2012; N. 15296 del 2006).
Nella delineata prospettiva, secondo il Supremo Consesso, il Giudice può qualificare diversamente il fatto-reato, oggetto di provvisoria incolpazione, per negare la convalida, valorizzando unicamente la situazione che si prospettava alla polizia giudiziaria operante all’atto dell’intervento e non anche elementi sopravvenuti acquisiti nel corso dell’udienza di convalida che possono assumere rilievo soltanto ai fini della eventualmente successiva emissione di una misura cautelare (Sez. 2, n. 30698 del 05/04/2013; N. 2454 del 2008; N. 21577 del 2009; N. 14314 del 2010; N. 35962 del 2010; N. 8708 del 2012) così come è del pari legittimo che il giudice svolga un sindacato di attendibilità riguardo le attestazioni della polizia giudiziaria, sindacato che, tuttavia, va condotto con l’oggetto e gli standard propri della sede senza, cioè, che vengano sviluppati argomenti e metodi tipici della fase cautelare o di merito e senza, soprattutto, tener conto di possibili ed eventuali successivi sviluppi istruttori (Sez. 6, n. 700 del 03/12/2013).
Tal che se ne faceva conseguire come il giudice della convalida debba procedere, con valutazione ex ante ed in concreto, alla duplice e progressiva verifica, dapprima della ragionevole sussistenza del fumus del reato, alla stregua delle circostanze disponibili, idonee a fondare l’apprezzamento della polizia giudiziaria riguardo la qualificazione giuridica della fattispecie e, successivamente, alla valutazione dei limiti della discrezionalità nell’adozione della misura pre-cautelare, costituiti, alternativamente, dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto.
Ciò posto, gli Ermellini ritenevano come il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze avesse formulato una valutazione del tutto in linea con le predette coordinate ermeneutiche in quanto, alla stregua delle evidenze disponibili alla polizia giudiziaria procedente, il giudice della convalida aveva escluso la ragionevole qualificazione del fatto in termini di sequestro di persona aggravato valorizzando nell’esclusiva prospettiva dei Carabinieri intervenuti – il difetto degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 605 c.p., per il quale era stato operato l’arresto, e qualificando i fatti ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 2.
In tal senso, secondo la Corte, il provvedimento impugnato evidenziava come gli operanti fossero consapevoli dello status giuridico della minore sulla quale entrambi i genitori esercitavano la responsabilità genitoriale e che era stata affidata, con provvedimento del Tribunale di Firenze, emesso nell’ambito del procedimento di divorzio, ai servizi sociali e collocata presso la madre così come, da un lato, risultava, altresì, come l’indagato avesse reiteratamente prospettato ai medesimi operanti, intervenuti su richiesta della madre presso l’abitazione, di non voler dare corso alla spontanea esecuzione del provvedimento ritenendolo ingiusto, dall’altro, non risultava, in alcun modo, l’espressione di una volontà di segno contrario della minore della quale veniva asseverata una capacità di autonoma determinazione in relazione alla quale, mentre l’atteggiamento renitente dell’indagato era approdato nell’uscita della minore dall’abitazione, accompagnata dal nonno, la stessa, neppure in tale fase, aveva dichiarato di aver subito una qualche forma di restrizione.
Alla stregua di siffatta complessiva situazione di fatto, ricognitiva dello status quo ante e non contestata, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, il provvedimento impugnato s’appalesava incensurabile tanto in riferimento al metodo di valutazione, che alle argomentazioni in diritto rassegnate, per escludere la ragionevolezza della qualificazione giuridica del fatto posta a fondamento dell’arresto in flagranza posto che il delitto di sequestro di persona presuppone, per la sua configurabilità, un accertamento rigoroso dell’elemento della costrizione che, pur potendosi estrinsecare con mezzi diversi da quelli fisici, deve però essere tale da incidere sulle determinazioni della vittima relative alla sua libertà di locomozione (Sez. 3, n. 45931 del 16/10/2013); in particolare, ad integrare il reato è sufficiente anche una condotta che comporti una coazione di tipo psicologico purché tale, in relazione alle particolari circostanze del caso, da privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017; N. 14566 del 2005; N. 38994 del 2010 Rv. 248537).
Nella delineata prospettiva, veniva altresì rilevato come il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice in disamina sia esclusivamente la libertà personale della persona offesa sottoposta a costrizione e non già di soggetti diversi, pur legati alla vittima da relazioni giuridicamente qualificate dato che, mentre il delitto di sottrazione di persone incapaci tutela l’affidamento del minore ovvero – in caso sottrazione ad opera di uno dei genitori l’esercizio, da parte dell’altro, della potestà attribuitagli, il reato di sequestro di persona è posto a presidio della libertà fisica e di movimento del minore, tanto che i due reati possono concorrere (Sez. 1, n. 47544 del 02/12/2008; N. 38438 del 2001) in guisa tale che, in assenza di alcun indicatore – apprezzabile ex ante e risultante dagli atti – di una qualche costrizione, anche solo morale, incidente sulla capacita di autodeterminazione della minore, inespressa anche nella conclusiva fase della consegna, secondo la Corte, s’appalesavano incensurabili le valutazioni del giudice della cautela in punto di non ragionevolezza della qualificazione giuridica del fatto.
Il ricorso, pertanto, come visto prima, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, veniva ritenuto infondato.
Conclusioni
La sentenza in esame è assai interessante in quanto in essa si chiarisce quale valutazione è tenuto a compiere il giudice in sede di convalida dell’arresto.
In particolare, in siffatta decisione – una volta fatto presente che in sede di convalida il giudice – oltre a verificare l’osservanza dei termini previsti dall’art. 386 c.p.p., comma 3 e art. 390 c.p.p., comma 1, – debba controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’operato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., in una chiave di lettura che non deve riguardare nè la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione, questa, riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), ne l’apprezzamento sulla responsabilità (riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito) – si precisa che tale vaglio giudiziale deve consistere in un controllo di mera plausibilità, dovendosi porre il giudice nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto onde verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere alla misura pre-cautelare rimanga nei limiti della discrezionalità della polizia giudiziaria e trovi ragionevole motivo nella gravità del fatto o nella pericolosità del soggetto senza estendere invece il predetto controllo alla verifica dei presupposti per l’affermazione di responsabilità.
Nell’ambito di questi parametri decisori, secondo quanto prospettato in tale sentenza, il Giudice può qualificare diversamente il fatto-reato, oggetto di provvisoria incolpazione, per negare la convalida, valorizzando unicamente la situazione che si prospettava alla polizia giudiziaria operante all’atto dell’intervento e non anche elementi sopravvenuti acquisiti nel corso dell’udienza di convalida che possono assumere rilievo soltanto ai fini della eventualmente successiva emissione di una misura cautelare così come è del pari legittimo che il giudice svolga un sindacato di attendibilità riguardo le attestazioni della polizia giudiziaria, sindacato che, tuttavia, va condotto con l’oggetto e gli standard propri della sede senza, cioè, che vengano sviluppati argomenti e metodi tipici della fase cautelare o di merito e senza, soprattutto, tener conto di possibili ed eventuali successivi sviluppi istruttori.
In altri termini, può considerarsi corretto l’operato del giudice, che debba decidere sulla convalida dell’arresto, nella misura in cui costui proceda con valutazione ex ante ed in concreto, alla duplice e progressiva verifica, dapprima della ragionevole sussistenza del fumus del reato, alla stregua delle circostanze disponibili, idonee a fondare l’apprezzamento della polizia giudiziaria riguardo la qualificazione giuridica della fattispecie e, successivamente, alla valutazione dei limiti della discrezionalità nell’adozione della misura pre-cautelare, costituiti, alternativamente, dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica processuale, dunque, non può che essere positivo.
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